LIQUIDAZIONE DELL'IMPRESA: CHI RISPONDE DEI DEBITI FISCALI?

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocaoto, Ginex & Partners – Studio Legale Tributario

Il tema della responsabilità per i debiti fiscali delle società cancellate dal Registro delle Imprese è sempre attuale.

Il nostro sistema prevede che con l’iscrizione della cancellazione dal Registro delle Imprese si determina la sicura estinzione della società, anche qualora, successivamente, emergano rapporti societari non risolti e, in particolare, debiti non soddisfatti.
Tuttavia, l’articolo 2495 del codice civile (rubricato "cancellazione della società") è molto chiaro a riguardo. La disposizione in esame prevede che, ferma restando l’estinzione della società di capitali dopo la cancellazione, i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci fino a concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione.

D'altronde, anche i giudici della Corte di Cassazione, con sentenza del 26 giugno 2015, n. 13259, avevano chiarito che è inutile chiudere l’azienda al solo scopo di non voler pagare i debiti con il Fisco o con Equitalia. Ovviamente la questione non è così immediata e non può essere liquidata con questa semplice affermazione.

Se l’Amministrazione Finanziaria vuole recuperare dai soci le imposte dovute dalla società chiusa e cancellata dal Registro delle Imprese, deve dimostrare l’esistenza di un attivo di liquidazione e l’ammontare di tale attivo (in altri termini, deve dimostrare l’ammontare di quanto ha percepito ciascun socio in fase di liquidazione della società).
In questo caso, come si evince e contrariamente a quanto accade in genere, l’onere della prova ricade sull'Amministrazione finanziaria.

I giudici della Suprema Corte hanno ricordato che la cancellazione dal Registro delle Imprese costituisce il presupposto della proponibilità dell’azione direttamente nei confronti dei soci, ma solo a condizione che questi abbiano percepito somme in sede di liquidazione del bilancio finale.

La responsabilità personale del socio (che scatta solo dopo la chiusura della società) non può estendersi al patrimonio personale, ma si limita a quanto il socio ha realmente ricevuto con il bilancio di liquidazione.
Ne consegue che se, in fase di liquidazione, al socio viene riconosciuta, ad esempio, una quota di 2.000,00 euro per i debiti verso l’erario ma anche per quelli verso i fornitori o le banche, il socio risponderà solo fino alla soglia di 2.000,00 euro.
Nulla devono e non rispondono di alcun debito della società estinta, i soci che invece non hanno percepito nulla dalla fase di liquidazione della società.

Dunque, l’Agenzia delle Entrate può chiedere il saldo dei debiti della società cancellata, solo quando dimostra che nella fase della liquidazione ci sia stata una distribuzione di attivo della società stessa.

© Riproduzione riservata


LIQUIDAZIONE DELL'IMPRESA: CHI RISPONDE DEI DEBITI FISCALI?

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocaoto, Ginex & Partners – Studio Legale Tributario

Il tema della responsabilità per i debiti fiscali delle società cancellate dal Registro delle Imprese è sempre attuale.

Il nostro sistema prevede che con l’iscrizione della cancellazione dal Registro delle Imprese si determina la sicura estinzione della società, anche qualora, successivamente, emergano rapporti societari non risolti e, in particolare, debiti non soddisfatti.
Tuttavia, l’articolo 2495 del codice civile (rubricato "cancellazione della società") è molto chiaro a riguardo. La disposizione in esame prevede che, ferma restando l’estinzione della società di capitali dopo la cancellazione, i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci fino a concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione.

D'altronde, anche i giudici della Corte di Cassazione, con sentenza del 26 giugno 2015, n. 13259, avevano chiarito che è inutile chiudere l’azienda al solo scopo di non voler pagare i debiti con il Fisco o con Equitalia. Ovviamente la questione non è così immediata e non può essere liquidata con questa semplice affermazione.

Se l’Amministrazione Finanziaria vuole recuperare dai soci le imposte dovute dalla società chiusa e cancellata dal Registro delle Imprese, deve dimostrare l’esistenza di un attivo di liquidazione e l’ammontare di tale attivo (in altri termini, deve dimostrare l’ammontare di quanto ha percepito ciascun socio in fase di liquidazione della società).
In questo caso, come si evince e contrariamente a quanto accade in genere, l’onere della prova ricade sull'Amministrazione finanziaria.

I giudici della Suprema Corte hanno ricordato che la cancellazione dal Registro delle Imprese costituisce il presupposto della proponibilità dell’azione direttamente nei confronti dei soci, ma solo a condizione che questi abbiano percepito somme in sede di liquidazione del bilancio finale.

La responsabilità personale del socio (che scatta solo dopo la chiusura della società) non può estendersi al patrimonio personale, ma si limita a quanto il socio ha realmente ricevuto con il bilancio di liquidazione.
Ne consegue che se, in fase di liquidazione, al socio viene riconosciuta, ad esempio, una quota di 2.000,00 euro per i debiti verso l’erario ma anche per quelli verso i fornitori o le banche, il socio risponderà solo fino alla soglia di 2.000,00 euro.
Nulla devono e non rispondono di alcun debito della società estinta, i soci che invece non hanno percepito nulla dalla fase di liquidazione della società.

Dunque, l’Agenzia delle Entrate può chiedere il saldo dei debiti della società cancellata, solo quando dimostra che nella fase della liquidazione ci sia stata una distribuzione di attivo della società stessa.

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LA PRESCRIZIONE DELL'AZIONE DI RIPETIZIONE DEL CLIENTE NEL RAPPORTO BANCARIO

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners – Studio Legale Tributario

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 24418/2010, hanno distinto le rimesse ripristinatorie dalle rimesse solutorie nei rapporti bancari, in ordine alla decorrenza della prescrizione del diritto del cliente alla ripetizione degli importi indebitamente versati alla banca.
In particolare, la Suprema Corte ha stabilito che la prescrizione decennale dell'azione di ripetizione da parte del cliente delle somme addebitate nei rapporti bancari inizia a decorrere dalla chiusura del rapporto per le rimesse ripristinatorie (eseguite cioè in presenza di un affidamento concesso e nei limiti dello stesso, quale ripristino della disponibilità ottenuta con il fido), ed invece da ogni singolo addebito per le rimesse solutorie (eseguite cioè in assenza di affidamento o oltre l’affidamento concesso, in cui la rimessa ha l'effetto di estinguere il debito del cliente verso la banca).
Pertanto, nel primo caso (rimesse ripristinatorie), la prescrizione inizia a decorrere dalla formale chiusura del rapporto; nel secondo caso (rimesse solutorie), la prescrizione decorre anche durante il rapporto, dalla data di ogni singolo addebito per cui è domandata la restituzione alla banca.
Dunque, nel primo caso, ogni addebito non dovuto è richiedibile alla banca dal cliente senza alcun limite temporale; nel secondo caso, invece, sono richiedibili soltanto gli addebiti dell'ultimo decennio anteriore alla messa in mora o alla citazione in giudizio della banca.

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