NUOVO CODICE DOGANALE: RUOLO CHIAVE PER L'AEO
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
L'Agenzia delle Dogane, con circolare n. 8 del 19 aprile 2016, si è soffermata sulla centralità della figura dell'operatore economico autorizzato AEO, cui il nuovo Codice Doganale dell'Unione (Reg. UE 952/2013) ha attribuito un ruolo chiave.
L'autorizzazione AEO introduce infatti un significativo indice di responsabilizzazione e di corretta gestione della compliance da parte dell'operatore economico, determinando la possibilità di accedere ad una serie di benefici e di semplificazioni nelle procedure e nei procedimenti doganali.
A partire dal 1° maggio 2016, lo status di operatore economico autorizzato non verrà più attestato mediante certificazione, ma si baserà su due diversi tipi di autorizzazione unionale, ovvero:
- settore della semplificazione doganale (AEOC), che consente di ottenere i benefici e le semplificazioni previsti dalla normativa doganale;
- settore della sicurezza (AEOS), che consente di ottenere le agevolazioni in materia di sicurezza.
Nella circolare citata, l'Agenzia delle Dogane ricorda anche i criteri che devono essere rispettati per acquisire lo status di AEO, ovvero conformità, sistema efficace di gestione delle scritture commerciali e relative ai trasporti, solvibilità, standard pratici di competenza, di qualifiche professionali e di sicurezza.
Con particolare riferimento alla conformità, si evidenzia che, nel caso in cui il richiedente sia una persona fisica, questa e, se del caso, l'impiegato responsabile delle questioni doganali del richiedente non devono aver commesso violazioni gravi o ripetute della normativa doganale e fiscale e non devono avere precedenti per reati gravi in relazione alla loro attività economica.
Nel caso in cui il richiedente non sia una persona fisica, invece, il criterio risulta soddisfatto se, negli ultimi tre anni, il richiedente, la persona responsabile del richiedente o che esercita il controllo sulla sua gestione e l'impiegato responsabile delle questioni doganali non hanno commesso violazioni gravi o ripetute della normativa doganale e fiscale o non hanno avuto precedenti per reati gravi in relazione alla propria attività economica.
Per quanto riguarda i certificati AEO in essere al 1° maggio 2016, viene specificato che non occorre presentare una nuova istanza, in quanto i medesimi restano validi sino al loro riesame. Infatti, tenuto conto della necessità di conformare lo status AEO alla nuova normativa doganale unionale, a partire dal prossimo 1° maggio e sino al 1° maggio 2019, tutti i certificati AEO dovranno essere riesaminati. La decisione positiva che seguirà al riesame sostituirà il certificato esistente.
© Riproduzione riservata
I CHIARIMENTI DELL'AE PER LA RIAMMISSIONE DEI CONTRIBUENTI DECADUTI
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
La Legge n. 208/2015 ha previsto una speciale forma di riammissione per i contribuenti decaduti da determinate tipologie di dilazione. A tal fine, entro il 31 maggio 2016 deve iniziare la ripresa dei pagamenti per i soli contribuenti decaduti nei 36 mesi antecedenti il 15 ottobre 2015. Con circolare n. 13 del 22 aprile 2016, l'Agenzia delle Entrate ha fornito importanti chiarimenti in merito agli aspetti applicativi dell'istituto.
Innanzitutto, l'AE chiarisce che, stante il tenore letterale della norma, la riammissione concerne solo le dilazioni di istituti disciplinati dal D.Lgs. 218/97, ovvero accertamento con adesione, acquiescenza, adesione ai verbali di constatazione e adesione agli inviti al contraddittorio. Non rientrano, invece, le dilazioni derivanti da conciliazione giudiziale, mediazione ed avvisi bonari. Per quanto concerne le imposte che possono fruire della riammissione, l'AE chiarisce che vi rientrano imposte sui redditi, addizionali e IRAP. Resta fuori invece l'IVA.
La riammissione non postula alcuna domanda, ma si perfeziona con un comportamento concludente che si concretizza nel pagamento dell'ultima rata, ovvero di quella che ha dato origine alla decadenza. Quindi, entro il prossimo 31 maggio, occorre provvedere al pagamento di tale rata e, successivamente, trasmettere all'AE la relativa quietanza, cui seguirà la comunicazione del piano di ammortamento rielaborato.
Preme rilevare che la scadenza delle rate successive dipende dal giorno in cui si è provveduto al pagamento di quella che ha dato origine alla decadenza e che, per effetto della riammissione, viene meno la sanzione del 60%, che è stata irrogata unitamente alla cartella a seguito della decadenza dalla rateazione. Quest'ultimo importo sarà dunque detratto dalle rate ancora dovute.
