OMESSO VERSAMENTO DI RITENUTE SOLO CON IL RILASCIO DELLA CERTIFICAZIONE
di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners
In tema di reati tributari, affinché possa ritenersi configurato, in capo al sostituto d’imposta, il delitto di omesso versamento di ritenute ex articolo 10-bis D.Lgs. 74/2000, deve esservi, secondo la formulazione vigente ante D.Lgs. 158/2015, la prova del rilascio delle certificazioni ai sostituiti d’imposta, essendo questo un elemento costitutivo del reato che non può essere surrogato dalla mera avvenuta presentazione del modello 770. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 20928, depositata ieri 27 maggio.
La fattispecie in esame prende le mosse dalla condanna del legale rappresentante di una s.r.l. alla pena di sei mesi di reclusione per il reato di cui all’articolo 10-bis D.Lgs. 74/2000 per aver omesso il versamento, in qualità di sostituto d’imposta, delle ritenute sulle retribuzioni corrisposte ai propri dipendenti e riferite all’anno 2013 per un ammontare superiore alla soglia di punibilità.
La Corte di appello di Caltanissetta confermava integralmente la pronuncia resa all’esito del primo grado di giudizio e, pertanto, l’imputato proponeva ricorso per cassazione, lamentando segnatamente la violazione di legge in relazione all’articolo 10-bis D.Lgs. 74/2000, oltre al vizio motivazionale.
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APPLICABILE IL CUMULO GIURIDICO AL COMMERCIALISTA CHE TRASMETTE IN RITARDO LE DICHIARAZIONI
di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners
In tema di sanzioni amministrativo-tributarie, al commercialista che, dopo aver ricevuto da più contribuenti oltre il termine di presentazione in via telematica le dichiarazioni fiscali, provvede alla trasmissione delle stesse all’Amministrazione finanziaria oltre il termine di trenta giorni di cui all’articolo 3, comma 7-ter, D.P.R. 322/1998, si applica la sanzione prevista dall’articolo 7-bis D.Lgs. 241/1997.
Tale condotta integra una violazione formale nella ipotesi in cui il ritardo nella trasmissione delle suddette dichiarazioni non incida sulla posizione fiscale dei contribuenti perché questi hanno comunque provveduto a pagare l’imposta scaturente dalle dichiarazioni, con la conseguenza che, sebbene vi sia un concorso materiale, trova applicazione il cumulo giuridico ai sensi dell’articolo 12, comma 1, D.Lgs. 472/1997.
Sono queste le conclusioni rassegnate dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 14246 depositata ieri 25 maggio, la quale si inserisce in un panorama giurisprudenziale che tende a consolidarsi.
La fattispecie disaminata dai giudici di vertice trae origine dalla notifica ad un commercialista di un avviso di contestazione della tardiva trasmissione telematica di 34 dichiarazioni fiscali di alcuni dei suoi clienti, con sanzioni per l’ammontare complessivo di euro 18.060,00 (euro 516,00 per ogni dichiarazione).
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TRUST: LO STRANO CASO DELLA RETROCESSIONE DEI BENI
di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners
L'articolo 2 della Convenzione dell'Aja definisce il trust come quel rapporto giuridico istituito da una persona (detta disponente o settlor), mediante un atto tra vivi o a causa di morte, in virtù del quale un determinato soggetto (chiamato trustee o fiduciario) gestisce i beni del disponente per uno scopo specifico o nell'interesse di uno o più beneficiari. In via generale, quindi, è possibile distinguere tra il trust di scopo, ipotesi nella quale i beni del disponente devono essere gestiti dal trustee al fine di raggiungere un determinato fine, e il trust con beneficiario, che si ha quando i beni trasferiti in trust devono essere amministrati nell'interesse di uno o più beneficiari.
Con specifico riferimento al trust in favore di un beneficiario, ancorché appaia un'ipotesi remota e certamente non il naturale esito di una simile disposizione patrimoniale, può anche accadere che questi rinunci alla propria posizione giuridica, ovvero al trasferimento finale dei beni conferiti in trust. Più precisamente, in questo caso, il disponente, preso atto della dichiarazione di rinuncia irrevocabile da parte del beneficiario, non può fare altro che chiedere al trustee di cessare anticipatamente il trust, provvedendo quindi alla retrocessione in suo favore dei beni originariamente disposti in trust.
Diventa interessante allora capire quali siano gli effetti fiscali di questa strana eventualità, soprattutto ai fini dell'applicazione delle imposte di registro, ipotecaria, catastale e sulle donazioni.
