BENI D'IMPRESA: I CHIARIMENTI DELL'AE SULLE NUOVE OPPORTUNITÀ

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario

L'Agenzia delle Entrate, con circolare n. 26/E del 1° giugno 2016, ha fornito chiarimenti in merito al regime fiscale agevolato di carattere temporaneo introdotto dalla Legge di Stabilità 2016, volto a consentire l'assegnazione e la cessione agevolata ai soci di taluni beni immobili e beni mobili iscritti in pubblici registri, nonché per la trasformazione in società semplici delle società che hanno per oggetto esclusivo o principale la gestione dei predetti beni.

In particolare, la disciplina individua come beni agevolabili:
- i beni immobili diversi da quelli strumentali per destinazione (ovvero quelli diversi dai beni utilizzati esclusivamente per l'esercizio dell'attività d'impresa);
- i beni mobili iscritti in pubblici registri, non utilizzati come beni strumentali nell'attività propria dell'impresa.

L'agevolazione si sostanzia nella possibilità, in capo alla società, di assegnare o cedere i beni ai soci mediante l'assolvimento di un'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell'Irap (8% ovvero 10,5%, per le società considerate non operative o in perdita sistematica), in luogo dell'imposizione ordinaria.

In sintesi, la norma prevede che l'imposta sostitutiva sia applicata su una base imponibile determinata dalla differenza tra il valore normale del bene assegnato e il suo costo fiscalmente riconosciuto. Il valore normale, in deroga all'articolo 9 del Tuir, può essere determinato anche applicando all'ammontare delle rendite risultanti in catasto i moltiplicatori previsti dal comma 4, primo periodo, dell'articolo 52 del Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro (D.P.R. 131/1986).

In linea con le argomentazioni contenute in precedenti documenti di prassi (cfr., Circolare n. 20/2002), il pagamento della citata imposta sostitutiva risulta definitivo e liberatorio per i soci assegnatari di qualsiasi ulteriore tassazione.
Nell'ipotesi di cessione di beni immobili della tipologia summenzionata, tuttavia, la determinazione dell'imposta sostitutiva deve avvenire con modalità peculiari. Infatti, in linea generale, l'aliquota agevolata si deve applicare alla differenza tra il corrispettivo di cessione e il costo fiscalmente riconosciuto dei predetti beni.
Qualora, però, il corrispettivo della cessione fosse inferiore al valore normale del bene (determinato ai sensi dell'articolo 9 del Tuir o al valore determinato applicando i moltiplicatori al valore catastale come sopra precisato), ai fini del calcolo dell'imposta sostitutiva deve essere considerato un "valore normale" non inferiore a una delle due modalità di calcolo previste.

In ultimo, si ricorda che la disciplina in commento ha regolamentato tra le ipotesi agevolative anche la possibilità per gli imprenditori individuali di procedere all'esclusione/estromissione dei beni immobili strumentali dal patrimonio dell'impresa mediante il pagamento di una imposta sostitutiva. In tal caso, l'agevolazione potrà riguardare la totalità degli immobili strumentali di cui all'articolo 43, comma 2, del Tuir (strumentali sia per natura che per destinazione), posseduti dall'imprenditore individuale alla data del 31 ottobre 2015.

Non sono previste, inoltre, specifiche disposizioni agevolative in materia di imposta sul valore aggiunto e, di conseguenza, le assegnazioni, le cessioni e le trasformazioni agevolate saranno assoggettate a Iva secondo le regole ordinarie dettate dal D.P.R. 633/1972, in linea con le disposizioni della direttiva 2006/112/CE.

