TRUST: IMPOSTA DI REGISTRO FISSA IN CASO DI RETROCESSIONE DEI BENI AL DISPONENTE

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di trust, la retrocessione dei beni a favore del disponente, nella ipotesi in cui tutti i beneficiari rinuncino alla propria posizione giuridica e l’atto istitutivo nulla preveda per questa eventualità, sconta l’imposta di registro, così come le imposte ipotecarie e catastali, in misura fissa, risultando tale trasferimento un mero riflesso di quella sopravvenuta inadeguatezza del vincolo di destinazione a realizzare l’arricchimento del beneficiario.

È questo l’importante principio sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 8719 depositata ieri 30 marzo, la quale interviene su una questione assolutamente nuova in materia di trust.

La fattispecie disaminata dai giudici di vertice prende le mosse dalla notifica ad un notaio di un avviso di liquidazione in misura proporzionale delle imposte ipotecarie e catastali dovute sul valore dei beni ritrasferiti ai disponenti a causa della intervenuta cessazione del trust A e B.

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TRUST: IMPOSTA DI REGISTRO FISSA IN CASO DI RETROCESSIONE DEI BENI AL DISPONENTE

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di trust, la retrocessione dei beni a favore del disponente, nella ipotesi in cui tutti i beneficiari rinuncino alla propria posizione giuridica e l’atto istitutivo nulla preveda per questa eventualità, sconta l’imposta di registro, così come le imposte ipotecarie e catastali, in misura fissa, risultando tale trasferimento un mero riflesso di quella sopravvenuta inadeguatezza del vincolo di destinazione a realizzare l’arricchimento del beneficiario.

È questo l’importante principio sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 8719 depositata ieri 30 marzo, la quale interviene su una questione assolutamente nuova in materia di trust.

La fattispecie disaminata dai giudici di vertice prende le mosse dalla notifica ad un notaio di un avviso di liquidazione in misura proporzionale delle imposte ipotecarie e catastali dovute sul valore dei beni ritrasferiti ai disponenti a causa della intervenuta cessazione del trust A e B.

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SEZIONI UNITE: SÌ ALLA RETTIFICA DEGLI ELEMENTI PLURIENNALI SULL'ESERCIZIO SUCCESSIVO

Di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di accertamento degli elementi reddituali pluriennali, l’amministrazione finanziaria è legittimata alla rettifica del componente di reddito ad efficacia pluriennale, per ragioni che non dipendono dal mero errato computo del singolo rateo di esso, sull’esercizio successivo a quello in cui detto elemento è maturato ed è stato iscritto per la prima volta in bilancio. È questo l’importante principio sancito dalle Sezioni Unite con sentenza n. 8500 depositata ieri 25 marzo.

La vicenda in esame trae origine dalla notifica di un avviso di accertamento relativo al periodo di imposta 2004, con cui l’amministrazione finanziaria disconosceva la componente negativa di reddito data dalla svalutazione in bilancio del credito maturato da una stabile organizzazione in Italia per finanziamenti erogati ad una s.p.a. posta in amministrazione straordinaria.

La Commissione tributaria regionale della Lombardia, a conferma della decisione di primo grado che aveva annullato l’atto impugnato dalla società contribuente, aveva affermato che l’Agenzia delle entrate era decaduta dalla potestà di ripresa fiscale, perché non aveva rettificato, nei termini di legge, i redditi della stabile organizzazione per il periodo di imposta 2003 (nel quale era stata per la prima volta effettuata la svalutazione del credito).

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ILLEGITTIMO L'ACCERTAMENTO DA STUDI DI SETTORE SE LO SCOSTAMENTO È INFERIORE AL 10%

Di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di accertamento basato sugli studi di settore, il presupposto della grave incongruenza tra i ricavi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dagli studi di settore risulta soddisfatto, ai fini della legittimità dell’accertamento, soltanto nell’ipotesi in cui lo scostamento sia superiore al 10%, essendo questa la percentuale che rende inattendibile la contabilità ordinaria degli esercenti attività di impresa.

È questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 8028 depositata ieri 23 marzo, la quale si pone in continuità con l’orientamento di legittimità che rende illegittimo l’accertamento redatto in applicazione degli studi di settore, laddove non si riscontri un grave scostamento rispetto ai ricavi dichiarati (cfr., Cass., ord. n. 2637/2019Cass., sent. n. 17486/2017Cass., sent. n. 22946/2015Cass., sent. n. 20414/2014).

La fattispecie in esame prende le mosse da una verifica effettuata con applicazione degli studi di settore e dal relativo contraddittorio preliminare. Seguiva l’emissione di un avviso di accertamento afferente ad Iva, Irpef e Irap in relazione al periodo di imposta 2004.

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RICAVI IN NERO SE IL TITOLARE “SOPPORTA” LE SPESE MA LA CASSA È IN ROSSO

Di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di accertamento analitico-induttivo, l’effettuazione di pagamenti con la liquidità del titolare, in presenza di un saldo negativo di cassa della ditta individuale, implicando che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti registrati, oltre a costituire un’anomalia contabile, fa presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati.

È questo il principio di diritto sancito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 7634, depositata ieri 18 marzo, la quale consolida il filone giurisprudenziale formatosi in materia (cfr., Cass. sent. 31.05.2011, n. 11988Cass. sent. 25.10.2017, n. 25289).

La vicenda trae origine dalla notifica di un avviso di accertamento, con il quale l’Agenzia delle entrate riconosceva in capo ad una ditta individuale un maggior reddito di impresa relativamente all’anno di imposta 2006 e procedeva, dunque, a recuperare a tassazione gli importi fiscali sui ricavi omessi.

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OCCULTAMENTO DI DOCUMENTI CONTABILI ANCHE IN CASO DI SUCCESSIVA CONSEGNA

Di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di reati tributari, ai fini della consumazione del reato di occultamento di documenti contabili, è sufficiente anche la temporanea indisponibilità delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, per cui tale reato si configura anche in caso di successiva consegna della documentazione precedentemente non esibita senza giustificato motivo.

È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 10106, depositata ieri 16 marzo, la quale si innesta nel solco tracciato dalla giurisprudenza di legittimità con sentenza 28.03.2018, n. 46049.

La fattispecie in esame prende le mosse da un’ispezione fiscale condotta dalla Guardia di Finanza, alla quale non veniva fornita, per indisponibilità, la documentazione contabile da parte dell’amministratore unico della società verificata, poi consegnata all’Agenzia delle entrate per la definizione dell’accertamento tributario.

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AUTORIZZAZIONE DEL P.M. NECESSARIA SOLO SE I LOCALI E NON L'IMMOBILE SONO AD USO PROMISCUO

Di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di verifica fiscale, ai fini della legittimità dell’accesso e dell’attività di indagine, l'autorizzazione del procuratore della Repubblica è necessaria solo nell’ipotesi in cui siano i locali, e non l’immobile nel quale essi si trovano, ad avere destinazione promiscua, venendo contestualmente utilizzati per l’attività lavorativa e per la vita familiare.

È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione, con ordinanza n. 6861, depositata ieri 11 marzo, nella quale vengono operate importanti precisazioni in ordine all’autorizzazione all’accesso in locali adibiti ad uso promiscuo ex articoli 33 D.P.R. 600/1973 e 52 D.P.R. 633/1972.

La vicenda trae origine da un’attività di verifica fiscale eseguita presso un immobile al cui interno vi erano alcuni locali destinati ad ospitare la sede legale della S.r.l. oggetto di indagine e altri concessi in comodato a soggetti terzi. Detta attività si concludeva con la redazione di un processo verbale di constatazione, da cui è poi derivato un avviso di accertamento che riprendeva a tassazione costi non deducibili e non inerenti, ammortamenti indeducibili e IVA non detraibile.

