Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
Può essere condannato il consulente o il sindaco della società che partecipa alla frode fiscale avente come unico scopo quello di accumulare l’IVA per poi distrarla. Infatti, ai fini della responsabilità penale degli esterni alla compagine sociale, non è necessaria la conoscenza dello stato di dissesto.
È questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 14045 del 7 aprile 2016, ha reso definitiva la condanna a carico dei sindaci di una S.p.a finita nel mirino degli inquirenti nell’ambito di una grande frode fiscale.
La Suprema Corte ha spiegato che il dolo dell’extraneus nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni del creditore, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società.
Conseguentemente, ogni atto distrattivo assume rilievo ai sensi dell’art. 216, legge fall. in caso di fallimento, indipendentemente dalla rappresentazione di quest’ultimo, il quale non costituisce l’evento del reato che, invece, coincide con la lesione dell’interesse patrimoniale della massa, posto che, se la conoscenza dello stato di decozione costituisce dato significativo della consapevolezza del terzo di arrecare danno ai creditori, ciò non significa che essa non possa ricavarsi da diversi fattori, quali la natura fittizia o l’entità dell’operazione che incide negativamente sul patrimonio della società.
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