Le principali novità interpretative rinvenibili nella circolare sono così sintetizzabili:

1) gli enti non commerciali e le società non residenti nel territorio dello Stato che hanno una stabile organizzazione in Italia non rientrano - in quanto esclusi dal tenore letterale della norma - tra i soggetti destinatari della disciplina in esame;
2) nei casi di fusione o di scissione, ai soci possono essere assegnati con la disciplina agevolata tutti i beni risultanti in capo alla nuova società (incorporante risultante dalla fusione o beneficiaria della scissione), purché gli stessi siano agevolabili;
3) il cambiamento di destinazione d'uso anche se effettuato in prossimità della data di assegnazione per acquisire lo status di bene agevolabile è scelta preordinata all'esercizio di una facoltà prevista dal legislatore dalla quale origina un legittimo risparmio di imposta non sindacabile ai sensi dell'articolo 10-bis della legge 212/2000;
4) nel caso in cui la società risulti titolare della nuda proprietà e abbia dato in usufrutto il bene al socio (ossia, di un diritto reale parziale sul bene) è possibile beneficiare della disciplina in esame qualora la società si liberi del suo diritto reale parziale assegnando definitivamente il bene al socio;
5) nell'ipotesi di società che si trovano in una fase in cui non è esercitata alcuna attività d'impresa, ma si è in presenza di una mera fase di chiusura dei rapporti di credito/debito verso terzi finalizzata alla cessazione dell'attività (a titolo di esempio, liquidazione), gli immobili possono, in linea generale, rientrare nell'assegnazione agevolata in esame;
6) nel caso di soggetti che affiancano all'attività di mera percezione di canoni di locazione/affitto (passive income) l'esecuzione di una serie di servizi complementari e funzionali all'utilizzazione unitaria del complesso immobiliare, l'inclusione nella disciplina agevolata è consentita a condizione che la prestazione di tali servizi sia "essenziale e determinante".

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IL FONDO PATRIMONIALE NON FERMA L'IPOTECA

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario

L’iscrizione ipotecaria per debiti tributari, eseguita ex art. 77 del D.P.R. n. 602/73, su beni oggetto di fondo patrimoniale è legittima. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione, con sentenza del 25 maggio 2016, n. 10794, che è tornata ad occuparsi dell'annosa questione della protezione offerta dal fondo patrimoniale.

Con la pronuncia in commento, i Giudici di legittimità hanno affermato che l’iscrizione ipotecaria eseguita su beni oggetto di fondo patrimoniale è legittima sulla base della considerazione per la quale l’ipoteca esattoriale non ha natura di atto preordinato all'espropriazione, dovendo piuttosto essere considerata, come già statuito dalle Sezioni Unite (cfr., SS.UU., sentenza n. 15354/2015 e SS.UU., sentenza n. 19667/2014), un atto riferito ad una procedura alternativa all'esecuzione forzata vera e propria.

In altri termini, la Corte di Cassazione ha ritenuto che l’iscrizione ipotecaria esattoriale non possa rientrare tra gli atti esecutivi, bensì tra le misure cautelari (o meglio “deterrenti”), essendo l’ipoteca solo propedeutica ad una eventuale, e non ancora certa, fase esecutiva. Conseguentemente, se l’ipoteca non è preordinata all'espropriazione, allora può essere iscritta anche su beni del fondo patrimoniale, in merito ai quali, in costanza dei requisiti previsti dal codice civile, non può esserci esecuzione.

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IL FONDO PATRIMONIALE NON FERMA L'IPOTECA

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario

L’iscrizione ipotecaria per debiti tributari, eseguita ex art. 77 del D.P.R. n. 602/73, su beni oggetto di fondo patrimoniale è legittima. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione, con sentenza del 25 maggio 2016, n. 10794, che è tornata ad occuparsi dell'annosa questione della protezione offerta dal fondo patrimoniale.

Con la pronuncia in commento, i Giudici di legittimità hanno affermato che l’iscrizione ipotecaria eseguita su beni oggetto di fondo patrimoniale è legittima sulla base della considerazione per la quale l’ipoteca esattoriale non ha natura di atto preordinato all'espropriazione, dovendo piuttosto essere considerata, come già statuito dalle Sezioni Unite (cfr., SS.UU., sentenza n. 15354/2015 e SS.UU., sentenza n. 19667/2014), un atto riferito ad una procedura alternativa all'esecuzione forzata vera e propria.

