ILLEGITTIMI GLI ATTI SOTTOSCRITTI DA "FALSI" DIRIGENTI

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners – Studio Legale Tributario, da IPSOA Quotidiano, 29 aprile 2013

Sono illegittimi gli accertamenti e gli altri atti impositivi sottoscritti da dirigenti la cui delibera di nomina è priva di effetti. È illegittima la cartella di pagamento sottoscritta da personale privo della qualifica di dirigente a seguito di sospensione della delibera di nomina. È questo il principio sancito dalla Commissione Tributaria Provinciale di Messina con sentenza n. 128/1/13, depositata lo scorso 8 febbraio, la quale ha accolto il ricorso presentato dal contribuente avverso una cartella di pagamento, dichiarandone l’inesistenza poiché la stessa risultava sottoscritta da un soggetto il cui provvedimento di nomina dirigenziale era stato dichiarato privo di effetti.
Nel caso di specie, il Giudice del lavoro aveva sospeso infatti la nomina a dirigente del soggetto che aveva sottoscritto l’atto impugnato con ben due provvedimenti, ritenendo che il conferimento dell’incarico a funzioni dirigenziali fosse avvenuto in violazione delle procedure concorsuali previste dalle legge.
Secondo i Giudici del merito, l’Amministrazione finanziaria avrebbe potuto anche ricorrere all’istituto della prorogatio dei poteri (ovvero rendere validi gli atti di funzionari effettivamente, anche se illegittimamente, investiti dall’ufficio), ma se ciò si protrae oltre i quarantacinque giorni, in virtù di quanto disposto dalla legge n. 444 del 1994, l’organo amministrativo decade e, conseguentemente, tutti gli atti adottati dall’organo decaduto sono nulli così come sono nulli gli atti emanati nel periodo di proroga.
Con la pronuncia in commento, la Commissione tributaria provinciale di Messina afferma tout court l’illegittimità della cartella di pagamento sottoscritta da un dirigente la cui delibera di nomina sia stata sospesa e, conseguentemente, privata di effettiex tunc.
La pronuncia si ricollega alla nota questione dei circa 800 dirigenti dell’Agenzia delle Entrate nominati “illegittimamente” (ovvero senza regolare concorso e senza tenere in alcuna considerazione le graduatorie di precedenti concorsi), come sancito dal TAR del Lazio con
sentenza del 1° agosto 2011, n. 6884, che annullava la delibera del Comitato di gestione dell’Agenzia delle Entrate. Tale delibera aveva modificato l’art. 24, comma 2, del Regolamento di amministrazione, introducendo la possibilità di coprire quasi tutti i posti vacanti della dotazione organica dirigenziale. Al fine di evitare una paralisi del sistema fiscale in una fase di crisi economica, il Consiglio di Stato interveniva sospendendo la pronuncia del TAR e congelandone temporaneamente gli effetti.
Tuttavia ora tale rimedio risulta essere insufficiente.
In virtù di quanto stabilito dai Giudici siciliani, consegue infatti che gli atti sottoscritti dai circa 800 dirigenti dell’Agenzia delle Entrate nominati senza concorso rischiano di essere dichiarati illegittimi, almeno sino a quando il Consiglio di Stato non si sarà pronunciato.
Le conseguenze potrebbero essere gravissime sotto il profilo del danno erariale, ma positive per tutti i contribuenti raggiunti da atti impositivi sottoscritti da personale privo della qualifica di dirigente: tali atti, infatti, sarebbero qualificati completamente illegittimi.
Tuttavia, vista la difficoltà per il contribuente a reperire la lista dei circa 800 dirigenti “decaduti” su un totale di 1.143 dirigenti dell’Agenzia delle Entrate, viene spontaneo chiedersi: come può il contribuente sapere se il direttore provinciale o il soggetto che ha firmato l’atto o rilasciato la delega rientra tra quegli individui che, secondo quanto ritenuto dal TAR del Lazio, ricoprono un incarico con funzioni dirigenziali “illegittimo”?
Una strada percorribile potrebbe essere quella di eccepire, in via generale, l’eventuale vizio di sottoscrizione, sia del capo dell’ufficio (nell’attuale sistema, tale figura coincide con il direttore provinciale) sia del funzionario da questi delegato, nonostante l’oggettiva impossibilità circa il reperimento della predetta lista. Così operando, infatti, l’onere della prova in merito alla legittimazione attiva del soggetto sottoscrittore dell’atto impugnato verrebbe traslato in capo all’Amministrazione finanziaria resistente in giudizio e, in caso di mancato riscontro all’eccezione formulata, la medesima eccezione troverebbe accoglimento con conseguenziale annullamento dell’atto oggetto di impugnazione.

