Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
È legittimo l’accertamento analitico-induttivo fondato sui dati desunti dai file presenti nel computer di un fornitore del contribuente controllato, se esistono elementi indiziari idonei a indicare che le scritture contabili di tale contribuente verificato siano inattendibili: dunque, anche la contabilità in nero di un terzo può consentire l’emissione di un accertamento presuntivo nei confronti del contribuente che con questi abbia avuto rapporti. È questo il principio stabilito dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 17420 del 30 agosto 2016.
Nel caso di specie, il contribuente riteneva che le operazioni desunte dai file informali rinvenuti presso il proprio fornitore non avrebbero potuto indicare transazioni in nero a lui riconducibili, attesa la presenza nella zona di più soggetti con le sue stesse generalità, piuttosto diffuse a livello locale.
Al contrario, la Suprema Corte ha affermato che tali documenti informatici, ancorché rinvenuti presso un terzo, non possono essere ritenuti dal giudice, in sé, privi di rilevanza probatoria, senza che a tale conclusione conducano l’analisi dell’intrinseco valore delle indicazioni che da essi discendono e la comparazione delle stesse con gli ulteriori dati acquisiti e con quelli emergenti dalla contabilità del contribuente.
In definitiva, quindi, l’Amministrazione finanziaria può fornire elementi anche indiziari da cui sia possibile dedurre con ragionevole consequenzialità che i documenti elaborati dal contribuente non siano veritieri, quali l’esistenza di diverse operazioni regolarmente annotate tra il terzo e il contribuente e il fatto che la documentazione extracontabile riporti il nominativo, la data di consegna, la quantità e la descrizione dei prodotti oltre agli importi relativi alle diverse operazioni.
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