Un patrimonio che non si vede, ma che incide sulla vita di tutti

Il lavoro di cura svolto in ambito familiare è una delle dimensioni più rilevanti e al tempo stesso più trascurate del nostro sistema giuridico. Parliamo della cura quotidiana, costante e spesso totalizzante esercitata da figli, coniugi, fratelli o parenti che, per anni, si fanno carico di un genitore fragile, di un coniuge malato o di un familiare non autonomo. È un lavoro che richiede presenza, pazienza, tempo e spesso anche un significativo impatto economico: riduzione dell’orario lavorativo, rinuncia alla carriera, spese anticipate, sacrifici personali. Eppure, al momento dell’apertura della successione, questa attività rimane quasi sempre invisibile. Così può accadere che un figlio che ha assistito il genitore giorno e notte riceva la stessa quota ereditaria di un fratello che non è mai stato realmente coinvolto. Da qui nascono incomprensioni, conflitti, tensioni latenti che esplodono proprio nel momento della maggiore fragilità emotiva della famiglia.

Perché il trust può cambiare questa storia

Il trust consente di intervenire prima, in modo ordinato e strutturato, trasformando il lavoro di cura in un valore riconosciuto. Attraverso un trust assistenziale, il disponente può destinare una parte del patrimonio a chi lo ha assistito, non come “premio” o donazione, ma come riconoscimento di un’attività reale, misurabile e meritevole di tutela. La grande forza di questo strumento è la sua capacità di tradurre una volontà spesso non detta in un assetto chiaro e protetto. Nel trust, il caregiver non riceve un vantaggio casuale o improvviso: riceve ciò che la persona assistita ritiene giusto attribuirgli per gli anni di cura, dedizione e rinunce.

Come strutturare un trust che valorizzi davvero il lavoro di cura

Affinché il trust svolga correttamente la sua funzione è essenziale che la causa compensativa sia esplicitata con precisione. Il regolamento deve descrivere l’attività assistenziale svolta, la sua durata, le sue modalità, il sacrificio economico sostenuto, l’impatto sulla vita lavorativa del caregiver, le motivazioni profonde della scelta. Meglio ancora se la volontà è accompagnata da documenti clinici, testimonianze, certificazioni o semplici annotazioni scritte della persona assistita. La chiarezza della causa non serve solo a evitare contestazioni tra gli eredi: rende l’intera operazione giuridicamente solida, coerente e inattaccabile sotto il profilo della legittima.

La questione delicata della successione necessaria

Molti temono che un trust destinato al caregiver possa violare la quota dei legittimari. La giurisprudenza più recente mostra invece una crescente apertura quando il trust non è uno strumento elusivo, ma la risposta a un’esigenza concreta. Un trust progettato per compensare un lavoro di cura documentato gode di una presunzione di meritevolezza, perché non si tratta di un atto liberale, bensì di un riconoscimento proporzionato. La differenza è cruciale, posto che il diritto italiano non tutela solo la rigidità della legittima, ma anche la giustizia sostanziale nei rapporti familiari.

Un gesto che evita conflitti e restituisce dignità

È innegabile: la cura è un patrimonio immateriale. E come ogni patrimonio, merita una forma di protezione. Il trust non è un modo per “favorire qualcuno”, ma un modo per ripristinare equilibrio dove il diritto positivo spesso non arriva. Significa evitare guerre ereditarie, rendere trasparente la volontà del disponente, proteggere chi ha dato tanto e ha ricevuto poco, assicurando che il valore della cura non venga disperso nell’indeterminatezza dei rapporti familiari.

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