SUCCESSIONI: TRATTAMENTO FISCALE DEL LEGATO OBBLIGATORIO

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

Molto interessante è il caso di Tizio, cittadino tedesco che decede in Germania, Paese nel quale ha la sua ultima residenza abituale. Questi lascia un testamento olografo, con il quale ha disposto soltanto un legato con effetti obbligatori a favore della propria compagna, avente a oggetto un immobile sito in Italia, senza nominare alcun erede.

Tale fattispecie è stata affrontata dall'Agenzia delle entrate nella risposta all'interpello n. 224 del 30 marzo 2021, laddove essa ha chiarito come debba essere trattato tale legato in sede di denuncia di successione, quale sia il relativo trattamento fiscale e la tassazione dell'atto di adempimento di detto legato.

Innanzitutto, l'Agenzia delle entrate ha precisato che tale successione (in virtù di quanto previsto dal Regolamento Ue 650/2012) sia disciplinata dal diritto tedesco, posto che Tizio è un cittadino tedesco con ultima residenza in Germania.

Conseguentemente, ai fini della denuncia di successione telematica in Italia, è necessario barrare la specifica casella presente sul frontespizio della dichiarazione di detto legato, allo scopo di applicare a una successione legittima la legge europea del Paese in cui il defunto ha la sua ultima residenza abituale, in luogo di quella italiana.

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CRISI POST COVID-19: LE MISURE DI RAFFORZAMENTO PATRIMONIALE DELLE IMPRESE

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

Articolo pubblicato su “La rivista delle operazioni straordinarie n. 6/2021

Una tipica modalità di incremento del patrimonio netto delle società è rappresentata dall’aumento di capitale sociale. Le ragioni che spingono una società a procedere in tal senso sono le più disparate: vanno dalla necessità di operare un nuovo investimento alla copertura delle perdite pregresse.
In ogni caso, si tratta di un atto straordinario che deve essere deliberato dall’assemblea dei soci, oppure anche dall’organo amministrativo preventivamente delegato ex articolo 2443, cod. civ.
A seconda dello scopo prefissato, è possibile che il capitale sociale venga:
a) aumentato a pagamento: nella specie, si ha un aumento del capitale sociale “reale” che comporta un vero e proprio incremento del patrimonio netto della società, in quanto vengono apportati nuovi conferimenti dai soci o da terzi;
b) aumentato a titolo gratuito: in tal caso, vengono utilizzate riserve già presenti nel patrimonio della società che vengono destinate al capitale sociale, oppure si procede a un aumento del valore nominale delle azioni esistenti.
Con specifico riferimento alla disciplina codicistica, occorre evidenziare che essa varia a seconda che si tratti di società di persone o di capitali.

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SCISSIONE PARZIALE: LE SOCIETÀ BENEFICIARIE RISPONDONO ILLIMITATAMENTE DEI DEBITI FISCALI DELLA SCISSA ANTERIORI ALL'OPERAZIONE?

