NO UTILI EXTRA-BILANCIO AL SOCIO NON AMMINISTRATORE

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di accertamento, la presunzione di distribuzione ai soci di una società di capitali a ristretta base sociale degli utili extra-bilancio, non opera nei confronti del socio che abbia fornito la prova della sua estraneità alla gestione e conduzione societaria.

È questo il principio di diritto sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 6119, depositata ieri 24 febbraio, la quale consolida il filone giurisprudenziale in materia di accertamento in capo ai soci dei maggiori utili extra-bilancio della società di capitali a ristretta base sociale (cfr., Cass. n. 26248/2010n. 19680/2012n. 8473/2014n. 1932/2016n. 23247/2018n. 27049/2019).

La vicenda in esame trae origine dalla notifica di un avviso di accertamento, relativo al periodo di imposta 2014, con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva recuperato a tassazione il maggior reddito del contribuente, derivante dalla partecipazione ad una S.r.l. a ristretta base sociale; detta società, a sua volta, era risultata destinataria di un avviso di accertamento, divenuto poi definitivo in seguito al passaggio in giudicato della sentenza di rigetto del ricorso dalla stessa proposto.

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SOLIDARIETÀ TRIBUTARIA: È OPPONIBILE SOLO LA SENTENZA DEFINITIVA

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 5691, depositata ieri 22 febbraio, è intervenuta in materia di solidarietà tributaria e giudicato favorevole enunciando, nel medesimo provvedimento, ben due importanti principi di diritto.

La fattispecie oggetto di esame trae origine dalla notifica alla società contribuente di alcuni avvisi di accertamento in qualità di “consolidata”, nonché di una cartella di pagamento successiva a due ulteriori avvisi di accertamento divenuti definitivi per mancata impugnazione, alla stessa indirizzati in qualità di “consolidante”.

Tali atti venivano impugnati dinanzi alla competente commissione tributaria, la quale, con decisione poi confermata in sede di appello, procedeva al loro annullamento rilevando che le pretese e i presupposti dei suddetti avvisi di accertamento fossero i medesimi e che dall’impugnazione dell’avviso da parte della società in qualità di “consolidata” discendesse l’estensione della decisione sul ricorso anche quanto alla cartella di pagamento (rispetto alla quale si riteneva che non fosse decisiva la mancata impugnazione del prodromico avviso).

Avverso tale pronuncia proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, lamentando l’erroneità della decisione di appello in quanto l’omessa impugnazione da parte della società quale “consolidante” degli avvisi di accertamento emessi nei suoi confronti, renderebbe legittima l’iscrizione a ruolo delle somme, resesi definitive, poste a fondamento della cartella notificata.

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LEVERAGE CASH OUT: NECESSARIA UNA VALUTAZIONE CASE BY CASE

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

La Corte di Cassazione suggerisce una valutazione case by base delle operazioni di leverage cash out, ammettendone la liceità anche quando risultano caratterizzate da un contenuto “circolare”, laddove si ravvisi la sussistenza di una effettiva sostanza economica e di valide ragioni extrafiscali.

Nelle riorganizzazioni societarie finalizzate al passaggio generazionale, vengono realizzate sempre più spesso operazioni di leverage cash out. Si tratta di operazioni di cessione di partecipazioni previamente rivalutate, da parte di persone fisiche socie di società di capitali, a una (o più) NewCo partecipata (totalmente o parzialmente) dagli stessi cedenti, con pagamento del corrispettivo a debito e successivo rimborso mediante i dividendi distribuiti alla NewCo da parte della società partecipata.

L'implementazione di tali operazioni di leverage cash out porta con sé il rischio che l'amministrazione finanziaria consideri abusiva del diritto la pluralità di atti posti in essere dal contribuente, ravvisando un indebito vantaggio fiscale nella minore tassazione di cui questi può beneficiare in occasione della rivalutazione, pagando un'imposta sostitutiva inferiore rispetto a quella che sconterebbe in caso di diretta percezione dei dividendi della società target.

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LEVERAGE CASH OUT: NECESSARIA UNA VALUTAZIONE CASE BY CASE

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

La Corte di Cassazione suggerisce una valutazione case by base delle operazioni di leverage cash out, ammettendone la liceità anche quando risultano caratterizzate da un contenuto “circolare”, laddove si ravvisi la sussistenza di una effettiva sostanza economica e di valide ragioni extrafiscali.

