di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners
Il sequestro preventivo nei confronti di una società può avere ad oggetto anche le somme depositate su un conto corrente che, a prescindere dall’eventuale origine formalmente lecita dovuta alla gestione dei beni aziendali, sono composte in gran parte da importi esistenti ancor prima della dichiarazione di fallimento della società, su un altro conto alla stessa intestato e successivamente trasferiti sul conto in argomento: tali somme diventano anch’esse illecite dato che il conto viene alimentato dall’impiego di beni dell’impresa inquinata in radice dai vantaggi illeciti basati su una pregressa attività delittuosa. È questo il principio di diritto reso dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 26755 depositata ieri 13 luglio.
La fattispecie disaminata dai giudici di vertice trae origine dal provvedimento con il quale il Tribunale di Trapani disponeva il sequestro, ai fini della confisca, dell’intero capitale sociale e di tutti i beni del relativo compendio aziendale di una s.r.l. dichiarata fallita nel 2014.
La curatela procedeva a chiedere il dissequestro e la restituzione delle somme depositate sul conto corrente, ma la Corte di appello di Palermo confermava la misura cautelare, ritenendo che il denaro presente su tale conto (poiché derivante da contratti di affitto dell’azienda che la curatela aveva stipulato con un’altra società) doveva considerarsi il frutto del reimpiego dei beni della società che, realizzata con i proventi di reati fiscali, era qualificabile come impresa illecita.
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