© Riproduzione riservata
I CHIARIMENTI DELL'AE PER LA RIAMMISSIONE DEI CONTRIBUENTI DECADUTI
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
La Legge n. 208/2015 ha previsto una speciale forma di riammissione per i contribuenti decaduti da determinate tipologie di dilazione. A tal fine, entro il 31 maggio 2016 deve iniziare la ripresa dei pagamenti per i soli contribuenti decaduti nei 36 mesi antecedenti il 15 ottobre 2015. Con circolare n. 13 del 22 aprile 2016, l'Agenzia delle Entrate ha fornito importanti chiarimenti in merito agli aspetti applicativi dell'istituto.
Innanzitutto, l'AE chiarisce che, stante il tenore letterale della norma, la riammissione concerne solo le dilazioni di istituti disciplinati dal D.Lgs. 218/97, ovvero accertamento con adesione, acquiescenza, adesione ai verbali di constatazione e adesione agli inviti al contraddittorio. Non rientrano, invece, le dilazioni derivanti da conciliazione giudiziale, mediazione ed avvisi bonari. Per quanto concerne le imposte che possono fruire della riammissione, l'AE chiarisce che vi rientrano imposte sui redditi, addizionali e IRAP. Resta fuori invece l'IVA.
La riammissione non postula alcuna domanda, ma si perfeziona con un comportamento concludente che si concretizza nel pagamento dell'ultima rata, ovvero di quella che ha dato origine alla decadenza. Quindi, entro il prossimo 31 maggio, occorre provvedere al pagamento di tale rata e, successivamente, trasmettere all'AE la relativa quietanza, cui seguirà la comunicazione del piano di ammortamento rielaborato.
Preme rilevare che la scadenza delle rate successive dipende dal giorno in cui si è provveduto al pagamento di quella che ha dato origine alla decadenza e che, per effetto della riammissione, viene meno la sanzione del 60%, che è stata irrogata unitamente alla cartella a seguito della decadenza dalla rateazione. Quest'ultimo importo sarà dunque detratto dalle rate ancora dovute.
© Riproduzione riservata
LE ISTRUZIONI DELLE DOGANE PER IL NUOVO CODICE DOGANALE
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
Con la circolare n. 8/D del 19 aprile 2016, l’Agenzia delle Dogane fornisce una prima disamina delle principali novità introdotte dal nuovo Codice doganale europeo (in vista dell’entrata in vigore a decorrere dal 1° maggio 2016) ed impartisce le direttive procedurali ed operative relative a taluni profili di immediato impatto per gli Uffici delle dogane e per gli operatori. È previsto in ogni caso un periodo transitorio, fino al 1° maggio 2019, per consentire l’adattamento di decisioni e autorizzazioni alle nuove disposizioni giuridiche.
Validità e uso delle autorizzazioni alle procedure di domiciliazione
Le disposizioni del nuovo Codice Doganale a maggior impatto sull'operatività dell’utenza riguardano l’eliminazione delle procedure di domiciliazione che interessano circa l’85% delle dichiarazioni doganali. Secondo quanto previsto, le autorizzazioni alle procedure di domiciliazione rimangono valide sino al loro riesame - da concludersi entro il 30 aprile 2019 -, ma possono essere utilizzate secondo le nuove regole.
Presentazione dei documenti di accompagnamento
Il nuovo Codice Doganale prevede che i documenti di accompagnamento alla dichiarazione necessari all'applicazione delle disposizioni che disciplinano il regime doganale - a partire dal prossimo 1° maggio - sono forniti alla dogana, non più sistematicamente, ma solo se la normativa UE lo richiede o se sono necessari per i controlli doganali.
Nuova disciplina per la rappresentanza
È costituita in AIDA la Banca dati dei Rappresentanti, contenente l'elenco dei soggetti cui è riconosciuto il potere di rappresentanza in dogana. Tale banca dati è stata precaricata con le informazioni in possesso dell’Agenzia, inserendo, in qualità di rappresentanti diretti i Doganalisti iscritti all'albo, i Centri di Assistenza Doganale -– CAD, iscritti all’albo ed i soggetti ai quali è stato concesso lo status di AEOC/F. Successivamente, saranno inseriti in tale banca dati i soggetti stabiliti in Italia o in altro Stato Membro che richiedano di agire in qualità di rappresentanti, previo accertamento dei requisiti e rilascio dell’apposita abilitazione da parte del competente Ufficio centrale.