Di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

Articolo pubblicato su “Accertamento e Contenzioso n. 74/2021

La scissione è un’operazione straordinaria mediante la quale una società, estinguendosi o rimanendo in vita, trasferisce tutto o parte del suo patrimonio a una o più società beneficiarie, preesistenti o di nuova costituzione, attribuendo ai soci della società scissa azioni o quote di partecipazione rappresentative del patrimonio da essi precedentemente detenuto.
Il codice civile non fornisce una definizione di tale operazione, ma dall’articolo 2506 e ss., cod. civ. si evince, analizzando le modalità attraverso le quali la scissione trova compimento, che essa comporti la disaggregazione del patrimonio societario della società scissa, con conseguente ingresso dei suoi soci nella compagine sociale delle società beneficiarie.
L’operazione di scissione può interessare tutte le tipologie di società lucrative e cooperative, ivi comprese le società di persone, a esclusione delle società in liquidazione che hanno già iniziato la distribuzione dell’attivo e degli organismi diversi dalle società, quali le imprese individuali e gli enti non commerciali e pubblici.
È possibile realizzare la scissione totale laddove la società scissa si estingua in seguito al trasferimento dell’intero patrimonio: nella specie, presupposto essenziale è che le beneficiarie siano più di una, altrimenti si rientrerebbe nella fattispecie della fusione. Può aversi poi la scissione parziale qualora la società scissa rimanga in vita e, in tal caso, si procederà alla riduzione del patrimonio netto in misura corrispondente al valore trasferito.
Sotto il profilo fiscale, una delle questioni maggiormente discusse, sia in dottrina sia in giurisprudenza, è rappresentata dalla corretta individuazione del regime di responsabilità per l’adempimento dei debiti fiscali della società scissa anteriori all’operazione di scissione parziale.
Tale vexata quaestio trae origine dall’incerta interpretazione delle disposizioni tributarie contenute nell’articolo 173, D.P.R. 917/1986 (c.d. Tuir), che, a differenza di quelle civilistiche, si limitano a prevedere una responsabilità solidale, senza specificare se questa sia illimitata o limitata al valore del patrimonio netto ricevuto dalla beneficiaria.
Con il presente contributo si intende quindi approfondire tale problematica, analizzando le soluzioni offerte dal più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, ma solo dopo aver operato una disamina del dato normativo contenuto nel codice civile e nel Tuir.

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PROCEDURA PER GLI IRREPERIBILI ASSOLUTI SOLO CON INDICAZIONE DELLE RICERCHE COMPIUTE

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di notifiche degli atti impositiviè illegittima la notificazione degli avvisi e degli atti tributari impositivi effettuata ai sensi dell’articolo 60, comma 1, lett. e), D.P.R. 600/1973, laddove il messo notificatore abbia attestato la sola irreperibilità del destinatario nel Comune ove è situato il domicilio fiscale del contribuente e spedito la raccomandata informativa ex articolo 140 cod. proc. civ., appostando la dicitura “sconosciuto all’indirizzo”senza ulteriore ripresa del processo notificatorio con indicazione delle ricerche compiute per verificare che il trasferimento non sia un mero mutamento di indirizzo all’interno dello stesso Comune; dovendosi procedere secondo le modalità di cui all’articolo 140 cod. proc. civ. quando non risulti un’irreperibilità assoluta del notificato all’indirizzo conosciuto, la cui attestazione non può essere fornita dalla parte nel corso del giudizio.

Sono queste le conclusioni rassegnate dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 18061, depositata ieri 24 giugno.

La fattispecie in esame prende le mosse dalla impugnazione di una comunicazione di avvenuta iscrizione ipotecaria, di cui si contestava l’illegittimità per omessa notifica di una delle quattro prodromiche cartelle di pagamento. Il ricorso veniva accolto dalla competente Commissione tributaria provinciale, la quale annullava l’atto impugnato. Pertanto, l’agente della riscossione proponeva appello, ma la Commissione tributaria regionale della Lombardia confermava la prima decisione, precisando che la notifica della cartella, effettuata ai sensi dell’articolo 60 D.P.R. 600/1973, fosse illegittima senza il successivo invio della raccomandata, atteso che l’ente della riscossione, in presenza di domicilio fiscale o della residenza nel Comune, avrebbe dovuto procedere ai sensi dell’articolo 140 cod. proc. civ. e non con la procedura semplificata di cui al citato articolo 60.

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È ONERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE PROVARE CHE LE FATTURE PRESSO I CLIENTI SONO STATE EMESSE DAL FORNITORE

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di accertamento, nel caso di fatture reperite nella documentazione contabile di un cliente che le utilizza come fonti di costi deducibili, è onere dell’Agenzia delle Entrate provare che tali fatture sono state emesse dal (presunto) fornitore.

È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 17727, depositata ieri 22 giugno.

