NIENTE ACCERTAMENTO AI SOCI SE IL MAGGIOR UTILE NON TRANSITA SUL CONTO ECONOMICO

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

Nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, l’utile che non transita sul conto economico si presume non sia stato distribuito ai soci e quindi è infondata la contestazione del fisco sul costo derivante dall’immobile della società, regolarmente registrata e fatturata, motivo per cui, nella specie, non opera la presunzione di distribuzione degli utili extra-bilancio ai soci. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 19442, depositata ieri 8 luglio.

La fattispecie disaminata dai giudici di vertice prende le mosse da un avviso di accertamento, emesso nei confronti del socio di una s.r.l. con il quale gli veniva attribuito, in proporzione alla sua quota di partecipazione, un reddito derivante da maggiori utili extracontabili accertati in capo alla società.

Detto atto veniva impugnato dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale dal contribuente, il quale contestava di non essere stato messo al corrente dell’attività di accertamento da parte dell’Ufficio e che fosse stato indebitamente determinato nei suoi confronti un maggior reddito mai percepito.

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NIENTE ACCERTAMENTO AI SOCI SE IL MAGGIOR UTILE NON TRANSITA SUL CONTO ECONOMICO

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

Nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, l’utile che non transita sul conto economico si presume non sia stato distribuito ai soci e quindi è infondata la contestazione del fisco sul costo derivante dall’immobile della società, regolarmente registrata e fatturata, motivo per cui, nella specie, non opera la presunzione di distribuzione degli utili extra-bilancio ai soci. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 19442, depositata ieri 8 luglio.

La fattispecie disaminata dai giudici di vertice prende le mosse da un avviso di accertamento, emesso nei confronti del socio di una s.r.l. con il quale gli veniva attribuito, in proporzione alla sua quota di partecipazione, un reddito derivante da maggiori utili extracontabili accertati in capo alla società.

Detto atto veniva impugnato dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale dal contribuente, il quale contestava di non essere stato messo al corrente dell’attività di accertamento da parte dell’Ufficio e che fosse stato indebitamente determinato nei suoi confronti un maggior reddito mai percepito.

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SÌ ALL'OMESSA DICHIARAZIONE SE L'IMPUTATO NON CHIEDE AL COMMERCIALISTA CONFERMA SULL'INVIO

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

Nel reato di omessa dichiarazione, laddove il soggetto obbligato si sia avvalso dell’operato di un professionista, il dolo specifico di evasione è provato dalla mancanza di ulteriori contatti con questo diretti a verificare l’invio della dichiarazione ovvero ad accertare l’esistenza di ulteriori adempimenti, così come dalla ripetizione del medesimo comportamento nel successivo periodo di imposta.

Sono questi gli interessanti principi desumibili dall’iter argomentativo espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 25530, depositata ieri 6 luglio.

Nel caso di specie, il legale rappresentante di una s.r.l. veniva condannato alla pena di otto mesi di reclusione (oltre sanzioni accessorie), per il reato di cui all’articolo 5 D.Lgs. 74/2000 relativamente all’omessa presentazione delle dichiarazioni annuali dei redditi e IVA per il periodo di imposta 2012.

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INAMMISSIBILE IL RICORSO PER CASSAZIONE PRIVO DELL'ESPOSIZIONE DEL FATTO

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

È inammissibile il ricorso per Cassazione contenente direttamente l’illustrazione dei motivi e privo dell’esposizione del fatto: in tal caso non può dirsi osservato il requisito previsto dall’articolo 366, n. 3, cod. proc. civ.in quanto l’atto d’impugnazione in sede di legittimità deve essere tale da garantire ai giudici di legittimità una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale conseguente.

È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 18719, depositata ieri 1° luglio.

Il caso sottoposto all’attenzione dei giudici di vertice trae origine da un’azione di risarcimento danni intrapresa dal conduttore di un immobile per l’omessa manutenzione a carico del locatore.

Il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda stabilendo che il canone di locazione dovesse essere ridotto. In particolare, sulla scorta della CTU, era emerso che l’immobile locato con i due contratti di locazione non corrispondesse a quello effettivamente consegnato e goduto, dovendo essere quello catastale di consistenza metrica maggiore.