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LEGITTIMO L'AVVISO DI ACCERTAMENTO NOTIFICATO ALL'ENTE CHE HA CESSATO L'ATTIVITA'

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners – Studio Legale Tributario, da IPSOA Quotidiano, 22 aprile 2013

L’avviso di accertamento notificato all’ente in fase di liquidazione è pienamente legittimo, in quanto l’estinzione della persona giuridica consegue solo alla cancellazione della stessa dal Registro delle persone giuridiche. È questo il principio sancito dalla Commissione tributaria provinciale di Brindisi con sentenza n. 71 del 13 marzo 2013, conformemente al prevalente orientamento della giurisprudenza tributaria di legittimità (cfr. Cass., sentenza 11 maggio 2012, n. 7327).
Con la pronuncia in commento, la CTP di Brindisi afferma tout court che la cessazione dell’attività non è motivo di estinzione dell’ente e, in ogni caso, né essa né la deliberazione di scioglimento o l’accertamento dell’estinzione valgono a determinare la fine della persona
giuridica, che si verifica solo allorquando, terminata la procedura di liquidazione, l’ente viene cancellato dal Registro delle persone giuridiche.
Nel caso di specie, il ricorrente (un’associazione riconosciuta) eccepiva la nullità di una cartella di pagamento, in quanto emessa a seguito di più avvisi di accertamento notificati quando l’ente era da considerarsi - a suo dire - già estinto per intervenuta cessazione dell’attività.
Secondo i Giudici del merito, le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato acquistano la personalità giuridica mediante il riconoscimento determinato dall’iscrizione nel Registro delle persone giuridiche, ai sensi dell’art. 1, D.P.R. n. 361/2000.
In attuazione di tale principio, i provvedimenti che ordinano lo scioglimento o accertano l’estinzione dell’ente devono essere iscritti nel Registro delle persone giuridiche. Ciò, in considerazione di quanto disposto dall’art. 4, D.P.R. n. 361/2000, secondo cui “nel registro devono altresì essere iscritti […] i provvedimenti che ordinano lo scioglimento o accertano l'estinzione, il cognome e nome dei liquidatori e tutti gli altri atti e fatti la cui iscrizione è espressamente prevista da norme di legge o di regolamento”.
La CTP di Brindisi, in virtù di quanto detto innanzi, stabilisce pertanto che né la cessazione dell’attività né la deliberazione di scioglimento o l’accertamento dell’estinzione valgono a determinare la fine della persona giuridica. L’estinzione si verifica solo quando, chiusa la procedura di liquidazione, l’ente viene cancellato dal Registro delle persone giuridiche.
Tra l’altro, i Giudici rilevano che, argomentando a contrariis, si giungerebbe alla conclusione che è nullo il ricorso proposto da ente (giuridicamente) inesistente, rappresentato e difeso da legale munito di mandato (giuridicamente) inesistente, in quanto conferito da persona fisica qualificatasi rappresentante legale di un’associazione (giuridicamente) inesistente.
La sentenza dei Giudici brindisini si innesta nel solco tracciato dalla giurisprudenza di legittimità con le ormai celebri sentenze n. 4061, n. 4062 e n. 4063 del 2010 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, da cui giurisprudenza unanime ha ricavato successivamente il noto principio secondo cui la cancellazione della società comporta l’estinzione di ogni rapporto giuridico riferibile all’ente.
Ma non solo. La pronuncia consolida il filone giurisprudenziale inaugurato dalla Corte di Cassazione con sentenza del 11 maggio 2012, n. 7327, secondo cui “nelle ipotesi in cui una società si estingue (solo a seguito di cancellazione dal Registro delle imprese), il processo tributario, da quest'ultima instaurato ed avente ad oggetto l'impugnazione di un avviso di accertamento emesso nei confronti di tale società, non può proseguire nei confronti di quest'ultima perché non più esistente”.

