Di Angelo Ginex, Avvocato e Ph.D. in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners
Articolo pubblicato su “Patrimoni, finanza e internazionalizzazione n. 26/2020”
Con la riforma operata dalla L. 55/2006, nel nostro ordinamento giuridico, è stato introdotto l’istituto del patto di famiglia, al fine di consentire all’imprenditore di trasferire, in tutto o in parte, la propria azienda (anche sotto forma di partecipazione societaria) ad uno o più discendenti, nei limiti e nel rispetto delle norme sulle società e di quelle sull’impresa familiare.
Si tratta, sostanzialmente, di un contratto inter vivos ad effetti reali che comporta il trasferimento immediato della proprietà, così anticipando le disposizioni successorie, e che consente, da un lato, di prevenire liti ereditarie e la disgregazione di aziende o partecipazioni societarie e, dall’altro, di assegnare tale complesso di beni a soggetti idonei ad assicurare la continuità dell’impresa.
Al patto di famiglia devono partecipare, per ragioni di pubblicità e garanzia, oltre al disponente (che è il titolare d’azienda o delle partecipazioni societarie) e al discendente (ovvero, il soggetto o i soggetti cui la proprietà viene trasferita a titolo gratuito), anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari, ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell’imprenditore.
L’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni societarie deve liquidare gli altri partecipanti al contratto, ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte, con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote di legittima, a meno che dette quote non siano coperte dalla attribuzione di altri beni del disponente.
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