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PROCEDURA PER GLI IRREPERIBILI ASSOLUTI SOLO CON INDICAZIONE DELLE RICERCHE COMPIUTE

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di notifiche degli atti impositiviè illegittima la notificazione degli avvisi e degli atti tributari impositivi effettuata ai sensi dell’articolo 60, comma 1, lett. e), D.P.R. 600/1973, laddove il messo notificatore abbia attestato la sola irreperibilità del destinatario nel Comune ove è situato il domicilio fiscale del contribuente e spedito la raccomandata informativa ex articolo 140 cod. proc. civ., appostando la dicitura “sconosciuto all’indirizzo”senza ulteriore ripresa del processo notificatorio con indicazione delle ricerche compiute per verificare che il trasferimento non sia un mero mutamento di indirizzo all’interno dello stesso Comune; dovendosi procedere secondo le modalità di cui all’articolo 140 cod. proc. civ. quando non risulti un’irreperibilità assoluta del notificato all’indirizzo conosciuto, la cui attestazione non può essere fornita dalla parte nel corso del giudizio.

Sono queste le conclusioni rassegnate dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 18061, depositata ieri 24 giugno.

La fattispecie in esame prende le mosse dalla impugnazione di una comunicazione di avvenuta iscrizione ipotecaria, di cui si contestava l’illegittimità per omessa notifica di una delle quattro prodromiche cartelle di pagamento. Il ricorso veniva accolto dalla competente Commissione tributaria provinciale, la quale annullava l’atto impugnato. Pertanto, l’agente della riscossione proponeva appello, ma la Commissione tributaria regionale della Lombardia confermava la prima decisione, precisando che la notifica della cartella, effettuata ai sensi dell’articolo 60 D.P.R. 600/1973, fosse illegittima senza il successivo invio della raccomandata, atteso che l’ente della riscossione, in presenza di domicilio fiscale o della residenza nel Comune, avrebbe dovuto procedere ai sensi dell’articolo 140 cod. proc. civ. e non con la procedura semplificata di cui al citato articolo 60.

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È ONERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE PROVARE CHE LE FATTURE PRESSO I CLIENTI SONO STATE EMESSE DAL FORNITORE

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di accertamento, nel caso di fatture reperite nella documentazione contabile di un cliente che le utilizza come fonti di costi deducibili, è onere dell’Agenzia delle Entrate provare che tali fatture sono state emesse dal (presunto) fornitore.

È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 17727, depositata ieri 22 giugno.

La fattispecie disaminata dai giudici di vertice trae origine da una verifica fiscale eseguita nei confronti di una società e poi estesa ad una ditta individuale, in seguito alla quale emergeva che questa avesse emesso una fattura per l’anno 2005 e tre per l’anno 2006, mai registrate ed in relazione alle quali non aveva versato l’IVA, mentre invece la società ricevente l’aveva portata in detrazione.

Dalla verifica fiscale risultava altresì che le fatture fossero fittizie, in quanto la ditta aveva lavorato per conto della società verificata fino all’annualità 2004 e le attività indicate non erano mai state eseguite nelle annualità 2005 e 2006. L’imprenditore impugnava l’accertamento emesso nei confronti della sua ditta ai fini Iva per gli anni 2005 e 2006, deducendo che le fatture erano state falsamente predisposte da terzi, che erano difformi da quelle emesse dalla sua ditta in occasione di altre prestazioni reali e che per tale ragione aveva presentato denuncia-querela nei confronti della società.

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ACCERTAMENTO INDUTTIVO PURO IN CASO DI INVENTARIO CON RIMANENZE NON DISTINTE PER CATEGORIE OMOGENEE

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’inventario ometta di indicare e valorizzare le rimanenze con raggruppamento per categorie omogenee, in violazione dell’articolo 15, comma 2, D.P.R. 600/1973, si determina un ostacolo nell’analisi contabile dell’amministrazione finanziaria, sicché ne discendono l’incompletezza e l’inattendibilità delle scritture contabili, che giustificano anche l’accertamento induttivo puro ex articolo 39, comma 2, lett. d), D.P.R. 600/1973, ed il ricorso anche alle presunzioni cc.dd. supersemplici, ossia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

È questo il principio di diritto ribadito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 17244, depositata ieri 17 giugno.

Il caso sottoposto all’attenzione dei giudici di vertice trae origine dalla notifica ad un contribuente di un avviso di accertamento e di irrogazione di sanzioni, con riferimento all’esercizio 2006. Con tale atto veniva rideterminato quanto dovuto ai fini Irpef, Iva ed Irap e dunque venivano accertati maggiori ricavi in quanto il contribuente era risultato non coerente per il ricarico in relazione allo studio di settore di riferimento. Dunque, l’Ufficio aveva proceduto ad accertamento induttivo puro, ai sensi dell’articolo 39, comma 2, D.P.R. 600/1973, in seguito all’applicazione del metodo del “costo del venduto”.