Nelle riorganizzazioni societarie finalizzate al passaggio generazionale, vengono realizzate sempre più spesso operazioni di leverage cash out. Si tratta di operazioni di cessione di partecipazioni previamente rivalutate, da parte di persone fisiche socie di società di capitali, a una (o più) NewCo partecipata (totalmente o parzialmente) dagli stessi cedenti, con pagamento del corrispettivo a debito e successivo rimborso mediante i dividendi distribuiti alla NewCo da parte della società partecipata.

L'implementazione di tali operazioni di leverage cash out porta con sé il rischio che l'amministrazione finanziaria consideri abusiva del diritto la pluralità di atti posti in essere dal contribuente, ravvisando un indebito vantaggio fiscale nella minore tassazione di cui questi può beneficiare in occasione della rivalutazione, pagando un'imposta sostitutiva inferiore rispetto a quella che sconterebbe in caso di diretta percezione dei dividendi della società target.

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CESSIONE DI BARACCA NON RIQUALIFICABILE IN CESSIONE DI TERRENO EDIFICABILE

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 5174, depositata ieri 17 febbraio, è tornata ad occuparsi di una fattispecie che ricorre spesso nella pratica degli affari immobiliari.

Si tratta della cessione a titolo oneroso, da parte di un soggetto che agisce al di fuori dell’esercizio di attività di impresa o di lavoro autonomo, di un immobile da cui ha conseguito un guadagno, che dall’Agenzia delle Entrate viene considerato plusvalenza tassabile ai sensi dell’articolo 67 Tuir, previa riqualificazione dell’atto di cessione del fabbricato come cessione di terreno edificabile.

Nel caso di specie, il contribuente risultava destinatario di un avviso di accertamento con il quale l’Ufficio contestava l’omessa dichiarazione di una plusvalenza derivante dalla vendita, avvenuta nel periodo di imposta 2005, di un terreno edificabile e sovrastante manufatto/baracca, sito in Cortina d’Ampezzo.

Il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla competente commissione tributaria provinciale, la quale, in accoglimento dello stesso, annullava l’atto impugnato. Tale decisione veniva confermata anche all’esito del giudizio di appello, proposto dall’Agenzia delle Entrate, sulla base della considerazione per la quale essa aveva interpretato in modo improprio il citato articolo 67, avendo ritenuto che oggetto di compravendita non fosse il manufatto/baracca, ma piuttosto il terreno edificabile.

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SÌ ALL'AGEVOLAZIONE “PRIMA CASA” SE IL RITARDO È IMPUTABILE AL COMUNE

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 4843, depositata ieri 15 febbraio, è tornata a pronunciarsi in tema di benefici fiscali per l’acquisto della cd. prima casa, chiarendo cosa accade nel caso in cui il contribuente, al momento dell’acquisto, non abbia ancora ottenuto il trasferimento della residenza.

Come noto, l’agevolazione per l’acquisto della “prima casa” consente di pagare imposte ridotte sull’atto di acquisto di un’abitazione in presenza di determinate condizioni.

In particolare, chi acquista da un privato (o da un’azienda che vende in esenzione Iva) deve versare un’imposta di registro del 2 per cento, anziché del 9 per cento, sul valore catastale dell’immobile, mentre le imposte ipotecaria e catastale si versano ognuna nella misura fissa di 50 euro. Se, invece, il venditore è un’impresa con vendita soggetta a Iva, l’acquirente dovrà versare l’imposta sul valore aggiunto, calcolata sul prezzo della cessione, pari al 4 per cento anziché al 10 per cento. In questo caso, le imposte di registro, ipotecaria e catastale si pagano nella misura fissa di 200 euro ciascuna.

La fattispecie affrontata con la pronuncia sopra indicata, trae origine dalla notifica ai contribuenti di un avviso di liquidazione delle maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale per (asserita) mancata osservanza dei requisiti necessari a godere dei benefici fiscali per l’acquisto della cd. prima casa.

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NULLO L'ACCERTAMENTO AL SOCIO RECEDUTO MOTIVATO PER RELATIONEM

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di accertamento nei confronti del socio di società a ristretta partecipazione sociale, ove tra l’anno d’imposta sottoposto ad accertamento ed il momento della notificazione alla società dell’atto impositivo il socio sia receduto dalla compagine sociale, è nullo l’avviso di accertamento a lui notificato per i maggiori redditi di capitale presuntivamente distribuiti, quando esso, rinviando per relationem alla motivazione dell’avviso di accertamento indirizzato alla società, manchi dell’allegazione della documentazione citata o della riproduzione dei suoi contenuti essenziali.