In altri termini, la Corte di Cassazione ha ritenuto che l’iscrizione ipotecaria esattoriale non possa rientrare tra gli atti esecutivi, bensì tra le misure cautelari (o meglio “deterrenti”), essendo l’ipoteca solo propedeutica ad una eventuale, e non ancora certa, fase esecutiva. Conseguentemente, se l’ipoteca non è preordinata all'espropriazione, allora può essere iscritta anche su beni del fondo patrimoniale, in merito ai quali, in costanza dei requisiti previsti dal codice civile, non può esserci esecuzione.

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NUOVE DISPOSIZIONI FISCALI RELATIVE ALLE PROCEDURE DI CRISI – terza parte

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario

Come evidenziato in un precedente contributo, il D.L. 14 febbraio 2016 n. 18 contiene disposizioni concernenti la riforma del settore bancario cooperativo, la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze (Gacs), il regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio. Con particolare riferimento al regime fiscale relativo alle procedure di crisi, si evidenza che rilevanti benefici fiscali sono previsti dagli articoli 14, 15 e 16 del citato decreto.

Preliminarmente, si ricorda che l’articolo 26 del D.L. n. 104/2013, intervenendo sull'articolo 10 del D.Lgs. n. 23/2011 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale), ha modificato, a decorrere dal 1° gennaio 2014, la disciplina delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, relativamente ai trasferimenti immobiliari, introducendo un'aliquota unica, pari al 9%, per tutti i trasferimenti immobiliari, tranne quelli aventi ad oggetto la casa adibita ad abitazione principale non di lusso, cui si applica l'aliquota del 2%. Contestualmente, è stato elevato da 168 a 200 euro l'importo di ciascuna delle imposte di registro, ipotecaria e catastale in tutti i casi in cui esso sia stabilito in misura fissa.

Ciò posto, l’art. 16 del D.L. n. 18/2016, per favorire il collocamento degli immobili in sede di vendita giudiziaria, stabilisce, al comma 1, che “gli atti e i provvedimenti recanti il trasferimento della proprietà o di diritti reali su beni immobili emessi a favore di soggetti che svolgono attività d’impresa nell'ambito di una procedura giudiziaria di espropriazione immobiliare di cui al libro III, titolo II, capo IV, del codice di procedura civile, ovvero di una procedura di vendita di cui all'articolo 107 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, sono assoggettati alle imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura fissa di 200 euro ciascuna a condizione che l'acquirente dichiari che intende trasferirli entro due anni”.

Pertanto, tutti gli atti e i provvedimenti adottati nell'ambito di procedure di espropriazione immobiliare o di procedure di vendita di beni in caso di fallimento, in forza dei quali si determina il trasferimento della proprietà (o di altro diritto reale) su un bene immobile “a favore di soggetti che svolgono attività d’impresa”, sono assoggettati alle imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa (200 euro) anziché in misura proporzionale. Tuttavia, affinché trovi applicazione la misura agevolata, è richiesto espressamente che l’acquirente si impegni, con apposita dichiarazione, a ritrasferire l’immobile entro due anni.

Il comma 2 dell’articolo 16 citato disciplina l’ipotesi del mancato avveramento della predetta condizione, precisando che, qualora il bene immobile oggetto del trasferimento “agevolato” non venga ritrasferito dall'acquirente nei due anni, “le imposte di registro, ipotecaria e catastale sono dovute nella misura ordinaria e si applica una sanzione amministrativa del 30 per cento oltre agli interessi di mora di cui all'articolo 55, comma 4, del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131. Dalla scadenza del biennio decorre il termine per il recupero delle imposte ordinarie da parte dell'amministrazione finanziaria”.

Nel corso dell’esame parlamentare del disegno di legge di conversione del D.L. n. 18/2016 è stato aggiunto all'articolo 16 il comma 2-bis, in base al quale anche i trasferimenti immobiliari, di cui al comma 1, emessi a favore di “soggetti che non svolgono attività d'impresa”, sono assoggettati alle imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura fissa di 200 euro, “sempre che in capo all'acquirente ricorrano le condizioni previste alla nota II-bis) all'articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131”, vale a dire le condizioni per usufruire dei benefici prima casa.

