IN IPOTESI DI REATO IL TERMINE DELL'AZIONE DI RECUPERO DEI DAZI DOGANALI DECORRE DALLA DATA IN CUI IL PROCEDIMENTO PENALE SI È CONCLUSO CON PROVVEDIMENTO IRREVOCABILE
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
L'azione di recupero dei dazi doganali non può essere più avviata dopo la scadenza del termine di tre anni a decorrere dalla data di contabilizzazione dell'importo originariamente richiesto o, se non vi è stata contabilizzazione, a decorrere dalla data in cui il debito doganale è divenuto esigibile. Tale termine non si applica però quando non sia stato possibile determinare l'importo esatto dei dazi a causa di un atto passibile di un'azione giudiziaria repressiva o perseguibile penalmente. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza del 16 dicembre 2016, n. 26045.
Ciò, sulla base della considerazione per la quale - afferma la Suprema Corte - l'azione di recupero si esercita conformemente alle disposizioni vigenti in materia negli Stati membri, laddove, in base alla disciplina nazionale (cfr., art. 84 TULD), qualora il mancato pagamento abbia causa da un reato, il termine inizia a decorrere dalla data in cui il procedimento penale si sia concluso con provvedimento irrevocabile.
A tal fine, secondo i Giudici di Piazza Cavour, è sufficiente che le autorità doganali ravvisino una fattispecie prevista come reato dal diritto penale nazionale e comunichino la relativa notizia entro il termine triennale citato, non essendo necessario che le azioni giudiziarie siano poi effettivamente avviate, rientrando dunque la qualificazione di un atto come "passibile di un'azione giudiziaria repressiva o perseguibile penalmente" nella competenza delle stesse autorità doganali.
Infine, si rileva che l'art. 103 del nuovo Codice doganale dell'Unione stabilisce che quando l'obbligazione doganale sorge in seguito ad un atto che, nel momento in cui è stato commesso, era perseguibile penalmente, il termine di tre anni viene esteso da un minimo di cinque ad un massimo di dieci.
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HAI MAI PENSATO DI PROTEGGERE IL TUO PATRIMONIO DA POSSIBILI EVENTI INDESIDERATI?
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
Gli eventi indesiderati che possono avere importanti ripercussioni sul patrimonio, mobiliare ed immobiliare, di ciascuno di noi possono essere molteplici. Per tale ragione, pianificare e proteggere il proprio patrimonio è divenuto ormai fondamentale.
Molto spesso, il concetto di protezione del patrimonio viene semplicisticamente inteso come strumento per sottrarre i beni di cui si dispone dalle aggressioni dei creditori, quasi sempre, peraltro, in prossimità dell'avvio di azioni finalizzate al recupero coattivo del credito. Al contrario, proteggere il patrimonio significa adottare, talvolta anche congiuntamente, tutte quelle strategie che consentono di porre il patrimonio al riparo da tutti i possibili rischi che, in qualunque modo, diretto o indiretto, possano comportare la perdita di valore dei propri beni.
A tal fine, è importante prestare attenzione anche al momento in cui l'operazione viene realizzata, in quanto, se ciò accade quando il creditore è in procinto di aggredire il nostro patrimonio, oltre a sortire effetti non positivi, può configurare possibili responsabilità per il professionista interessato.
Chiarito ciò, occorre precisare che la pianificazione e la protezione patrimoniale richiedono uno studio importante che si esplica attraverso i seguenti passaggi:
1) mappatura dei rischi potenzialmente idonei ad arrecare un danno al valore del proprio patrimonio;
2) verifica di quali dei possibili rischi siano effettivamente riferibili alla propria persona ed al proprio patrimonio e con quale probabilità gli stessi possano realizzarsi;
3) individuazione della strategia più corretta ed idonea al raggiungimento degli obiettivi preposti attraverso l'uso di uno o più strumenti giuridici.
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LA BANCA DEVE RISARCIRE IL DANNO AL CLIENTE TRUFFATO CHE UTILIZZA IL SERVIZIO DI HOME BANKING
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
Molto spesso accade che il cliente di una banca sia vittima di una truffa informatica mentre utilizza il servizio di home banking, con conseguente perdita di denaro a causa di una appropriazione indebita da parte del soggetto che perpetra la truffa.