La fattispecie disaminata dai giudici di vertice trae origine da una verifica fiscale eseguita nei confronti di una società e poi estesa ad una ditta individuale, in seguito alla quale emergeva che questa avesse emesso una fattura per l’anno 2005 e tre per l’anno 2006, mai registrate ed in relazione alle quali non aveva versato l’IVA, mentre invece la società ricevente l’aveva portata in detrazione.

Dalla verifica fiscale risultava altresì che le fatture fossero fittizie, in quanto la ditta aveva lavorato per conto della società verificata fino all’annualità 2004 e le attività indicate non erano mai state eseguite nelle annualità 2005 e 2006. L’imprenditore impugnava l’accertamento emesso nei confronti della sua ditta ai fini Iva per gli anni 2005 e 2006, deducendo che le fatture erano state falsamente predisposte da terzi, che erano difformi da quelle emesse dalla sua ditta in occasione di altre prestazioni reali e che per tale ragione aveva presentato denuncia-querela nei confronti della società.

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ACCERTAMENTO INDUTTIVO PURO IN CASO DI INVENTARIO CON RIMANENZE NON DISTINTE PER CATEGORIE OMOGENEE

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’inventario ometta di indicare e valorizzare le rimanenze con raggruppamento per categorie omogenee, in violazione dell’articolo 15, comma 2, D.P.R. 600/1973, si determina un ostacolo nell’analisi contabile dell’amministrazione finanziaria, sicché ne discendono l’incompletezza e l’inattendibilità delle scritture contabili, che giustificano anche l’accertamento induttivo puro ex articolo 39, comma 2, lett. d), D.P.R. 600/1973, ed il ricorso anche alle presunzioni cc.dd. supersemplici, ossia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

È questo il principio di diritto ribadito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 17244, depositata ieri 17 giugno.

Il caso sottoposto all’attenzione dei giudici di vertice trae origine dalla notifica ad un contribuente di un avviso di accertamento e di irrogazione di sanzioni, con riferimento all’esercizio 2006. Con tale atto veniva rideterminato quanto dovuto ai fini Irpef, Iva ed Irap e dunque venivano accertati maggiori ricavi in quanto il contribuente era risultato non coerente per il ricarico in relazione allo studio di settore di riferimento. Dunque, l’Ufficio aveva proceduto ad accertamento induttivo puro, ai sensi dell’articolo 39, comma 2, D.P.R. 600/1973, in seguito all’applicazione del metodo del “costo del venduto”.

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È NULLO L'ATTO DI VARIAZIONE DEL CLASSAMENTO CATASTALE NON NOTIFICATO AGLI EREDI

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di accertamento, l’atto di modifica del classamento catastale, nell’ipotesi in cui l’intestatario della partita sia deceduto, deve essere notificato a pena di nullità agli eredi, non realizzandosi, in difetto di ciò, la condizione legale di efficacia della modificazione di detto classamento. A tal fine, non assume alcuna rilevanza l’inadempimento dell’obbligo di richiedere la voltura catastale dell’intestazione dell’immobile oggetto di successione. Sono queste le conclusioni rassegnate dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 16813, depositata ieri 15 giugno.

Nel caso di specie, gli eredi di un contribuente impugnavano la revisione di classamento relativa ad un immobile di cui erano diventati comproprietari, ma la competente Commissione tributaria provinciale riteneva il ricorso inammissibile in quanto l’atto impugnato non era mai stato notificato ai ricorrenti e inoltre non rientrava nel novero degli atti impugnabili ai sensi dell’articolo 19 D.Lgs. 546/1992.

La decisione veniva riformata dai giudici di appello i quali ritenevano che, sebbene gli eredi del de cuius fossero venuti a conoscenza della variazione del classamento tramite una visura catastale (e non tramite un atto di variazione notificato dall’Amministrazione finanziaria), questi avevano interesse a proporre l’azione per l’annullamento dell’atto impugnato.

