IL TRUST AUTO-DICHIARATO SCONTA L'IMPOSTA DI DONAZIONE
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners - Studio Legale Tributario, da "Rivista di Diritto Bancario",
L’atto di costituzione del trust “autodichiarato” sconta immediatamente l’imposta di donazione con l’aliquota dell’8%. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza del 24 febbraio 2015, n. 3735 (in senso conforme, cfr. Cass. ordinanza del 24 febbraio 2015, n. 3737; Cass. ordinanza del 25 febbraio 2015, n. 3886), che stride irrimediabilmente con il prevalente orientamento della giurisprudenza tributaria di merito (cfr., ex multis CTP Reggio Emilia n. 418/2/14; CTR Milano n. 73/15/12).
Nella pronuncia in commento, i Giudici di Piazza Cavour, nell’esaminare il trattamento impositivo indiretto dell’atto di costituzione del trust, hanno affermato tout court che “l’atto di costituzione del trust con cui il disponente, al fine di rafforzare la propria garanzia patrimoniale a favore di istituti bancari, conferisce in trust i beni immobili di cui è proprietario, nominando se stesso come trustee, sconta l’imposta sulle successioni e donazioni con l’aliquota dell’8%”, con la conseguenza che l’applicazione dell’imposta avviene immediatamente e non è rimanda al momento in cui il trustee (amministratore) distribuirà il patrimonio del trust ai beneficiari.
Ciò, in considerazione di quanto disposto dall’art. 2, comma 47 del D.L. n. 262 del 2006, in virtù del quale “È istituita l'imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni …”. Secondo la Suprema Corte, da tale norma deriverebbe infatti che “l’imposta è istituita direttamente, ed in sé, sulla costituzione dei vincoli e non già sui trasferimenti di beni e diritti a causa della costituzione di vincoli di destinazione, come, invece, accade per le successioni e donazioni, in relazione alle quali è espressamente evocato il nesso causale”.
La vicenda traeva origine dalla notifica di un avviso di liquidazione per il recupero dell’imposta di donazione con l’aliquota dell’8%, a seguito della registrazione dell’atto di costituzione di un trust autodichiarato, con cui il settlor (disponente) conferiva in trust i beni immobili di cui era proprietario, al fine di rafforzare la propria garanzia patrimoniale a favore di alcuni istituti bancari. Tale atto prevedeva altresì che, al raggiungimento dello scopo principale, il fondo eventualmente residuato sarebbe stato destinato al soddisfacimento dei bisogni e delle esigenze della famiglia del settlor e che, al termine del trust, il beneficiario finale di quanto fosse residuato sarebbe stato il settlor stesso, se in vita, o altrimenti i suoi legittimi eredi.
I Giudici di primo grado rigettavano il ricorso proposto dal contribuente, mentre i Giudici di secondo grado accoglievano l’appello dallo stesso proposto, affermando che “per effetto della costituzione del trust”, il contribuente “non ha beneficiato di arricchimento alcuno, in quanto la segregazione dei beni era intesa esclusivamente alla prestazione di una garanzia. Per conseguenza, ha considerato, non è configurabile il presupposto impositivo dell’imposta sulle donazioni, ossia la liberalità; né è comunque prospettabile, in virtù della costituzione del trust, alcuna capacità contributiva del contribuente, nella qualità di trustee”.
L’Ufficio proponeva pertanto ricorso per cassazione per violazione e falsa applicazione di legge dell’art. 2, comma 47 del D.L. n. 262 del 2006, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., che veniva accolto dalla Suprema Corte, sulla base della considerazione per la quale l’art. 2, comma 47 citato, istituirebbe “l’imposta sulla costituzione di vincolo di destinazione” e che essa “… è un’imposta nuova, accomunata solo per assonanza alla gratuità delle attribuzioni liberali, altrimenti gratuite e successorie … ma conserva connotati peculiari e disomogenei rispetto a quelli dell’imposta classica sulle successioni e sulle donazioni”.
