Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
In tema di verifiche fiscali, la destinazione ad uso promiscuo di un locale, che non subordina l’autorizzazione all’accesso del Procuratore della Repubblica alla presenza di gravi indizi di violazioni, ricorre non soltanto nell’ipotesi in cui i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l’attività commerciale o professionale, ma ogni qualvolta l’agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento di documenti propri di detta attività nei locali abitativi. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza 28 marzo 2018, n. 7723.
La fattispecie prende le mosse dalla pronuncia con cui i giudici di seconde cure avevano respinto il ricorso in appello avverso la sentenza di primo grado che aveva dichiarato illegittimo un avviso di accertamento avente ad oggetto imposte sui redditi ed Iva, perché basato su un accesso svolto senza regolare autorizzazione dell’autorità giudiziaria.
Essi avevano, infatti, reputato corretto quanto affermato dai giudici di prime cure in quanto, secondo il loro ragionamento, la verifica fiscale veniva effettuata nell’abitazione privata del contribuente e per l’effetto richiedeva l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, la quale nulla prevedeva in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di violazione delle norme tributarie.
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