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TRUST: LO STRANO CASO DELLA RETROCESSIONE DEI BENI
di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners
L'articolo 2 della Convenzione dell'Aja definisce il trust come quel rapporto giuridico istituito da una persona (detta disponente o settlor), mediante un atto tra vivi o a causa di morte, in virtù del quale un determinato soggetto (chiamato trustee o fiduciario) gestisce i beni del disponente per uno scopo specifico o nell'interesse di uno o più beneficiari. In via generale, quindi, è possibile distinguere tra il trust di scopo, ipotesi nella quale i beni del disponente devono essere gestiti dal trustee al fine di raggiungere un determinato fine, e il trust con beneficiario, che si ha quando i beni trasferiti in trust devono essere amministrati nell'interesse di uno o più beneficiari.
Con specifico riferimento al trust in favore di un beneficiario, ancorché appaia un'ipotesi remota e certamente non il naturale esito di una simile disposizione patrimoniale, può anche accadere che questi rinunci alla propria posizione giuridica, ovvero al trasferimento finale dei beni conferiti in trust. Più precisamente, in questo caso, il disponente, preso atto della dichiarazione di rinuncia irrevocabile da parte del beneficiario, non può fare altro che chiedere al trustee di cessare anticipatamente il trust, provvedendo quindi alla retrocessione in suo favore dei beni originariamente disposti in trust.
Diventa interessante allora capire quali siano gli effetti fiscali di questa strana eventualità, soprattutto ai fini dell'applicazione delle imposte di registro, ipotecaria, catastale e sulle donazioni.
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VALIDO L'AVVISO DI ACCERTAMENTO EFFETTUATO PRESSO IL VECCHIO DOMICILIO FISCALE
di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners
In tema di accertamento, nella ipotesi in cui l’avviso di accertamento venga notificato presso il vecchio domicilio fiscale del contribuente, tale notifica è valida se l’indirizzo è quello indicato nella dichiarazione dei redditi, l’unico da tenere in considerazione in virtù del principio dell’affidamento che deve informare la condotta di entrambi i soggetti del rapporto tributario. Sono queste le conclusioni cui è giunta la Corte di Cassazione con ordinanza n. 13843, depositata ieri 20 maggio.
La vicenda trae origine dall’impugnazione di una cartella di pagamento, di cui il contribuente eccepiva l’illegittimità per mancata notifica del prodromico avviso di accertamento. Il ricorso veniva accolto dalla competente Commissione tributaria provinciale, ma il giudice di appello, adito dall’Agenzia delle Entrate, riformava la sentenza di primo grado.
In particolare, si affermava che il lamentato vizio di notifica non sussistesse, poiché il contribuente, nelle dichiarazioni dei redditi a partire dall’anno 2006, aveva indicato la precedente residenza anagrafica come quella da tenere in considerazione. Egli, infatti, nell’apposito quadro da compilare in caso di variazione di residenza, aveva inserito il codice relativo al Comune presso il quale era residente prima del trasferimento e ciò – secondo il ragionamento della CTR – aveva indotto l’Amministrazione a considerare la residenza anagrafica ad essa dichiarata.
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NULLA L'ISCRIZIONE IPOTECARIA SENZA PROVA DELLA NOTIFICA DELL'ATTO PRESUPPOSTO
di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners
In tema di riscossione, è nulla la comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria impugnata dal contribuente per illegittimità derivante dall’omessa notifica della prodromica cartella di pagamento, laddove l’Agente della riscossione, riscontrata l’irreperibilità relativa del destinatario, non dia prova della ricezione da parte dello stesso della raccomandata informativa prescritta dalla legge. È questo il principio di diritto sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 13314, depositata ieri 18 maggio.
La fattispecie sottoposta al vaglio della Corte trae origine dall’impugnazione di una comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria da parte di un contribuente. Più precisamente, la Commissione tributaria regionale della Liguria confermava la sentenza di primo grado osservando che non poteva essere accolta l’eccezione del contribuente circa la mancata notificazione della cartella di pagamento presupposta, in quanto egli non aveva contestualmente impugnato la cartella né aveva contestato la debenza delle somme iscritte a ruolo e neppure eccepito la decadenza dell’Agente della riscossione.
Il contribuente, pertanto, proponeva ricorso per cassazione avverso tale sentenza, deducendo la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’articolo 19, comma 3, D.Lgs. 546/1992 e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
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AGEVOLAZIONI PRIMA CASA ANCHE AL SECONDO IMMOBILE REGISTRATO ENTRO UN ANNO DALL'ALIENAZIONE DEL PRIMO
di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners
Per evitare la decadenza dalle agevolazioni prima casa non è necessaria la trascrizione del secondo atto di acquisto, purché tempestivamente registrato, qualora il contribuente, entro un anno dall’alienazione dell’immobile acquistato con i benefici di cui all’articolo 1, comma 2, della Tariffa, Parte Prima, allegata al D.P.R. 131/1986, proceda all’acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale. È questo il principio di diritto sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 12813, depositata ieri 13 maggio.
Dopo aver acquistato un immobile, un contribuente riceveva un avviso di liquidazione delle maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale per decadenza dalla agevolazione prevista per l’acquisto della prima casa. Tale compravendita era stata effettuata il 20 giugno 2007 tramite scrittura privata contenente la richiesta dell’agevolazione in parola, in seguito all’alienazione del 28 giugno 2006 di altro immobile acquistato precedentemente dallo stesso contribuente con rogito del 25 febbraio 2004.