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È NULLO L'ATTO DI VARIAZIONE DEL CLASSAMENTO CATASTALE NON NOTIFICATO AGLI EREDI

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di accertamento, l’atto di modifica del classamento catastale, nell’ipotesi in cui l’intestatario della partita sia deceduto, deve essere notificato a pena di nullità agli eredi, non realizzandosi, in difetto di ciò, la condizione legale di efficacia della modificazione di detto classamento. A tal fine, non assume alcuna rilevanza l’inadempimento dell’obbligo di richiedere la voltura catastale dell’intestazione dell’immobile oggetto di successione. Sono queste le conclusioni rassegnate dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 16813, depositata ieri 15 giugno.

Nel caso di specie, gli eredi di un contribuente impugnavano la revisione di classamento relativa ad un immobile di cui erano diventati comproprietari, ma la competente Commissione tributaria provinciale riteneva il ricorso inammissibile in quanto l’atto impugnato non era mai stato notificato ai ricorrenti e inoltre non rientrava nel novero degli atti impugnabili ai sensi dell’articolo 19 D.Lgs. 546/1992.

La decisione veniva riformata dai giudici di appello i quali ritenevano che, sebbene gli eredi del de cuius fossero venuti a conoscenza della variazione del classamento tramite una visura catastale (e non tramite un atto di variazione notificato dall’Amministrazione finanziaria), questi avevano interesse a proporre l’azione per l’annullamento dell’atto impugnato.

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NON RIQUALIFICABILE IN CESSIONE DI TERRENO EDIFICABILE LA VENDITA DEL FABBRICATO POI DEMOLITO

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di imposte sui redditi, la cessione di un fabbricato non può essere riqualificata in cessione di terreno edificabile per il sol fatto che prima di tale vendita l’acquirente abbia manifestato l’intenzione di demolire il fabbricato e costruire un complesso residenziale. Conseguentemente, non è possibile porre a carico del venditore di detto fabbricato una (affermata) plusvalenza anche solo commisurata all’ulteriore capacità edificatoria non (ancora) sviluppata.

Sono queste le conclusioni rassegnate dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 16374, depositata ieri 10 giugno.

La vicenda in esame prende le mosse dalla compravendita di un fabbricato, che era stata preceduta dalla presentazione da parte dell’acquirente di una dichiarazione di inizio attività finalizzata alla demolizione dello stesso e alla successiva costruzione di un complesso residenziale. Ritenendo di essere in presenza di una vendita di terreno edificabile e, quindi, di dover assoggettare a tassazione separata la relativa plusvalenza, l’Amministrazione finanziaria notificava ai venditori di detto fabbricato due avvisi di accertamento con cui riprendeva a tassazione tale plusvalenza, determinata ai sensi dell’articolo 68, commi 1 e 2, Tuir.

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È ILLEGITTIMA LA CARTELLA PRIVA DI MOTIVAZIONE SULL'ISCRIZIONE A RUOLO STRAORDINARIO

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di riscossione, è illegittima la cartella di pagamento che non rechi le ragioni dell’iscrizione a ruolo straordinario, risultando compromesso il diritto di difesa del contribuente in violazione dei principi generali in materia di motivazione degli atti tributari. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 15940, depositata ieri 8 giugno.

La fattispecie disaminata dai giudici di vertice trae origine dalla notifica di una cartella di pagamento relativa ad Irpeg e Irap, in seguito ad iscrizione a ruolo straordinario. Avverso l’atto impositivo la società proponeva ricorso, il quale veniva accolto in quanto la Commissione tributaria provinciale riteneva che detto atto fosse privo di motivazione in ordine alla sussistenza del “pericolo per la riscossione”. L’Amministrazione finanziaria proponeva appello, ma la Commissione tributaria regionale lo rigettava, rilevando che non fosse sufficiente il mero rinvio all’avviso di accertamento e che quindi mancava il presupposto fondante dell’iscrizione nel ruolo straordinario.

Pertanto, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso in Cassazione deducendo la violazione e falsa applicazione dell’articolo 7, L. 212/2000 e degli articoli 11, 12, 15-bis, D.P.R. 602/1973.

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