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I RICAVI "APPIATTITI" SULLO STUDIO DI SETTORE LEGITTIMANO L'ACCERTAMENTO

Di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In caso di accertamento fondato non solo sugli di studi di settore, ma anche su altri e prevalenti indici rivelatori dell’esistenza di un’operatività economica non dichiarata, è legittima, anche in assenza di contraddittorio con il contribuente, la rideterminazione dei ricavi congrui ma appiattiti sugli studi di settore, applicando al costo del venduto la percentuale di ricarico media aziendale rilevata all’esito della verifica fiscale.

È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 6474, depositata ieri 9 marzo, la quale consolida quel filone giurisprudenziale secondo cui il fatto che l’accertamento sia basato sullo studio di settore non esclude che esso possa trovare anche altre giustificazioni come, ad esempio, riscontrate irregolarità contabili o la ritenuta antieconomicità della gestione aziendale (cfr., Cass. Ord. 5.12.2019, n. 31814).

La fattispecie in esame prende le mosse dalla notifica di un avviso di accertamento analitico-induttivo, basato anche sugli studi di settore, ad un imprenditore esercente l’attività di bar con annessa rivendita di giornali, generi di monopolio e ricevitoria, con il quale l’amministrazione finanziaria aveva rettificato la dichiarazione da questi presentata ai fini Irpef, Irap e Iva in relazione al periodo di imposta 2006.

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DISAPPLICAZIONE DELLA NORMA ANTIELUSIVA ANCHE IN GIUDIZIO E SENZA INTERPELLO

Di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

Il contribuente che intenda far valere l’illegittimità dell’operato dell’amministrazione in ordine al mancato riconoscimento di deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o di altre posizioni soggettive altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario, per l’impossibilità, in concreto, del verificarsi di effetti elusivinon è tenuto obbligatoriamente ad avanzare istanza di interpello disapplicativo, incorrendo altrimenti nella decadenza dal diritto ad ottenere la disapplicazione delle disposizioni antielusive, ma può far valere la medesima pretesa direttamente in sede giudiziale, con correlativo obbligo del giudice di pronunciarsi in merito.

È questo l’innovativo principio sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 5953, depositata ieri 4 marzo, la quale è intervenuta per la prima volta sul punto, richiamando gli arresti giurisprudenziali in tema di impugnabilità o meno dell’atto di diniego all’istanza di interpello disapplicativo.

La vicenda trae origine dalla notifica ad una società a responsabilità limitata di un avviso di accertamento, relativo al periodo d’imposta 2003, con cui era stata accertata una maggiore Irpeg a seguito del disconoscimento, da parte dell’amministrazione finanziaria, per difetto dei requisiti di cui all’articolo 123, comma 5, Tuirdell’utilizzo in compensazione di perdite fiscali pregresse maturate da altre società incorporate nella citata S.r.l.

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PRESTITO DI PERSONALE ALLA CONTROLLATA: IVA DETRAIBILE SOLO SE IL RIMBORSO È SUPERIORE AL MERO COSTO

Di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di Iva, la controllata che riceve dalla controllante il prestito o distacco di personale ha diritto alla detrazione Iva solo nel caso in cui questa rimborsi una somma superiore rispetto alle retribuzioni e agli altri oneri previdenziali e contrattuali gravanti sul distaccante. In difetto di prova, da parte dell’amministrazione finanziaria, dell’esistenza di un reddito imponibile, la controllata ha diritto altresì a dedurre detto costo dalla base imponibile Irap.

È questo l’importante principio sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 5615, depositata ieri 2 marzo, la quale si innesta nel solco tracciato dalle Sezioni Unite con sentenza 7.11.2011, n. 23021.

La fattispecie in esame prende le mosse dalla notifica a due società (controllante e controllata) degli avvisi di accertamento ai fini Iva, Irap e Ires emessi dall’Agenzia delle entrate nei loro confronti in relazione alla prestazione di prestito di personale dalla controllante alla controllata.

Le due società proponevano ricorso avverso i predetti atti dinanzi alla competente CTP, che, in accoglimento parziale, rilevava che la controllante non avesse soltanto prestato il proprio personale alla controllata, ma aveva altresì reso ulteriori prestazioni, consistenti nell’utilizzo di strutture e apparecchiature della società.

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