Innanzitutto, chiariamo alcuni concetti. Per truffa informatica si intende l'alterazione del funzionamento di un sistema informatico allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno. Invece, il servizio di home banking è quello che consente al cliente di una banca di disporre dei servizi di pagamento attraverso il sistema informatico, senza la necessità di doversi recare personalmente presso gli sportelli della banca.
Alla luce di quanto previsto dagli articoli 10, 11 e 12 del D. Lgs. 11/2010 (c.d. PSD Payment Services Directive) e dalla più recente giurisprudenza di legittimità, in tali ipotesi sussiste una responsabilità della banca sul presupposto che quest'ultima, nei rapporti contrattuali con il correntista, risponde secondo le regole del mandato ex art. 1856 c.c. e la diligenza cui è tenuta va valutata con particolare rigore: la diligenza del buon banchiere deve essere qualificata dal maggior grado di prudenza e attenzione che la connotazione professionale dell'agente consente e richiede.
Al contrario, la responsabilità del cliente sussiste in caso di comportamento doloso o gravemente colposo e ciò rappresenta l'unico limite alla responsabilità della banca ex art. 1227 c.c.. Ad esempio, la colpa in capo al cliente può in concreto sussistere quando l'aggiramento dei sistemi di sicurezza abbia avuto luogo attraverso metodi truffaldini noti, quali false comunicazioni di scadenza o inviti all'aggiornamento di database, ricevute per email, che il cliente, utilizzando un grado di diligenza minimo, avrebbe potuto ritenere fraudolente.
In definitiva, non è esente da colpa la condotta del cliente che comunichi a malintenzionati, in risposta a email ricevute, i propri codici di accesso al servizio di home banking, consentendo in tal modo ad hacker informatici di inserirsi nel sistema e disporre ordini di pagamento illeciti.
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È NULLA LA CARTELLA DI PAGAMENTO NON PRECEDUTA DA UN ATTO DI ACCERTAMENTO SE PRIVA DI UNA MOTIVAZIONE CONGRUA, SUFFICIENTE ED INTELLEGIBILE
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
La cartella esattoriale deve avere, a pena di nullità, una motivazione congrua, sufficiente ed intellegibile, qualora essa non sia preceduta da un atto di accertamento. È questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza del 6 dicembre 2016, n. 24933.
Nel caso di specie, il contribuente aveva impugnato una cartella di pagamento, anche per difetto di motivazione, sulla base della considerazione per la quale essa indicava solo il periodo di imposta e il totale degli interessi richiesti in relazione alla revoca di un provvedimento di sospensione (nel contesto di un giudizio su imposta di successione).
I Giudici di merito aditi, sia in primo che in secondo grado, in totale accoglimento di quanto eccepito nel ricorso dal contribuente, avevano annullato la cartella impugnata, ritenendo che essa non fosse sufficientemente motivata. Pertanto, l'Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per Cassazione.
La Suprema Corte, dopo aver constatato che la cartella de qua esplicitava solo il periodo di imposta e il totale degli interessi, ma non anche il tasso e il metodo di calcolo utilizzato, ha affermato tout court che la cartella, quando non sia preceduta da un atto di accertamento, deve essere motivata, a pena di nullità, in modo congruo, sufficiente ed intellegibile, in virtù di quanto disposto dagli artt. 3 della Legge n. 241/1990 e 7 della Legge n. 212/2000.
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È NULLA LA CARTELLA DI PAGAMENTO NON PRECEDUTA DA UN ATTO DI ACCERTAMENTO SE PRIVA DI UNA MOTIVAZIONE CONGRUA, SUFFICIENTE ED INTELLEGIBILE
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
La cartella esattoriale deve avere, a pena di nullità, una motivazione congrua, sufficiente ed intellegibile, qualora essa non sia preceduta da un atto di accertamento. È questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza del 6 dicembre 2016, n. 24933.
Nel caso di specie, il contribuente aveva impugnato una cartella di pagamento, anche per difetto di motivazione, sulla base della considerazione per la quale essa indicava solo il periodo di imposta e il totale degli interessi richiesti in relazione alla revoca di un provvedimento di sospensione (nel contesto di un giudizio su imposta di successione).
