Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners – Studio Legale Tributario
Risponde di riciclaggio, a titolo di concorso, il bancario che omette di segnalare operazioni anomale, in quanto la scelta di autorizzarle, omettendo le dovute segnalazioni, costituisce l’esito di un processo decisionale autonomo con accettazione del rischio che si attui il riciclaggio. È questo il principio sancito dalla Suprema Corte, con sentenza dell’8 marzo 2016, n. 9472.
I Giudici di merito avevano ritenuto colpevole un bancario (direttore di filiale) per non aver fatto quanto in suo potere per impedire a una donna di compiere operazioni concernenti denaro proveniente da una truffa, desumendo la volontà dello stesso di concorrere nel reato di riciclaggio dalla riconoscibilità delle operazioni chiaramente sospette.
Concordemente, i Giudici di Piazza Cavour, hanno ritenuto – a fronte di ripetute operazioni sospette, tutte rimaste prive delle dovute segnalazioni – che la condotta del bancario fosse voluta, in termini di accezione del rischio, “in quanto egli, posto nell’alternativa di autorizzare o meno i prelevamenti, si è autodeterminato a permetterli, violando la normativa bancaria (primaria e secondaria), pur in presenza di sicuri ed inequivocabili indici di illiceità quanto alla provenienza illecita del denaro”.
Dunque, la volontà del bancario è stata ricavata da molteplici indici sintomatici, quali l’anomalia delle operazioni connotate da qualcosa in più di un sospetto, la posizione ricoperta, le competenze in materia bancaria, e la specificità della normativa violata che è diretta a evitare il riciclaggio di denaro, “circostanze tutte che imponevano all’imputato, riconosciute le operazioni come anomale, di astenersi dal compierle, sicché la scelta attiva di autorizzarle, omettendo le segnalazioni, ha costituito l’esito di un processo decisionale autonomo con accettazione del rischio che si attuasse il riciclaggio”.
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