Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario

La Corte di Cassazione, con ordinanza del 13 luglio 2016, n. 14324, ha affermato che, in tema di accertamento c.d. redditometrico, il contribuente deve dimostrare la durata e l’entità dei redditi che integrano la prova contraria.

A tal fine, i redditi prodotti all’estero e fiscalmente irrilevanti in Italia possono quindi costituire prova contraria, se il contribuente dimostra che l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso possono costituire circostanze sintomatiche del fatto che la spesa per incrementi patrimoniali sia stata sostenuta proprio con tali redditi, non essendo invece necessaria la prova che l’esborso delle spese sia stato finanziato proprio tramite l’entrata di cassa rappresentata dai redditi esteri.

Ciò, sulla base della considerazione per la quale l’art. 38 del D.P.R. 600/1973 (vigente ratione temporis) non impone che la prova contraria sia costituita dalla dimostrazione per cui le disponibilità finanziarie sono state utilizzate per sostenere la spesa relativa all’incremento patrimoniale contestato, ma richiede una dimostrazione documentale sintomatica del fatto che ciò sia potuto, ragionevolmente, accadere.

Quindi, non soltanto il contribuente deve provare l’entità delle disponibilità finanziarie, ma deve anche dimostrarne il possesso per un periodo di tempo sufficiente. In altri termini, non basta che i redditi o le risorse economiche siano transitate nella disponibilità del contribuente, ma è necessario che siano rimasti in suo possesso, così da escludere che possano poi essere stati utilizzati per un successivo investimento (cfr. Cass. nn. 8995/2014, 17663/2014, 25104/2014, 14885/2015, 22944/2015).

Tutto ciò in relazione al “vecchio accertamento” redditometrico, perché, per quello nuovo, dall’art. 38 del D.P.R. 600/1973 è stata espunta la frase “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”, il che potrebbe significare un onere probatorio attenuato rispetto a quello che la norma previgente poneva in capo al contribuente.

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