L’ultimo periodo del comma 2-bis stabilisce che, “in caso di dichiarazione mendace nell'atto di acquisto, ovvero di rivendita nel quinquennio dalla data dell’atto, si applicano le disposizioni indicate nella predetta nota”. Pertanto, sono dovute le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, nonché una sanzione pecuniaria pari al 30% delle stesse imposte e sono dovuti gli interessi di mora.

Infine, ai sensi del successivo comma 3, le disposizioni di cui all'articolo 16 hanno effetto temporaneo; le stesse, infatti, si applicano agli atti emessi dal 16 febbraio 2016 (data di entrata in vigore del Dl 18/2016) fino al 31 dicembre 2016.

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NUOVE DISPOSIZIONI FISCALI RELATIVE ALLE PROCEDURE DI CRISI – terza parte

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario

Come evidenziato in un precedente contributo, il D.L. 14 febbraio 2016 n. 18 contiene disposizioni concernenti la riforma del settore bancario cooperativo, la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze (Gacs), il regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio. Con particolare riferimento al regime fiscale relativo alle procedure di crisi, si evidenza che rilevanti benefici fiscali sono previsti dagli articoli 14, 15 e 16 del citato decreto.

Preliminarmente, si ricorda che l’articolo 26 del D.L. n. 104/2013, intervenendo sull'articolo 10 del D.Lgs. n. 23/2011 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale), ha modificato, a decorrere dal 1° gennaio 2014, la disciplina delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, relativamente ai trasferimenti immobiliari, introducendo un'aliquota unica, pari al 9%, per tutti i trasferimenti immobiliari, tranne quelli aventi ad oggetto la casa adibita ad abitazione principale non di lusso, cui si applica l'aliquota del 2%. Contestualmente, è stato elevato da 168 a 200 euro l'importo di ciascuna delle imposte di registro, ipotecaria e catastale in tutti i casi in cui esso sia stabilito in misura fissa.

Ciò posto, l’art. 16 del D.L. n. 18/2016, per favorire il collocamento degli immobili in sede di vendita giudiziaria, stabilisce, al comma 1, che “gli atti e i provvedimenti recanti il trasferimento della proprietà o di diritti reali su beni immobili emessi a favore di soggetti che svolgono attività d’impresa nell'ambito di una procedura giudiziaria di espropriazione immobiliare di cui al libro III, titolo II, capo IV, del codice di procedura civile, ovvero di una procedura di vendita di cui all'articolo 107 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, sono assoggettati alle imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura fissa di 200 euro ciascuna a condizione che l'acquirente dichiari che intende trasferirli entro due anni”.

Pertanto, tutti gli atti e i provvedimenti adottati nell'ambito di procedure di espropriazione immobiliare o di procedure di vendita di beni in caso di fallimento, in forza dei quali si determina il trasferimento della proprietà (o di altro diritto reale) su un bene immobile “a favore di soggetti che svolgono attività d’impresa”, sono assoggettati alle imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa (200 euro) anziché in misura proporzionale. Tuttavia, affinché trovi applicazione la misura agevolata, è richiesto espressamente che l’acquirente si impegni, con apposita dichiarazione, a ritrasferire l’immobile entro due anni.

Il comma 2 dell’articolo 16 citato disciplina l’ipotesi del mancato avveramento della predetta condizione, precisando che, qualora il bene immobile oggetto del trasferimento “agevolato” non venga ritrasferito dall'acquirente nei due anni, “le imposte di registro, ipotecaria e catastale sono dovute nella misura ordinaria e si applica una sanzione amministrativa del 30 per cento oltre agli interessi di mora di cui all'articolo 55, comma 4, del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131. Dalla scadenza del biennio decorre il termine per il recupero delle imposte ordinarie da parte dell'amministrazione finanziaria”.

Nel corso dell’esame parlamentare del disegno di legge di conversione del D.L. n. 18/2016 è stato aggiunto all'articolo 16 il comma 2-bis, in base al quale anche i trasferimenti immobiliari, di cui al comma 1, emessi a favore di “soggetti che non svolgono attività d'impresa”, sono assoggettati alle imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura fissa di 200 euro, “sempre che in capo all'acquirente ricorrano le condizioni previste alla nota II-bis) all'articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131”, vale a dire le condizioni per usufruire dei benefici prima casa.