I Giudici di merito aditi, sia in primo che in secondo grado, in totale accoglimento di quanto eccepito nel ricorso dal contribuente, avevano annullato la cartella impugnata, ritenendo che essa non fosse sufficientemente motivata. Pertanto, l'Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per Cassazione.
La Suprema Corte, dopo aver constatato che la cartella de qua esplicitava solo il periodo di imposta e il totale degli interessi, ma non anche il tasso e il metodo di calcolo utilizzato, ha affermato tout court che la cartella, quando non sia preceduta da un atto di accertamento, deve essere motivata, a pena di nullità, in modo congruo, sufficiente ed intellegibile, in virtù di quanto disposto dagli artt. 3 della Legge n. 241/1990 e 7 della Legge n. 212/2000.
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L'EREDE BENEFICIATO RISPONDE DEI DEBITI FISCALI DEL DEFUNTO SOLO NEI LIMITI DELL'ATTIVO EREDITARIO
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
L'accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario non determina, di per sé sola, il venir meno della responsabilità patrimoniale dell'erede per i debiti, anche tributari, del defunto, ma fa solo sorgere il diritto a non rispondere ultra vires hereditatis, cioè al di là dei beni lasciati dal defunto. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 23019 dell'11 novembre 2016.
Nel caso di specie, ad un erede beneficiato veniva notificata una cartella di pagamento per omessa impugnazione di taluni avvisi di accertamento emessi a carico del defunto. I Giudici di primo e secondo grado annullavano la cartella impugnata, ritenendo che l'Amministrazione finanziaria non avesse considerato che l'erede aveva accettato l'eredità con beneficio di inventario e, quindi, non poteva essere considerato obbligato verso l'Erario per tutte le somme pretese in forza di obbligazioni alle quali egli era del tutto estraneo.
Al contrario, la Suprema Corte ha osservato, innanzitutto, che è vero che l'accettazione dell'eredità con beneficio di inventario si caratterizza rispetto all'accettazione pura e semplice per il fatto che il patrimonio del defunto è tenuto distinto da quello dell'erede e che si producono gli effetti della limitazione di responsabilità.
Tuttavia, ciò non significa che l'accettazione beneficiata dell'eredità determini, di per sé sola, il venir meno della responsabilità patrimoniale dell'erede per i debiti, anche tributari, del defunto, ma fa solo sorgere il diritto dell'erede a procedere al pagamento solo nei limiti dell'attivo ereditario.
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UTILIZZO PIÚ AMPIO PER LE DICHIARAZIONI INTEGRATIVE
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
Le regole per l'invio delle dichiarazioni integrative erano in precedenza significativamente stringenti, anche a seguito delle posizioni molto rigide assunte dalla giurisprudenza: si ricorda, infatti, la pronuncia n. 13378/2016 delle Sezioni Unite, che impedisce l'utilizzo della dichiarazione integrativa per correggere a favore del contribuente errori precedentemente commessi.
Invece, l'art. 5 del D.L. 193/2016, riscrivendo l'art. 2, comma 8 e 8-bis, del D.P.R. 322/1998, interviene prevedendo un utilizzo più ampio per le dichiarazioni integrative, ovvero la possibilità per i contribuenti di correggere quanto indicato nelle dichiarazioni precedentemente inviate.
La norma citata riguarda tanto le modifiche a favore del Fisco da apportare alle dichiarazioni, che possono essere inoltrate anche oltre il termine annuale precedentemente previsto, quanto le modifiche per quelle a favore del contribuente, con possibilità di utilizzo in compensazione dei crediti anche se l'invio avviene oltre il termine di un anno.
Termine ampio per le rettifiche a favore del contribuente
La prima modifica riguarda la sostituzione del citato comma 8, recante la disciplina generale che regolamenta la presentazione delle dichiarazioni integrative.
Le dichiarazioni dei redditi, Irap e 770 possono essere integrate per correggere errori od omissioni, compresi quelli che abbiano determinato l'indicazione di un maggiore o di un minore imponibile o, comunque, di un maggiore o di un minore debito d'imposta ovvero di un maggiore o di un minore credito, mediante successiva presentazione della dichiarazione integrativa.
Tale dichiarazione è redatta sui modelli previsti per tale annualità e, nei fatti, è una dichiarazione che sostituisce quella originaria.
