Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners – Studio Legale Tributario

Grava sull’Amministrazione finanziaria creditrice del de cuius l’onere di provare l’accettazione dell’eredità da parte dei chiamati al fine di poter esigere l’adempimento dell’obbligazione del loro dante causa. E’ questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione, con sentenza del 24 febbraio 2016, n. 3611.

La vicenda trae origine da un avviso di rettifica IVA impugnato dal contribuente e riassunto dall’Agenzia delle Entrate dopo la morte del de cuius con la chiamata in causa degli eredi individuati dalla denuncia di successione. I ricorrenti lamentavano che la mera delazione, che segue all’apertura della successione, non è di per sé sufficiente all’acquisto della qualità di erede, che consegue solo alla accettazione espressa o tacita dell’eredità. Dunque – ritenevano i medesimi -, se l’Ufficio non fornisce dimostrazione alcuna di tale qualità in capo ai presunti eredi, essi non possono essere chiamati a rispondere dei debiti tributari del defunto e va rilevata la loro estraneità al giudizio.

La Suprema Corte, condividendo in toto quanto sostenuto dai ricorrenti, cassava pertanto la sentenza della CTR della Lombardia, che non aveva tenuto conto di detta eccezione, affermando il seguente principio di diritto: “in tema di obbligazioni tributarie, grava sull’Amministrazione finanziaria creditrice del de cuius l’onere di provare l’accettazione dell’eredità da parte dei chiamati, per potere esigere l’adempimento dell’obbligazione del loro dante causa; tale onere non può essere assolto con la produzione della sola denuncia di successione, mentre è idoneamente adempiuto con la produzione degli atti dello stato civile, dai quali è dato coerentemente desumere quel rapporto di parentela con il de cuius che legittima alla successione ai sensi degli artt. 565 e ss. c.c., o di qualsiasi altro documento dal quale possa, con pari certezza, desumersi la sussistenza di detta qualità”.

In altri termini, secondo gli Ermellini, non può esservi dubbio che sulla parte istante incomba l’onere di provare la legittimazione passiva processuale dei soggetti ai quali la domanda o l’impugnazione sia stata notificata e, dunque, la loro avvenuta assunzione della qualità di erede per accettazione espressa o tacita, non essendo sufficiente la mera chiamata all’eredità, atteso che la legitimatio ad causam non si trasmette dal de cuius al chiamato per effetto della sola apertura della successione.

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