L’ultimo periodo del comma 2-bis stabilisce che, “in caso di dichiarazione mendace nell'atto di acquisto, ovvero di rivendita nel quinquennio dalla data dell’atto, si applicano le disposizioni indicate nella predetta nota”. Pertanto, sono dovute le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, nonché una sanzione pecuniaria pari al 30% delle stesse imposte e sono dovuti gli interessi di mora.

Infine, ai sensi del successivo comma 3, le disposizioni di cui all'articolo 16 hanno effetto temporaneo; le stesse, infatti, si applicano agli atti emessi dal 16 febbraio 2016 (data di entrata in vigore del Dl 18/2016) fino al 31 dicembre 2016.

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AL VIA LA NOTIFICA A MEZZO PEC DELLE CARTELLE DI PAGAMENTO

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario

A decorrere dal 1° giugno 2016, l’Agente della Riscossione dovrà notificare le cartelle di pagamento mediante invio di posta elettronica certificata all'indirizzo risultante dall'indice nazionale INI-PEC. Infatti, il D.Lgs. 159/2015, recante “Misure per la semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione”, ha modificato l’art. 26 del D.P.R. n. 602 del 1973, prevedendo, espressamente, all'art. 14, l’obbligo di procedere alla notifica a mezzo PEC, qualora destinatari degli atti di riscossione siano professionisti ed imprese individuali o costituite in forma societaria.

Con apposito comunicato, Equitalia ha rimarcato l’obbligo per i professionisti di attivare un indirizzo PEC e di comunicarlo all'Ordine di appartenenza, il quale sarà, a sua volta, tenuto ad inviare ed aggiornare puntualmente l’elenco degli indirizzi all'indice nazionale INI-PEC, di cui il Concessionario si riserva la consultazione, nonché l’estrazione, anche in forma massiva. Nel documento citato si precisa altresì che, sia in caso di indirizzo PEC non valido o inattivo, sia in caso di casella email satura malgrado il secondo tentativo effettuato a distanza di 15 giorni dal primo, l’atto verrà inviato telematicamente alla Camera di Commercio competente per territorio e sarà sempre reperibile on line in un’apposita sezione del sito internet della medesima.

In ogni caso, il contribuente riceverà comunicazione dell’avvenuto deposito telematico a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento. Per i contribuenti persone fisiche, non ricompresi nelle suddette categorie giuridiche, l’utilizzo dello strumento telematico rimarrà, invece, facoltativo. In tali ipotesi, la notifica via PEC sarà, pertanto, consentita solo in seguito ad esplicita richiesta in tal senso da parte del privato cittadino e a condizione che l’indirizzo di posta elettronica certificata sia stato dichiarato al momento della sottoscrizione della richiesta stessa o comunicato successivamente all'Agente della Riscossione.

Sul punto, si rileva sinteticamente che, secondo la giurisprudenza di merito (cfr., CTP di Lecce, sentenza n. 611 del 26 febbraio 2016 e CTP di Napoli, sentenza n. 1817 del 12 maggio 2016), è nulla la notifica a mezzo PEC della cartella di pagamento, in quanto tale modalità di notifica non offrirebbe le stesse garanzie di una raccomandata tradizionale dal momento che ad essere trasmesso al contribuente non sarebbe l’originale della cartella di pagamento, ma solo una sua copia informatica, peraltro priva di qualsiasi attestazione di conformità apposta da un pubblico ufficiale.

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PUBBLICATO IL QUESTIONARIO DI AUTOVALUTAZIONE PER LA CERTIFICAZIONE AEO

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario

Il nuovo Codice Doganale UE, in vigore dal 1° maggio 2016, prevede che l’operatore economico interessato a richiedere l’autorizzazione AEO deve presentare, unitamente alla domanda, un questionario di autovalutazione.

Nelle more della pubblicazione, da parte della Commissione europea, della versione italiana del questionario di autovalutazione, l’Agenzia delle Dogane ha provveduto alla traduzione del documento, che consente una preventiva autovalutazione del richiedente per verificare il possesso dei requisiti necessari all'ottenimento dello status ed, allo stesso tempo, fornisce utili informazioni all'Ufficio doganale competente per l’espletamento dell’istruttoria relativa all'iter autorizzativo.