In precedenza la norma faceva semplicemente riferimento ad "errori od omissioni", correzioni che l'Amministrazione finanziaria e la Cassazione avevano interpretato solo nella direzione favorevole alle ragioni erariali; a seguito dell’approvazione del D.L. 193/2016 la correzione, come detto, può essere "bidirezionale", nel senso che oltre alla correzioni a favore del fisco (ad esempio, l'inserimento di un reddito precedentemente non dichiarato), ora possono essere anche a favore del contribuente (ad esempio, l'inserimento di un onere deducibile o detraibile precedentemente dimenticato).
Tali correzioni possono avvenire entro i termini previsti per l'accertamento dell'annualità in questione.
Necessariamente, quando la rettifica fosse a favore del fisco e portasse ad un maggior debito d'imposta, troverebbero applicazione le sanzioni tributarie, con la possibilità per il contribuente di azionare la disciplina del ravvedimento operoso (ma qui nulla è cambiato).
Con l'integrativa, credito sempre compensabile
La modifica che produrrà le maggiori e più tangibili conseguenze a livello operativo è certamente quella che si sostanzia nella sostituzione del successivo comma 8-bis, riguardante la possibilità di utilizzo del credito scaturente dalla dichiarazione.
La formulazione precedente permetteva di rettificare le dichiarazioni a favore del contribuente entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo; tale credito poteva essere immediatamente utilizzato in compensazione per abbattere altri debiti tributari o contributivi.
Il nuovo comma 8-bis prevede che l'eventuale credito derivante dal minor debito o dal maggiore credito risultante dalle dichiarazioni integrative:
• potrà essere utilizzato immediatamente in compensazione se la dichiarazione viene presentata entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo (e sin qui nulla di nuovo);
• nel caso in cui la dichiarazione oggetto di integrazione a favore fosse presentata oltre tale termine, il credito che ne deriva potrà essere utilizzato in compensazione per eseguire il versamento di debiti maturati, ma solo a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione integrativa.
Questo intervento è di significativo interesse in quanto anche oltre il termine annuale precedentemente previsto è possibile comunque utilizzare il credito in compensazione (evitando in tal modo i tempi non brevi previsti nel caso di istanza di rimborso), seppur con un utilizzo che è in parte differito.
Esempio 1 (situazione non modificata)
La società Alfa Srl intende ripresentare il modello Unico 2016 redditi 2015 per ridurre l’imponibile del modello originariamente presentato; da tale dichiarazione integrativa scaturisce un maggior credito di 3.000 euro.
Tale correzione può essere effettuata entro il prossimo 30 settembre 2017, utilizzando immediatamente in compensazione il credito. Ad esempio, se fosse presentata in questi giorni, detto credito potrebbe essere utilizzato in compensazione in occasione del versamento dell’acconto Iva in scadenza a fine mese.
Esempio 2 (novità)
La società Beta Srl intende ripresentare il modello Unico 2015 redditi 2014 nel mese di dicembre 2016 per ridurre l’imponibile del modello originariamente presentato; da tale dichiarazione integrativa scaturisce un maggior credito di 5.000 euro.
Tale correzione avviene oltre il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo (30 settembre 2016), pertanto detto credito può essere utilizzato in compensazione di debiti maturati a partire dal periodo d’imposta successivo quello di presentazione (quindi maturati nel 2017).
Ad esempio, nel caso in esame (integrativa presentata a dicembre 2016), detto credito potrebbe essere utilizzato in compensazione in occasione del versamento dell’Iva del mese di gennaio 2017 (scadenza 16 febbraio 2017).
Nel comma 8-bis viene infine precisato che resta ferma in ogni caso per il contribuente la possibilità di far valere, anche in sede di accertamento o di giudizio, eventuali errori, di fatto o di diritto, che abbiano inciso sull'obbligazione tributaria, determinando l'indicazione di un maggiore imponibile, di un maggiore debito d'imposta o, comunque, di un minore credito.
Trattamento di favore esteso anche alle dichiarazioni integrative Iva
Con apposite modifiche apportate all'articolo 8, D.P.R. 322/1998, l’articolo 5, D.L. 193/2016, opportunamente modificato in sede di conversione in legge, riconosce un'ampia libertà di utilizzo anche al credito IVA che emerge da una dichiarazione integrativa a favore del contribuente.