Il contribuente impugnava l’atto e la competente Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso ritenendo che l’omessa trascrizione nei registri immobiliari della scrittura aveva reso l’atto non opponibile a terzi e dunque aveva ostato al perfezionamento della “piena disponibilità del bene”. Ciò aveva dunque comportato la decadenza dall’agevolazione fruita per il precedente acquisto del primo immobile successivamente alienato.
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PROCESSO TRIBUTARIO: IL GIUDICE NON PUÒ SUPPLIRE ALLE CARENZE ISTRUTTORIE DELLE PARTI
di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners
Nel processo tributario, retto dal principio misto acquisitivo-dispositivo, l’articolo 7, comma 1, D.Lgs. 546/1992 attribuisce alle commissioni tributarie, nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, un potere di “soccorso istruttorio” che, ove compiutamente motivato, può essere esercitato non per supplire a carenze delle parti nell’assolvimento del rispettivo onere probatorio, ma solo in funzione integrativa degli elementi di giudizio già in atti o acquisiti in quanto non sufficienti per pronunziare una sentenza ragionevolmente motivata.
È questo il principio di diritto ribadito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 12383 depositata ieri 11 maggio, la quale consolida l’orientamento nomofilattico in ossequio alle statuizioni della Corte Costituzionale circa la disciplina dell’articolo 7, comma 1, D.Lgs. 546/1992, ma enuncia anche interessanti principi circa l’acquisizione di un PVC.
Il caso sottoposto all’attenzione dei giudici di vertice trae origine dalla notifica ad una s.r.l. di un avviso di accertamento in materia di IVA ed imposte dirette. Tale atto veniva impugnato dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale, la quale rigettava il ricorso. Anche i giudici di appello respingevano la doglianza relativa all’illegittimo utilizzo a fini probatori da parte dei giudici di primo grado del PVC emesso a carico della società.
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FATTURE FALSE: ILLEGITTIMO IL SEQUESTRO PREVENTIVO SE NON C'È CONSAPEVOLEZZA DELL'UTILIZZATORE
di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners
In tema di reati tributari, è illegittimo il sequestro preventivo del profitto del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti di cui all’articolo 2 D.Lgs. 74/2000, laddove il soggetto che utilizza la fattura falsa in una dichiarazione dimostri di non essere a conoscenza della natura di cartiera della società emittente, producendo in giudizio mail e bonifici effettuati a quest’ultima e sintomatici di una mancanza di collegamento illecito tra l’emittente e l’utilizzatore.
È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 17400, depositata ieri 6 maggio.
La fattispecie disaminata dai giudici di vertice prende le mosse da un decreto emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vicenza con cui veniva disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta e per equivalente del profitto del reato di cui all’articolo 2 D.Lgs 74/2000 a carico del legale rappresentante di una s.r.l. per l’indebita detrazione di fatture afferenti ad operazioni soggettivamente inesistenti, con imposta evasa quantificata in euro 24.760,75.
Il Tribunale del riesame confermava la misura cautelare del sequestro preventivo. Così, al fine di ottenere l’annullamento dell’ordinanza da esso emessa, la s.r.l. proponeva ricorso in Cassazione ex articolo 311 cod. proc. pen., con cui si censurava l’illegittimità del provvedimento impugnato per violazione di legge e motivazione apparente quanto alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti e dei gravi indizi di colpevolezza.
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IN CASO DI ACCESSO MIRATO NON È NECESSARIO REDIGERE IL PVC
di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners
In tema di verifica fiscale, laddove l’amministrazione finanziaria effettui un accesso mirato all’acquisizione della documentazione contabile del contribuente, non è necessaria la redazione del processo verbale di constatazione delle violazioni riscontrate, ma è sufficiente che le operazioni compiute e i documenti prelevati vengano indicati nel processo verbale di accesso, dal quale decorre il termine di sessanta giorni per comunicare osservazioni e richieste ai sensi dell’articolo 12, comma 7, L. 212/2000.
Sono queste le interessanti conclusioni cui è giunta la Corte di Cassazione con sentenza n. 11589, depositata ieri 4 maggio, disaminando una fattispecie in cui, a seguito di accesso mirato ad acquisire la documentazione fiscale presso i locali del contribuente, veniva emesso un avviso di accertamento con il quale si accertava un minor credito Iva stante la risultata inesistenza delle sottostanti operazioni di acquisto.
Il contribuente impugnava tale atto dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale eccependo la violazione dell’articolo 12, comma 7, L. 212/2000, per la mancata formazione di un processo verbale di constatazione dal quale sarebbe dovuto decorrere il termine di sessanta giorni per le eventuali osservazioni del contribuente prima dell’emissione dell’avviso.
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