Il questionario si compone di sei sezioni, deve essere compilato seguendo le istruzioni contenute nella nota esplicativa, di ausilio al richiedente per la formulazione delle risposte, e deve essere presentato unitamente alla domanda AEO presso l’Ufficio delle dogane competente. In particolare, le sei sezioni di cui si compone sono le seguenti:
1) Informazioni sull'azienda;
2) Osservanza degli obblighi doganali e fiscali;
3) Sistema contabile e logistico;
4) Solvibilità finanziaria;
5) Standard pratici di competenza o qualifiche professionali;
6) Requisiti di sicurezza.
Inoltre, il questionario di autovalutazione AEO prevede due allegati:
Allegato 1 - Consenso a divulgare i dettagli AEO sul sito web TAXUD.
Consenso allo scambio di informazioni nell'autorizzazione AEO, al fine di assicurare l’attuazione degli accordi internazionali con i paesi terzi in materia di mutuo riconoscimento dello status AEO e misure relative alla sicurezza.
Sottoscrivendo l’allegato 1 il richiedente AEO fornisce il proprio consenso sia alla divulgazione dei propri dati sul sito web TAXUD sia allo scambio di dati con i paesi partner ai fini del mutuo riconoscimento degli accordi relativi agli operatori economici autorizzati (cd. MRA). Tale allegato può essere compilato anche successivamente alla presentazione dell’istanza ed il consenso può essere revocato in qualsiasi momento.
Allegato 2 - Tavola dei criteri applicabili ai diversi attori della catena di approvvigionamento internazionale
La tavola elenca i criteri AEO applicabili in funzione del ruolo dei vari attori della catena di approvvigionamento internazionale e a seconda del tipo di autorizzazione.
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NULLITÀ SELETTIVA PER IL CONTRATTO BANCARIO FIRMATO SOLO DAL CLIENTE

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario

La nullità del contratto bancario non comporta necessariamente la nullità dell’intero rapporto, potendo il cliente avere piuttosto interesse a formulare un’eccezione di nullità "selettiva", mirata cioè a salvaguardare alcuni effetti prodotti dall'esecuzione del contratto dichiarato nullo e a far caducare altri che si sono rivelati svantaggiosi. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 8395 del 27 aprile 2016.

La nullità del contratto stabilita dall'art. 23 TUF (così come dagli artt. 117 e 127 TUB) per mancanza di forma scritta ad substantiam è configurabile come nullità di protezione ed è rilevabile esclusivamente dal cliente, quale contraente "debole", o d’ufficio, quando la nullità può operare ad esclusivo vantaggio del primo.

La particolare natura e funzione di questo tipo di nullità comporta quindi, a giudizio della Suprema Corte, che l’eccezione possa essere prospettata dalla parte, coerentemente con il principio della domanda e l'interesse sostanziale dedotto in giudizio (artt. 99 e 100 c.p.c.), selezionando il rilievo della nullità e rivolgendolo agli acquisti (o, meglio, ai contratti attuativi del contratto quadro) di prodotti finanziari dai quali si è ritenuto illegittimamente pregiudicato, essendo gli altri estranei al giudizio.

Quindi, la pronuncia in commento si rivela particolarmente interessante per un duplice motivo:
- da un lato, la Suprema Corte ribadisce il nuovo indirizzo espresso dalla precedente "rivoluzionaria" sentenza n. 5919 del 24 marzo 2016, secondo cui il contratto firmato solo dal cliente è nullo e non può essere sanato né dalla presenza della dichiarazione del cliente del tipo "Prendiamo atto che una copia del presente contratto ci viene rilasciata debitamente sottoscritta da soggetti abilitati a rappresentarvi", né dalla produzione in giudizio da parte della banca del medesimo documento ovvero da comportamenti concludenti posti in essere dalla stessa banca ad esecuzione del rapporto e documentati per iscritto (contabili, estratti conto, attestati di seguito ecc.);
- dall'altro, la medesima pronuncia chiarisce che il cliente può ben decidere di limitare ad alcuni investimenti "selezionati" gli effetti della invocata invalidità del contratto quadro, senza, per ciò, incorrere in un abuso del diritto.