La circolare in disamina ribadisce che la nuova normativa doganale in materia di rappresentanza si fonda sul principio secondo il quale chiunque ha il diritto di nominare un rappresentante per le sue relazioni con le autorità doganali. La rappresentanza può essere sia diretta, se il rappresentante doganale agisce in nome e per conto di un'altra persona, sia indiretta, se il rappresentante doganale agisce in nome proprio ma per conto di un’altra persona.
Per "rappresentante doganale" si intende una qualsiasi persona (una persona fisica, una persona giuridica e qualsiasi associazione di persone che non sia una persona giuridica ma abbia, ai sensi del diritto dell’Unione o nazionale, la capacità di agire) nominata da un'altra persona affinché la rappresenti presso le autorità doganali per l'espletamento di atti e formalità previsti dalla normativa doganale. È necessario che il rappresentante doganale sia stabilito nel territorio doganale dell’Unione e, salvo diversa disposizione, tale requisito può venir meno se il rappresentante doganale agisce per conto di persone che non sono tenute a essere stabilite nel territorio doganale dell'Unione.
Il rappresentante doganale è tenuto a dichiarare di agire per conto della persona rappresentata ed a precisare se la rappresentanza è diretta o indiretta. Resta inteso che le persone che non dichiarano di agire in veste di rappresentanti doganali o che dichiarano di agire in veste di rappresentanti doganali senza disporre del potere di rappresentanza sono considerate agire in nome proprio e per proprio conto. Il Codice specifica, infine, che le autorità doganali possono imporre alle persone che dichiarano di agire in veste di rappresentanti doganali di fornire le prove della delega conferita loro dalla persona rappresentata e che, in casi specifici, le stesse non richiedono di fornire tali prove soprattutto quando l’attività di rappresentanza è svolta su base regolare, purché il rappresentante sia in grado di presentarle su richiesta delle dogane.
Presentazione della dichiarazione telematica
L’invio della dichiarazione telematica è consentito solo per merci presentate in dogana o c/o luogo approvato (e quindi disponibili per eventuali controlli) e nei casi in cui si assumono come presentate (i.e. sdoganamento in mare). Dunque, è fatto obbligo al soggetto che invia la dichiarazione garantire il rispetto della condizione di “merci presentate”.
Qualora l’ufficio accerti la violazione di tale condizione, procede senza indugio a contestarla al trasgressore applicando le misure previste quali, ad esempio, la sospensione/revoca delle autorizzazioni concesse, essendo venuti a mancare i presupposti per un rapporto fiduciario con l’amministrazione.
La dichiarazione telematica può essere presentata dall'importatore/esportatore/speditore o da un suo rappresentante (indiretto/diretto) preventivamente autorizzati al Servizio telematico doganale. La dichiarazione telematica è firmata digitalmente dal sottoscrittore, ovvero dalla persona fisica delegata dall'importatore/esportatore/speditore o dal suo rappresentante all'atto dell'adesione al Servizio telematico doganale.
© Riproduzione riservata
LE ISTRUZIONI DELLE DOGANE PER IL NUOVO CODICE DOGANALE
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
Con la circolare n. 8/D del 19 aprile 2016, l’Agenzia delle Dogane fornisce una prima disamina delle principali novità introdotte dal nuovo Codice doganale europeo (in vista dell’entrata in vigore a decorrere dal 1° maggio 2016) ed impartisce le direttive procedurali ed operative relative a taluni profili di immediato impatto per gli Uffici delle dogane e per gli operatori. È previsto in ogni caso un periodo transitorio, fino al 1° maggio 2019, per consentire l’adattamento di decisioni e autorizzazioni alle nuove disposizioni giuridiche.
Validità e uso delle autorizzazioni alle procedure di domiciliazione
Le disposizioni del nuovo Codice Doganale a maggior impatto sull'operatività dell’utenza riguardano l’eliminazione delle procedure di domiciliazione che interessano circa l’85% delle dichiarazioni doganali. Secondo quanto previsto, le autorizzazioni alle procedure di domiciliazione rimangono valide sino al loro riesame - da concludersi entro il 30 aprile 2019 -, ma possono essere utilizzate secondo le nuove regole.
Presentazione dei documenti di accompagnamento
Il nuovo Codice Doganale prevede che i documenti di accompagnamento alla dichiarazione necessari all'applicazione delle disposizioni che disciplinano il regime doganale - a partire dal prossimo 1° maggio - sono forniti alla dogana, non più sistematicamente, ma solo se la normativa UE lo richiede o se sono necessari per i controlli doganali.
