Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners – Studio Legale Tributario, da IPSOA Quotidiano, 19 luglio 2013.

Qualora l’Amministrazione finanziaria contesti l’antieconomicità di un’operazione, è onere del contribuente dimostrare la liceità fiscale della stessa ed il Giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità “cartacea” della documentazione contabile. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione, con sentenza del 14 giugno 2013, n. 14941, conformemente al prevalente orientamento della giurisprudenza tributaria di legittimità (cfr. Cass., sentenza 18 maggio 2012, n. 7871; Cass., sentenza 16 gennaio 2009, n. 951; Cass., sentenza 18 maggio 2007, n. 11599).
Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte, intervenendo sulla nota questione della ravvisabilità di un indice di evasione e/o di elusione in caso di acquisto di beni fuori mercato, ha affermato tout court che “il contribuente imprenditore commerciale, al quale sia contestata dall’Erario l’antieconomicità di un’operazione posta in essere, è gravato dall’onere di provare la liceità fiscale dell’operazione ed il Giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatarne la regolarità cartacea. Infatti, qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente non attendibile, in quanto contrastante con i criteri della ragionevolezza, riguardo all’antieconomicità del comportamento del contribuente, è consentito al Fisco dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere minori costi
utilizzando presunzioni semplici ed obiettivi parametri di riferimento, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente”.
La pronuncia consolida il filone giurisprudenziale inaugurato dalla Suprema Corte con sentenza del 18 maggio 2007, n. 11599, secondo cui l’onere di dimostrare la liceità fiscale di un’operazione, di cui l’Amministrazione finanziaria contesti l’antieconomicità, posta in essere da un contribuente che sia imprenditore commerciale spetta a quest’ultimo. A tal fine, non è sufficiente la regolare tenuta della contabilità per contrastare la contestazione di antieconomicità dell’operazione, ben potendo il Fisco dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate nonché desumere minori costi utilizzando presunzioni semplici e obiettivi parametri di riferimento, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente.
Ne consegue che, una volta specificati gli indici di non attendibilità dei dati relativi ad alcune poste e denunciata la loro astratta idoneità a rappresentare una diversa capacità contributiva, null’altro il Fisco è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento logico fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, soprattutto in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse, senza che si possa invocare l’apparente regolarità contrattuale e contabile, perché proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni di valore di gran
lunga eccedente quello effettivo.
L’individuazione di comportamenti considerati dai verificatori fiscali come “non rispondenti” ai criteri di economicità, di norma utilizzati quali “bussola” per le scelte d’impresa, legittimerebbe pertanto la ravvisabilità di un indice di evasione o, perlomeno, di elusione, in quanto il raggiungimento di un utile economico costituisce la naturale finalità della gestione di un’attività d’impresa, e, quindi, alla luce del principio espresso dalla Suprema Corte, un ribaltamento dell’onere della prova sul contribuente. L’Amministrazione finanziaria non è tenuta dunque a provare alcunché se non quanto emerge dal procedimento accertativo, gravando invece sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse.
La pronuncia dei Giudici di Piazza Cavour si pone in contrasto con il diverso orientamento della medesima giurisprudenza di legittimità (Cass., sentenza 10 dicembre 2010, n. 24957; Cass., sentenza 9 maggio 2002, n. 6599), che nega tout court, adottando una “diversa” linea interpretativa – favorevole ai contribuenti – il potere di sindacabilità delle scelte imprenditoriali. Tale potere troverebbe la propria fonte normativa nell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, che ne definisce le particolari ipotesi di applicazione. Al di fuori di tali ipotesi, a parere dello scrivente, non sarebbe pertanto possibile, per l’Amministrazione finanziaria, arrogarsi il diritto di interferire arbitrariamente nelle scelte d’impresa.

© Riproduzione riservata

Informazione, formazione e contatto diretto con i nostri esperti.

Partecipa ai nostri eventi, scopri le ultime novità legali e fiscali e contattaci per ricevere supporto personalizzato.

Eventi

Scopri i nostri webinar e incontri dal vivo, momenti di confronto con esperti su temi di diritto tributario, gestione patrimoniale e internazionalizzazione. Iscriviti per partecipare.
Scopri di più

News

Resta aggiornato sulle novità fiscali, legali e aziendali. Approfondimenti, casi studio e aggiornamenti normativi con suddivisione in categorie per una lettura mirata.
Leggi le ultime news

Contatti

Hai bisogno di una consulenza? Contattaci per fissare un appuntamento presso le nostre sedi di Bari, Milano e Dubai o per ricevere il Company Profile con tutti i dettagli dei nostri servizi.
Contattaci ora

© 2025 Ginex & Partners. Tutti i diritti sono riservati | marketing agency deraweb