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ACCERTAMENTI IMMOBILIARI: STESSO VALORE PER LE PERIZIE DEL CONTRIBUENTE E DEL TERRITORIO

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario

La relazione di stima di un immobile, redatta dall'Ufficio tecnico erariale, costituisce una relazione tecnica di parte e non una perizia d'ufficio. Ad essa, pertanto, deve essere attribuito il valore di atto pubblico soltanto per quel concerne la sua provenienza, non anche per quel che riguarda il suo contenuto estimativo. È questo il principio affermato dalla Suprema Corte con sentenza n. 10222 del 18 maggio 2016.

Con la pronuncia in commento, i Giudici di Piazza Cavour, sottolineando che dinanzi al giudice tributario l'Amministrazione finanziaria si pone sullo stesso piano del contribuente, affermano quindi che, in caso di giudizio avverso l'avviso di rettifica e liquidazione per imposta di registro, ipotecaria e catastale sulla compravendita di un terreno edificabile, la perizia di parte prodotta dal contribuente ha lo stesso valore di quella del territorio.

Ovviamente, ciò non comporta che la relazione redatta dall'Ufficio tecnico erariale sia del tutto priva di efficacia probatoria, ben potendo essa costituire fonte di convincimento del giudice, che può elevarla a fondamento anche esclusivo della sua decisione; tuttavia, occorre che il giudice spieghi le ragioni per le quali ritenga tale relazione di parte corretta e convincente.

Inoltre, prosegue la Suprema Corte, laddove vi siano elementi di incertezza, il giudice può determinare il valore venale dell'immobile sulla base di criteri diversi da quelli utilizzati in sede di accertamento, avendo la possibilità di fare ricorso ad una CTU anche d'ufficio. Ma non solo. La mancata formulazione di istanza di CTU non può ripercuotersi quale regola di giudizio atta a fondare il convincimento decisorio in danno della parte, che non è nemmeno gravata dall'onere probatorio.

In definitiva, la carenza di elementi istruttori deve portare piuttosto a disattendere la rettifica di valore rispetto al prezzo di vendita dichiarato operata dall'Ufficio, per il mancato assolvimento di un onere probatorio che è a carico dell'Amministrazione finanziaria, ex art. 2697 del codice civile.

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LA MOTIVAZIONE DELL'ATTO IMPOSITIVO SEGNA I CONFINI DEL PROCESSO TRIBUTARIO

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario

Nel corso del processo tributario, non è possibile modificare, cambiare od integrare la motivazione dell’atto impositivo oggetto di impugnazione. È questo il principio sancito dalla Suprema Corte con sentenza n. 6103 del 30 marzo 2016, conformemente al consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi in materia.

Ciò, sulla base della considerazione per la quale deve ritenersi, alla luce di quanto disposto dagli artt. 42 del D.P.R. 600/1973, 56 del D.P.R. 633/1972, 7 della L. 212/2000 e 7 del D.Lgs. 546/1992, che la motivazione dell'atto tributario assolve alla fondamentale funzione di segnare i confini della materia da contendere, individuando per definizione i presupposti di fatto e di diritto alla base dell’imposizione tributaria, la conoscenza dei quali è necessaria al contribuente per poter strutturare la sua difesa durante il processo tributario.

Con la pronuncia in commento, dunque, la Corte di Cassazione ha sottolineato l’importanza del divieto di “mutuato libelli”. Con tale espressione si vuole indicare il divieto, in capo all'Amministrazione Finanziaria, di avanzare una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, nel corso del processo tributario e, quindi, di cambiare le motivazioni poste a fondamento della propria domanda, contenuta nell'atto impositivo oggetto di impugnazione.

Concludendo, quindi, deve ritenersi, alla luce dell'insegnamento della Suprema Corte, che le motivazioni poste alla base dell’atto impositivo segnano i confini del giudizio tributario, e quindi non risultano essere suscettibili di alcuna modifica o integrazione durante il processo.

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