In altri termini, gli ermellini evidenziano come il Legislatore, nel disciplinare la “nuova” imposta sulle donazioni, abbia previsto che essa si applichi anche “sulla costituzione di vincoli di destinazione”, creando, in tal modo, una nuova fattispecie impositiva, diversa da quella relativa alle donazioni o agli atti a titolo gratuito, poiché, mentre l’applicazione dell’imposta di donazione su donazioni e atti a titolo gratuito implica l’esistenza di un trasferimento, l’applicazione dell’imposta di donazione ai vincoli di destinazione prescinde da ogni trasferimento.
Con riferimento al presupposto impositivo dell’imposta sul vincolo di destinazione, la Suprema Corte ha invece affermato che esso è correlato alla “predisposizione del programma di funzionalizzazione del diritto al perseguimento degli obiettivi voluti” e, dunque, lo individua nell’utilità economica che lo scopo del trust persegue. In sintesi, essa sembra affermare che l’utilità economica perseguita dal trust “grava” sul beneficiario finale del trust stesso, può realizzarsi anche a prescindere da un trasferimento e, in questi limiti, può essere fatta oggetto di imposizione.
Per quanto concerne l’aliquota con cui applicare l’imposta di donazione, i Giudici di legittimità optano per quella dell’8%, che sarebbe imposta dalla sua natura residuale, non potendo rinvenire alcun “beneficiario” in rapporto di parentela o affinità con il disponente (sebbene l’atto istitutivo del trust prevedesse che il fondo residuato dopo il raggiungimento dello scopo principale del trust venisse destinato al soddisfacimento dei bisogni e delle esigenze della famiglia del disponente e che, al termine del trust, il beneficiario finale fosse il disponente stesso o i suoi eredi, ove egli fosse deceduto).
La Corte di Cassazione, pur con argomentazioni differenti, sembra giungere alle medesime conclusioni cui era pervenuta l’Agenzia delle entrate, la quale, con circolare n. 3/2008, aveva precisato che “anche nel trust autodichiarato, in cui il settlor assume le funzioni di trustee, l’attribuzione dei beni in trust, pur in assenza di formali effetti traslativi, deve essere assoggettato all’imposta sulle successioni e donazioni”.
La soluzione cui pervengono i Giudici di Piazza Cavour stride irrimediabilmente con il prevalente orientamento della giurisprudenza tributaria di merito, la quale, ricostruendo l’istituto del trust come donazione “modale” o come donazione sottoposta a condizione sospensiva, sostiene che la costituzione del vincolo di destinazione non sarebbe da considerare quale manifestazione di capacità contributiva, in quanto l’intestazione dei beni al trustee sarebbe provvisoria e temporanea, non incrementerebbe il suo patrimonio e sarebbe una mera “situazione-ponte” in attesa della definitiva assegnazione dei beni ai beneficiari.
Alla luce di quanto sopra esposto, appare dunque evidente come, secondo la Suprema Corte, il Legislatore, disponendo che l’imposta sulle successioni e donazioni si applica all’istituzione del vincolo di destinazione, abbia inequivocabilmente attratto nell’area applicativa della norma tutti i regolamenti capaci di produrlo, compreso il trust.
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NULLA LA CARTELLA DI PAGAMENTO CON MOTIVAZIONE EQUIVOCA
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners - Studio Legale Tributario, da "Rivista di Diritto Bancario", 18 febbraio 2015.
È nulla la cartella di pagamento che contiene imprecisioni ed errori tali da non consentire al contribuente la verifica dell’iter logico-giuridico seguito dall’Amministrazione finanziaria per determinare l’ammontare dell’imposta. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza del 4 febbraio 2015, n. 1952, conformemente al prevalente orientamento della giurisprudenza tributaria di legittimità (cfr., ex multis Cass. n. 374/2015; Cass. n. 8934/2014; Cass. n. 20211/2013; Cass. n. 4516/2012).
Con la pronuncia in commento, i Giudici di Piazza Cavour, intervenendo sulla nota questione dell’obbligo di motivazione degli atti impositivi notificati al contribuente dall’Agenzia delle entrate o dal Concessionario della riscossione, hanno affermato tout court che la cartella di pagamento è nulla, qualora non sia possibile verificare l’iter logico-giuridico su cui essa si basa, in quanto “l’equivocità della motivazione finisce per rendere la cartella di pagamento ‘inammissibilmente generica’ e, quindi, utilizzabile per qualsiasi fattispecie”.
