Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
In tema di reati tributari, laddove nella stessa dichiarazione annuale siano indicate differenti tipologie di elementi passivi fittizi, sulla base dell’annotazione di fatture per operazioni inesistenti e dell’impiego di altri documenti diversamente rappresentativi di una falsa realtà contabile, i delitti di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture per operazioni inesistenti e di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici concorrono, in quanto la clausola di salvaguardia contenuta nell’articolo 3 D.Lgs. 74/2000 ha la funzione di connotare tale fattispecie dell’ulteriore elemento differenziale dato dalla necessità che i mezzi fraudolenti siano diversi da documenti attestanti operazioni inesistenti, non potendo determinare l’assorbimento di tale reato in quello previsto dall’articolo 2 dello stesso decreto. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza 25 maggio 2018, n. 23616.
La fattispecie disaminata dalla Suprema Corte trae origine dalla condanna di un soggetto, amministratore di fatto di una S.r.l., alla pena della reclusione, da parte della Corte d’appello di Trento, per aver commesso i reati di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale e i reati di esposizione di elementi passivi fittizi attraverso l’annotazione di operazioni inesistenti sia mediante fatture fittizie sia tramite altri raggiri, relativamente ad una dichiarazione Iva.
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