È questo il principio di diritto sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 4239, depositata ieri 10 febbraio.

La vicenda in esame trae origine dalla notifica all’ex socio di una S.r.l. di un avviso di accertamento fondato sulla presunzione di distribuzione dei maggiori utili extracontabili, accertati in capo alla ridetta società a ristretta partecipazione sociale, con atto impositivo resosi definitivo per mancata impugnazione.

Il contribuente impugnava l’avviso di accertamento dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano, rilevando l’intervenuto recesso dalla compagine sociale in epoca anteriore alla notifica dell’atto impositivo alla società, e contestando la mancata allegazione dello stesso all’accertamento a lui indirizzato.

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LO SCUDO FISCALE NON IMPEDISCE L'ACCERTAMENTO SINTETICO

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

L’adesione allo scudo fiscale non preclude, per il periodo anteriore al rimpatrio e alla regolarizzazione, l’attività di accertamento tributario di tipo sintetico, essendo evidente che le somme occultate all’estero non possono essere le medesime utilizzate per sostenere le spese oggetto di contestazione, in quanto l’impiego di capitali e l’accantonamento degli stessi sono concetti e attività tra loro logicamente antitetici.

È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 3862, depositata ieri 8 febbraio, la quale consolida il filone giurisprudenziale in tema di capitali scudati e mancato effetto preclusivo del generale potere di accertamento.

La fattispecie in esame prende le mosse dalla notifica di un avviso di accertamento di tipo sintetico ad un contribuente che si era avvalso del c.d. scudo fiscale di cui all’articolo 13-bis, comma 4, D.L. 78/2009.

Questi impugnava l’accertamento dinanzi alla competente commissione tributaria provinciale, eccependo l’illegittimità dell’atto dal momento che – a suo dire – sulle medesime annualità risultava preclusa l’attività di accertamento per effetto dell’articolo 14, comma 1, lett. a), D.L. 350/2001. Il ricorso veniva rigettato e la decisione di primo grado, a seguito di gravame, veniva confermata anche all’esito del giudizio di secondo grado.

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DICHIARAZIONE FRAUDOLENTA: NON NECESSARIO L'UTILIZZO DEL FALSO CREDITO IVA

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

Ai fini dell’integrazione del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’articolo 2 D.Lgs. 74/2000, non è necessario che alla presentazione della dichiarazione recante l’indicazione di un falso credito Iva (mediante rimborso o compensazione), faccia immediatamente seguito lo sfruttamento economico dello stesso.

Sono queste le conclusioni desumibili dalla sentenza n. 3761 depositata ieri 3 febbraio, con la quale la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata con rinvio per un nuovo giudizio ad altra sezione della competente Corte di appello.

La vicenda in esame trae origine dalla condanna inflitta a carico di due soggetti (uno amministratore di diritto e l’altro socio e amministratore di fatto di una S.r.l.), all’esito del giudizio abbreviato, da parte del G.U.P. del competente Tribunale, per i reati fiscali di cui agli articoli 2 e 8 D.Lgs. 74/2000, avendo indicato nella dichiarazione annuale Iva 2012 un falso credito Iva, relativo ad operazioni oggettivamente inesistenti.

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DICHIARAZIONE FRAUDOLENTA: NON NECESSARIO L'UTILIZZO DEL FALSO CREDITO IVA

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

Ai fini dell’integrazione del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’articolo 2 D.Lgs. 74/2000, non è necessario che alla presentazione della dichiarazione recante l’indicazione di un falso credito Iva (mediante rimborso o compensazione), faccia immediatamente seguito lo sfruttamento economico dello stesso.

Sono queste le conclusioni desumibili dalla sentenza n. 3761 depositata ieri 3 febbraio, con la quale la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata con rinvio per un nuovo giudizio ad altra sezione della competente Corte di appello.

La vicenda in esame trae origine dalla condanna inflitta a carico di due soggetti (uno amministratore di diritto e l’altro socio e amministratore di fatto di una S.r.l.), all’esito del giudizio abbreviato, da parte del G.U.P. del competente Tribunale, per i reati fiscali di cui agli articoli 2 e 8 D.Lgs. 74/2000, avendo indicato nella dichiarazione annuale Iva 2012 un falso credito Iva, relativo ad operazioni oggettivamente inesistenti.

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