Ciò, in considerazione di quanto disposto dall’art. 7, comma 1, dello Statuto dei diritti del contribuente - peraltro significativamente intitolato, come rilevato dalla stessa Suprema Corte, "Chiarezza e motivazione degli atti" -, il quale statuisce che "gli atti dell'amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall'articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione".
La vicenda traeva origine dalla notifica di una cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato, ex art. 36-bis del D.P.R. 600/73, con cui l’Ufficio procedeva alla rettifica della liquidazione operata sul modello 770/2001 da un sostituto d’imposta per redditi soggetti a tassazione separata. Il contribuente proponeva ricorso, eccependo la nullità della cartella di pagamento per difetto di motivazione, in quanto non risultava segnatamente indicato con certezza quale organo avesse materialmente operato il pagamento, quali fossero le annualità cui fare riferimento per il calcolo dell’imposta, quali i criteri in base ai quali era stata applicata l’aliquota media e quali le modalità di calcolo utilizzate.
I Giudici di primo grado accoglievano il ricorso, dichiarando la nullità della cartella impugnata per difetto di motivazione, e successivamente tale decisione veniva confermata anche dai Giudici di appello, sulla base della considerazione per la quale “erano state iscritte a ruolo imposte in misura superiore rispetto a quelle dichiarate e liquidate, non si evincessero con certezza chi fossero stati i sostituti di imposta che avevano proceduto alla presentazione del modello 770/2001, il periodo assoggettato a controllo, le annualità prese a riferimento per il calcolo dell’imposta, l’aliquota e le modalità di calcolo”.
L’Ufficio proponeva pertanto ricorso per cassazione per violazione di legge dell’art. 7, Legge n. 212/2000 e dell’art. 3, D.P.R. n. 602/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., che veniva rigettato dalla Suprema Corte poiché la cartella di pagamento presentava “imprecisioni ed errori tali da non consentire al contribuente la verifica dell’iter logico-giuridico seguito dall’Agenzia delle Entrate o dal Concessionario della riscossione per determinare l’ammontare dell’imposta”.
In particolare, gli ermellini evidenziavano come, “oltre al dato decisivo dell’errore nell’indicazione delle annualità prese in considerazione per determinare l’aliquota media del biennio precedente …”, anche “l’equivocità della motivazione” della cartella aveva contribuito a renderla “inammissibilmente generica”, nella parte in cui si legge che “i dati sono stati desunti da dati esposti dal sostituto di imposta … e/o nel quadro RM del modello unico 2001 o nel quadro F del modello 730/2001”, tanto da lasciare al contribuente - “che per molteplici ragioni non potrebbe più avere a disposizione copia o riferimento del modello a suo tempo presentato, né può essere costretto ad ulteriori attività di ricerca per verificare la pretesa dell’ufficio impositore” - “l’incertezza circa il suo precedente comportamento”.
La soluzione cui pervengono i Giudici di Piazza Cavour consolida quel filone giurisprudenziale secondo cui è nulla la cartella di pagamento la cui motivazione sia equivoca (rectius, generica) e, quindi, tale da non consentire al contribuente la verifica dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'Amministrazione finanziaria.
Invero, la cartella di pagamento, quale tipico provvedimento esplicativo della volontà dell’Amministrazione finanziaria, è destinata ad incidere in via immediata ed unilaterale sulla sfera giuridica di un soggetto privato e, come tale, è necessario, ex lege, che la medesima sia dotata del contenuto motivazionale atto a fornire e garantire l’intelligibilità della pretesa tributaria, al fine di rendere edotto il contribuente dei motivi di fatto e di diritto, in base ai quali l’Ufficio ha avanzato la pretesa tributaria, così come previsto dall’art. 3, della Legge n. 241 del 1990.
Alla luce dei suesposti principi, appare dunque evidente come l’obbligo di indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'Amministrazione finanziaria sia ineludibile e, soprattutto, non surrogabile da una generica, quanto equivoca, motivazione, nel pieno rispetto del diritto di difesa del contribuente, che è costituzionalmente garantito dall’art. 24.
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