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NON RIQUALIFICABILE IN CESSIONE DI TERRENO EDIFICABILE LA VENDITA DEL FABBRICATO POI DEMOLITO

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di imposte sui redditi, la cessione di un fabbricato non può essere riqualificata in cessione di terreno edificabile per il sol fatto che prima di tale vendita l’acquirente abbia manifestato l’intenzione di demolire il fabbricato e costruire un complesso residenziale. Conseguentemente, non è possibile porre a carico del venditore di detto fabbricato una (affermata) plusvalenza anche solo commisurata all’ulteriore capacità edificatoria non (ancora) sviluppata.

Sono queste le conclusioni rassegnate dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 16374, depositata ieri 10 giugno.

La vicenda in esame prende le mosse dalla compravendita di un fabbricato, che era stata preceduta dalla presentazione da parte dell’acquirente di una dichiarazione di inizio attività finalizzata alla demolizione dello stesso e alla successiva costruzione di un complesso residenziale. Ritenendo di essere in presenza di una vendita di terreno edificabile e, quindi, di dover assoggettare a tassazione separata la relativa plusvalenza, l’Amministrazione finanziaria notificava ai venditori di detto fabbricato due avvisi di accertamento con cui riprendeva a tassazione tale plusvalenza, determinata ai sensi dell’articolo 68, commi 1 e 2, Tuir.

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È ILLEGITTIMA LA CARTELLA PRIVA DI MOTIVAZIONE SULL'ISCRIZIONE A RUOLO STRAORDINARIO

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di riscossione, è illegittima la cartella di pagamento che non rechi le ragioni dell’iscrizione a ruolo straordinario, risultando compromesso il diritto di difesa del contribuente in violazione dei principi generali in materia di motivazione degli atti tributari. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 15940, depositata ieri 8 giugno.

La fattispecie disaminata dai giudici di vertice trae origine dalla notifica di una cartella di pagamento relativa ad Irpeg e Irap, in seguito ad iscrizione a ruolo straordinario. Avverso l’atto impositivo la società proponeva ricorso, il quale veniva accolto in quanto la Commissione tributaria provinciale riteneva che detto atto fosse privo di motivazione in ordine alla sussistenza del “pericolo per la riscossione”. L’Amministrazione finanziaria proponeva appello, ma la Commissione tributaria regionale lo rigettava, rilevando che non fosse sufficiente il mero rinvio all’avviso di accertamento e che quindi mancava il presupposto fondante dell’iscrizione nel ruolo straordinario.

Pertanto, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso in Cassazione deducendo la violazione e falsa applicazione dell’articolo 7, L. 212/2000 e degli articoli 11, 12, 15-bis, D.P.R. 602/1973.

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IL PRELIEVO DAL CONTO DI STUDIO SALVA IL PROFESSIONISTA DAL VERSAMENTO SOSPETTO

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di accertamento bancario, costituisce valida prova contraria per il professionista, cui sia stato contestato un maggior reddito in applicazione della presunzione legale di cui all’articolo 32 D.P.R. 600/1973 per aver effettuato un versamento sul proprio conto personale, quella attestante che tale somma è stata prelevata solo qualche giorno prima dal conto corrente dell’attività professionale. Sono queste le conclusioni rassegnate dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 15353, depositata ieri 3 giugno.

In seguito ad indagini finanziarie aventi ad oggetto le movimentazioni sui conti correnti bancari, l’Agenzia delle entrate notificava ad un professionista un avviso di accertamento mediante il quale gli contestava un maggior reddito a fronte di quello dichiarato, con conseguente recupero a tassazione delle maggiori imposte Irpef ed Iva.

Il contribuente proponeva ricorso, che veniva accolto dalla competente Commissione tributaria provinciale, sul presupposto che era stata fornita la prova delle giustificazioni addotte. L’Amministrazione finanziaria impugnava la sentenza di primo grado e la Commissione tributaria regionale della Sicilia accoglieva l’appello rilevando che l’accertamento fiscale era fondato sulle presunzioni di reddito dei versamenti bancari, mentre il contribuente non aveva fornito elementi probatori a giustificazione dei versamenti.

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