Con il nuovo comma 6-quater del citato articolo 8 viene infatti previsto che l’eventuale credito risultante dalle dichiarazioni integrative presentate oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, può, oltre che richiesto a rimborso, essere utilizzato in compensazione orizzontale con altri tributi e contributi.
La compensazione, tuttavia, può essere effettuata solo per eseguire il versamento di debiti maturati a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione integrativa.
Esempio 3 (novità)
La società Beta Srl intende ripresentare nel mese di dicembre 2016 il modello di dichiarazione annuale Iva2015 relativo all’anno 2014 per indicare una fattura passiva non presente nel modello originariamente presentato; da tale dichiarazione integrativa scaturisce un maggior credito di 3.000 euro.
Tale correzione avviene oltre il termine di presentazione della dichiarazione Iva relativa al periodo d’imposta successivo (30 settembre 2016), pertanto detto credito può essere utilizzato in compensazione di debiti maturati a partire dal periodo d’imposta successivo quello di presentazione (quindi maturati nel 2017).
Ad esempio, nel caso in esame (integrativa presentata a dicembre 2016), detto credito Iva potrebbe essere utilizzato in compensazione in occasione del versamento di ritenute fiscali operate nel mese di gennaio 2017 (scadenza 16 febbraio 2017).
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LA ROTTAMAZIONE DELLE SOMME ISCRITTE A RUOLO AFFIDATE ALL'AGENTE DELLA RISCOSSIONE DAL 2000 AL 2016
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
L'art. 6 del D.L. 193/2016 prevede che per i carichi affidati all'Agente della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2016, correlati a violazioni tributarie e contributive, è possibile fruire di una sanatoria costituita dallo stralcio delle sanzioni amministrative e degli interessi di mora contenuti nelle cartelle, qualora avvenga il contestuale pagamento delle somme richieste a titolo di capitale, compensi di riscossione, spese di notifica e di interesse diverso da quello di mora, alternativamente in un'unica soluzione entro il 31 luglio 2017 o in modalità rateizzata dal mese di luglio 2017. Per le multe stradali, invece, la sanatoria è limitata agli interessi di mora e alle maggiorazioni previste dalla legge (rimangono dovute le sanzioni amministrative).
Le somme che possono essere oggetto di definizione agevolata
Sotto il profilo oggetto, la definizione agevolata riguarda le somme riferite alle imposte dirette ed indirette (Irpef, Ires, Iva, Irap, imposta di registro, etc.), ai contributi previdenziali e assistenziali (Inps, Inail), alle entrate locali (Ici, Imu, Tari, Tasi) per le quali il comune si sia avvalso di Equitalia (o di Riscossione Sicilia per la regione Sicilia) ai fini della riscossione. Non rientrano le violazioni diverse da quelle tributarie e contributive.
Sotto il profilo soggettivo, non vi sono invece preclusioni: la definizione agevolata interessa qualsiasi tipologia di contribuente (persona fisica, professionista, impresa individuale, società, enti commerciali e non, etc.).
L'avviso di Equitalia
Per carichi affidati ad Equitalia si intendono i ruoli contenuti nelle cartelle di pagamento affidati all'Agente della riscossione tra il 1° gennaio 2000 e il 31 dicembre 2016.
Pertanto, non rileva la data di notifica della cartella al contribuente, ma la data di affidamento del ruolo: Equitalia invierà ai contribuenti, per i quali non è stata ancora notificata una cartella affidata all'Agente della riscossione entro il 31 dicembre 2016, una comunicazione per posta ordinaria entro il 28 febbraio 2017 per segnalare l'opportunità di accedere alla "rottamazione".
Come specificato nelle note del nuovo modello DA1 "Dichiarazione di adesione alla definizione agevolata", la definizione agevolata riguarda:
- cartelle di pagamento;
- avvisi di accertamento esecutivo dell'Agenzia delle entrate/dogane e monopoli;
- avvisi di addebito dell'Inps.
La definizione agevolata dei ruoli consiste nello stralcio delle sanzioni amministrative e degli interessi di mora. Spettano per intero i compensi di riscossione (aggi), seppure rideterminati sulla parte del debito oggetto di cartella dovuto, e le spese di notifica della cartella.