Nuova disciplina per la rappresentanza
È costituita in AIDA la Banca dati dei Rappresentanti, contenente l'elenco dei soggetti cui è riconosciuto il potere di rappresentanza in dogana. Tale banca dati è stata precaricata con le informazioni in possesso dell’Agenzia, inserendo, in qualità di rappresentanti diretti i Doganalisti iscritti all'albo, i Centri di Assistenza Doganale -– CAD, iscritti all’albo ed i soggetti ai quali è stato concesso lo status di AEOC/F. Successivamente, saranno inseriti in tale banca dati i soggetti stabiliti in Italia o in altro Stato Membro che richiedano di agire in qualità di rappresentanti, previo accertamento dei requisiti e rilascio dell’apposita abilitazione da parte del competente Ufficio centrale.
La circolare in disamina ribadisce che la nuova normativa doganale in materia di rappresentanza si fonda sul principio secondo il quale chiunque ha il diritto di nominare un rappresentante per le sue relazioni con le autorità doganali. La rappresentanza può essere sia diretta, se il rappresentante doganale agisce in nome e per conto di un'altra persona, sia indiretta, se il rappresentante doganale agisce in nome proprio ma per conto di un’altra persona.
Per "rappresentante doganale" si intende una qualsiasi persona (una persona fisica, una persona giuridica e qualsiasi associazione di persone che non sia una persona giuridica ma abbia, ai sensi del diritto dell’Unione o nazionale, la capacità di agire) nominata da un'altra persona affinché la rappresenti presso le autorità doganali per l'espletamento di atti e formalità previsti dalla normativa doganale. È necessario che il rappresentante doganale sia stabilito nel territorio doganale dell’Unione e, salvo diversa disposizione, tale requisito può venir meno se il rappresentante doganale agisce per conto di persone che non sono tenute a essere stabilite nel territorio doganale dell'Unione.
Il rappresentante doganale è tenuto a dichiarare di agire per conto della persona rappresentata ed a precisare se la rappresentanza è diretta o indiretta. Resta inteso che le persone che non dichiarano di agire in veste di rappresentanti doganali o che dichiarano di agire in veste di rappresentanti doganali senza disporre del potere di rappresentanza sono considerate agire in nome proprio e per proprio conto. Il Codice specifica, infine, che le autorità doganali possono imporre alle persone che dichiarano di agire in veste di rappresentanti doganali di fornire le prove della delega conferita loro dalla persona rappresentata e che, in casi specifici, le stesse non richiedono di fornire tali prove soprattutto quando l’attività di rappresentanza è svolta su base regolare, purché il rappresentante sia in grado di presentarle su richiesta delle dogane.
Presentazione della dichiarazione telematica
L’invio della dichiarazione telematica è consentito solo per merci presentate in dogana o c/o luogo approvato (e quindi disponibili per eventuali controlli) e nei casi in cui si assumono come presentate (i.e. sdoganamento in mare). Dunque, è fatto obbligo al soggetto che invia la dichiarazione garantire il rispetto della condizione di “merci presentate”.
Qualora l’ufficio accerti la violazione di tale condizione, procede senza indugio a contestarla al trasgressore applicando le misure previste quali, ad esempio, la sospensione/revoca delle autorizzazioni concesse, essendo venuti a mancare i presupposti per un rapporto fiduciario con l’amministrazione.
La dichiarazione telematica può essere presentata dall'importatore/esportatore/speditore o da un suo rappresentante (indiretto/diretto) preventivamente autorizzati al Servizio telematico doganale. La dichiarazione telematica è firmata digitalmente dal sottoscrittore, ovvero dalla persona fisica delegata dall'importatore/esportatore/speditore o dal suo rappresentante all'atto dell'adesione al Servizio telematico doganale.
© Riproduzione riservata
CREDITO D'IMPOSTA PER LE ATTIVITÀ DI RICERCA E SVILUPPO
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
La Legge di Stabilità 2015 ha introdotto per tutte le imprese che effettuano investimenti in attività di ricerca e sviluppo la possibilità di ottenere un’agevolazione fiscale sotto forma di credito di imposta per gli anni 2015, 2016, 2017, 2018 e 2019. Tale agevolazione è stata oggetto di recenti chiarimenti con la circolare n. 5/E del 16 marzo 2016 dell’Agenzia delle Entrate.
Il credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo era già stato introdotto nel 2013 con il decreto legge n.145, modificato poi nel 2014 con la legge n. 9 del 21 febbraio. Tale misura, però, non ha trovato attuazione per mancanza di copertura finanziaria. Per tale ragione è stato realizzato un nuovo intervento contenuto nella Legge di Stabilità 2015 volto a rendere più fruibile tale strumento.