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CON RICORSO INAMMISSIBILE, ISCRIZIONE A RUOLO SOLO DOPO L'ESAURIMENTO DELLA LITE

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners – Studio Legale Tributario, da IPSOA Quotidiano, 5 aprile 2013

Il termine di decadenza per l’iscrizione di somme a ruolo decorre da quando l’accertamento è divenuto definitivo, ovvero, se è stato proposto ricorso, da quando il processo si è esaurito. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza del 27 marzo 2013, n. 7690, conformemente al prevalente orientamento della giurisprudenza tributaria di legittimità (Cass. n. 105/2008; Cass. n. 23173/2005; Cass. n. 11804/2006; Cass. n. 11222/2002).
Con la pronuncia in commento, i Giudici di Piazza Cavour, intervenendo sulla questione della decorrenza del termine, previsto a pena di decadenza, per l’iscrizione di somme a ruolo, hanno affermato che tale termine – quando l’accertamento sia stato impugnato, ma il ricorso sia dichiarato inammissibile – decorre dalla “definitività” della pronuncia di inammissibilità dello stesso.
Ciò in considerazione di quanto disposto dall’art. 17 del D.P.R. 602/1973 (norma che, allo stato attuale, corrisponde all’art. 25 del D.P.R. 602/1973), secondo cui “Le somme dovute dai contribuenti sono iscritte in ruoli resi esecutivi a pena di decadenza: ….. c) entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo, per le somme dovute in base agli accertamenti dell’ufficio”.
La Suprema Corte afferma tout court che, in ipotesi di avvenuta proposizione di ricorso, deve ritenersi che l’accertamento non possa considerarsi definitivo sino a quando vi sia la pendenza della lite ed il giudizio non si sia concluso con una esplicita pronuncia, sia pure di inammissibilità ovvero di improcedibilità.
Quindi un avviso di accertamento impugnato in modo inammissibile o improcedibile non potrebbe considerarsi definitivo fino a che la lite che lo concerne, sia pure irregolarmente instaurata, non si sia chiusa. In altri termini, secondo i Giudici di legittimità, qualora il ricorso proposto dal contribuente sia dichiarato inammissibile, la data dalla quale deve considerarsi definitivo il provvedimento impugnato, con conseguente decorrenza del termine per l’iscrizione a ruolo, è quella in cui si chiude il giudizio e non quella antecedente nella quale il ricorso diviene inammissibile.
La soluzione adottata dalla Suprema Corte trova il proprio fondamento giuridico nel concetto di litispendenza della lite ed esclude che la pronuncia di inammissibilità del ricorso accerti una definitività già verificatasi, facendo retroagire così il termine di decadenza. L’atto impugnato non può dirsi pertanto definitivo finché il giudizio non si sia concluso con una esplicita pronuncia.
La sentenza della Corte di Cassazione consolida quel filone giurisprudenziale (Cass. n. 105/2008; Cass. n. 23173/2005; Cass. n. 11804/2006; Cass. n. 11222/2002), secondo cui la pendenza della lite deve essere intesa in senso formale e non viene assolutamente esclusa da una successiva pronuncia di inammissibilità o improcedibilità: infatti, perché l’accertamento sia considerato definitivo, ove lo stesso sia stato impugnato, occorre l’esaurimento della lite.
Alla luce dei suesposti principi, la cartella di pagamento deve essere notificata, a pena di decadenza, ex art. 25 del D.P.R. 602/1973, entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo.
Tale momento, laddove sia stato instaurato il contenzioso, coinciderà con:
a) il decorso dei termini per l’appello della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale;
b) il decorso dei termini per il ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale;
c) il deposito della sentenza della Corte di Cassazione, salvo il caso della sentenza di cassazione con rinvio.

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