Dividendi 2026: cosa cambia per le holding

Dal 1° gennaio 2026, la Legge di Bilancio introdurrà una profonda revisione del regime fiscale dei dividendi.
La nuova soglia minima del 10% per accedere all’esclusione parziale dalla base imponibile segna la fine di un’epoca per la fiscalità delle holding e delle società partecipate.
Fino al 2025, i dividendi godevano di una esenzione del 95% (per soggetti IRES) e del 41,86% (per soggetti IRPEF imprenditori), riducendo l’imposizione effettiva all’1,2%.
Dal 2026, invece, le partecipazioni inferiori al 10% saranno tassate integralmente, con un prelievo del 24%.
Il salto è netto, e il rischio per molte strutture societarie è di subire una doppia imposizione economica sugli stessi utili.

L’obiettivo del legislatore e i profili di incoerenza

Secondo l’art. 18 del disegno di Legge di Bilancio 2026, la misura intende riallineare la normativa italiana alla direttiva europea 2011/96/UE (Direttiva Madre-Figlia), che fissa proprio nel 10% la soglia minima per la “dividend exemption”.
Tuttavia, l’attuazione italiana rischia di produrre effetti distorsivi.
La direttiva UE non impone alcun requisito temporale di possesso, mentre la riforma OCSE – Pillar 2 e il D.Lgs. 209/2023 distinguono le partecipazioni stabili da quelle speculative, esentando anche quote inferiori al 10% se detenute da almeno un anno.
L’approccio italiano, invece, applica rigidamente la soglia percentuale, senza tener conto della natura strategica o di lungo periodo dell’investimento.

Le criticità per le holding e il rischio di doppia imposizione

La norma colpirà soprattutto le holding industriali e finanziarie, le società di investimento e le imprese familiari che detengono partecipazioni minoritarie, anche di valore rilevante.
L’intervento rappresenta un “arretramento strutturale” rispetto alla riforma Tremonti del 2003, che introdusse la parziale esenzione non come agevolazione ma come principio di neutralità fiscale.
Il nuovo assetto, invece, riporta la tassazione a monte e a valle dello stesso utile, violando la logica di neutralità nella catena partecipativa e rischiando di disincentivare gli investimenti a lungo termine.

Strategie operative: cosa fare entro il 31 dicembre 2025

In attesa dell’approvazione definitiva, il 2025 sarà l’anno cruciale per le scelte di pianificazione fiscale.
Ecco alcune opzioni valutabili:

  • Incrementare la quota di partecipazione fino al 10%, se sostenibile sotto il profilo societario e finanziario.
  • Deliberare entro fine 2025 la distribuzione di utili o riserve, consolidando il regime vigente anche se il pagamento avverrà nel 2026.
  • Garantire la certezza documentale delle delibere, ad esempio tramite registrazione o invio PEC, per evitare contestazioni di simulazione.

Il MEF (Atto di indirizzo del 27 febbraio 2025) ha chiarito che tali operazioni non costituiscono abuso del diritto, purché coerenti con la ratio della norma.
L’Agenzia delle Entrate, tuttavia, invita alla prudenza per evitare operazioni solo formali o differite nel tempo (Principio di diritto n. 3/2022).

Effetti economici e bilancio delle holding

L’anticipo delle delibere di distribuzione può portare vantaggi fiscali immediati, ma anche conseguenze patrimoniali non trascurabili: riduzione delle riserve, variazioni negli indici di solidità e minore capacità di autofinanziamento.
Le holding dovranno quindi muoversi con una visione integrata, bilanciando ottimizzazione fiscale e stabilità di lungo periodo, specie in presenza di strutture multilivello o partecipazioni incrociate.

Conclusione: pianificare oggi per proteggere il domani

Il nuovo regime sui dividendi non è solo una modifica tecnica, ma un cambio di paradigma per le strutture partecipative e le holding.
Chi saprà agire con tempestività entro il 2025 potrà preservare il vantaggio fiscale e, al contempo, riposizionare la propria architettura societaria su basi più solide, trasparenti e strategiche.

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