La definizione agevolata è consentita sia nel caso in cui la cartella è stata rateizzata sia nel caso in cui è scaduta e non pagata.
Se ci sono rateizzazioni in corso, per potere accedere alla rottamazione della cartella, il debitore deve essere in regola con i pagamenti delle rate scadenti dal 1° ottobre 2016 al 31 dicembre 2016.
Si tenga inoltre presente che, per coloro che hanno rateizzato, non possono formare oggetto di rimborso le somme già versate a titolo di sanzioni, interessi di dilazione, interessi di mora.
È possibile, in presenza di più cartelle di pagamento, ovvero di una cartella comprensiva di più carichi, adottare una "definizione parziale" di un singolo carico contenuto in un atto, avviso di accertamento esecutivo ovvero avviso di addebito.
Le modalità di accesso alla definizione agevolata
Il soggetto interessato deve dichiarare che non vi sono giudizi pendenti aventi ad oggetto i carichi ai quali si riferisce la richiesta di definizione agevolata ovvero che assume l’impegno a rinunciare ai giudizi pendenti aventi ad oggetto i medesimi carichi.
È possibile adempiere all'importo che sarà liquidato da Equitalia, una volta ricevuta la richiesta di adesione alla definizione agevolata, in un'unica soluzione entro luglio 2017 o in modalità rateale con scelta da 2 a 5 rate. Nel caso di richiesta di pagamento rateale è presente sul modello DA1 la suddivisione percentuale dell'importo dovuto alle relative scadenze di pagamento.
Qualora il contribuente scelga, ad esempio, il pagamento in 5 rate le scadenze sarebbero a luglio 2017 (24%), settembre 2017 (23%), novembre 2017 (23%), aprile 2018 (15%) e settembre 2018 (15%). Sulle rate successive a quella di luglio 2017 sono dovuti interessi nella misura del 4,5% annuo.
La procedura
Il modulo DA1 compilato, accessibile dalla home page del sito www.gruppoequitalia.it, deve essere consegnato agli sportelli territorialmente competenti ovvero inviato via mail o pec entro il 31 marzo 2017, utilizzando gli specifici indirizzi di posta elettronica riportati nel modello di definizione allegando copia del documento di identità del soggetto richiedente la definizione agevolata.
È possibile barrare sulla dichiarazione di adesione di volersi avvalere della facoltà di pagamento tramite domiciliazione sul conto corrente secondo indicazioni che saranno fornite nella comunicazione delle somme da versare ai fini della definizione.
La presentazione della domanda di sanatoria inibisce l'adozione di nuove misure cautelari ed esecutive.
Se ci sono contenziosi in corso in merito ai carichi definibili, occorre impegnarsi a rinunciare ai medesimi nella domanda inviata a Equitalia.
Entro il 31 maggio 2017 Equitalia comunicherà l’ammontare complessivo della somma dovuta a seguito della richiesta di adesione e la scadenza delle eventuali rate, inviando i bollettini di pagamento.
Chi non paga anche una sola rata, oppure lo fa in misura ridotta o in ritardo, perde i benefici della definizione agevolata: gli eventuali versamenti effettuati saranno comunque acquisiti a titolo di acconto dell'importo complessivamente dovuto, che viene rideterminato in misura comprensiva delle sanzioni amministrative e degli interessi di mora.
Calcolo di convenienza
La rottamazione dei ruoli rappresenta una opportunità in particolare per i soggetti titolari di reddito di impresa, in presenza di ruoli relativi a tributi quali Irpef, Ires, Iva, Irap per i quali la norma prevede ordinariamente l’applicazione di sanzioni amministrative pari al 30% del tributo in quota capitale non versato.
In molti casi sarà opportuno un calcolo di convenienza tra:
- la rateazione secondo un piano ordinario con Equitalia (è consentita fino a 72 mesi ma obbliga al pagamento integrale di quanto dovuto, comprensivo di sanzioni amministrative, compensi di riscossione e interessi di dilazione) e
- l'adesione alla definizione agevolata con Equitalia (che consente lo stralcio delle sanzioni amministrative e degli interessi di mora ma è ammessa solo se il pagamento avviene al più in un arco temporale di 15 mesi, da luglio 2017 a settembre 2018).
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