Il credito è riconosciuto a tutte le imprese (inclusi i consorzi e le reti di imprese), indipendentemente dalla forma giuridica, dal settore di attività, dal regime contabile adottato e senza limiti di fatturato. Possono beneficiarne anche le stabili organizzazioni italiane di imprese non residenti. Il credito di imposta spetta nella misura del 25 per cento delle spese di ricerca e sviluppo incrementali rispetto alla media delle medesime spese sostenute nei tre periodi di imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2015. La misura del credito sale al 50 per cento qualora le spese di ricerca e sviluppo siano riferibili a personale altamente qualificato ed a spese per contratti c.d. “extra-muros” (ovvero, contratti con Università, enti di ricerca e altre imprese, comprese le “start-up” innovative).
Il credito spetta fino ad un importo massimo annuale di 5 milioni di euro, a condizione che siano sostenute spese per attività di ricerca e sviluppo almeno pari ad euro 30.000. È importante evidenziare che il credito di imposta è cumulabile con il c.d. “patent box”, altra misura agevolativa con il fine di incentivare le attività di ricerca e sviluppo, introdotta con la Legge di Stabilità 2015. Infatti, il Patent Box prevede una detassazione dei ricavi prodotti dai beni intangibili, creati anche attraverso i costi di ricerca che generano il credito di imposta in esame.
Quindi, il credito in disamina è certamente una grande opportunità per la generalità delle imprese che svolgono attività di ricerca e sviluppo nell'ampia accezione prevista dal decreto attuativo. L’agevolazione è resa ancor più appetibile, come detto, grazie alla cumulabilità, nonché alla sinergia con il Patent Box, evidenziata dalla Circolare. È quindi cruciale attivare tempestivamente le verifiche in azienda in modo da documentare quanto prima le spese eleggibili per il credito relativo al 2015. Inoltre, è importante che gli operatori che hanno presentato istanza di accordo preventivo per il Patent Box effettuino le analisi finalizzate alla raccolta di documentazione da inviare all'Agenzia cercando di operare in maniera sinergica al fine di selezionare dati ed informazioni rilevanti per entrambe le agevolazioni.
© Riproduzione riservata
NUOVI CRITERI PER L'INDIVIDUAZIONE DELLE "CFC"
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
Con la nuova modifica dell’art. 167 del D.P.R. 917/1986 (c.d. TUIR), ad opera della Legge di Stabilità 2016, la disciplina delle Controlled Foreign Companies (c.d. CFC) viene ulteriormente innovata, con la finalità dichiarata di razionalizzarla e completarla. La modifica di maggiore interesse riguarda indubbiamente i criteri per l’individuazione degli Stati o territori a fiscalità privilegiata: viene, infatti, espunto qualsiasi riferimento alla lista dei Paesi c.d. black list (D.M. 21 novembre 2001), rinviando ad un criterio oggettivo, definito in via normativa, fondato sul livello nominale di tassazione nella giurisdizione estera. Tale criterio, oltre che rilevare per l’applicazione della disciplina delle CFC, è rilevante anche per l’ambito territoriale delle contigue discipline degli utili da società localizzate in Paesi a regime fiscale privilegiato (artt. 47, 68, 86, 87 e 89 del TUIR) e della “branch exemption” (art. 168-ter del TUIR).
Dunque, a distanza di pochi mesi dalle recenti novità introdotte dal Decreto Internazionalizzazione, la Legge di Stabilità 2016 ha introdotto nuove modifiche per l’individuazione delle c.d. tax haven jurisdictions:
- al comma 1 dell’art. 167 viene espunto il riferimento al Decreto o al Provvedimento con i quali identificare le giurisdizioni o i regimi speciali fiscalmente privilegiati, sostituendolo con un più generico richiamo agli Stati o territori identificati in base ai criteri definiti nel novellato comma 4 (si veda il punto successivo) “diversi da quelli appartenenti all'Unione Europea (“UE”) ovvero da quelli appartenenti allo Spazio Economico Europeo (“SEE”) con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni”;
- al comma 4 dell’art. 167 del TUIR viene rimosso qualsiasi riferimento alla black list di cui al D.M. 21.11.2001 e ai regimi fiscali speciali da individuarsi in modo non tassativo con Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate, sostituendolo con un laconico riferimento ai “regimi fiscali, anche speciali, di Stati o territori […] laddove il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50% di quello applicabile in Italia”;
- al comma 8-bis dell’art. 167 del TUIR viene inserita una specificazione del dettato normativo, al fine di includere tra i Paesi cui si applica la disciplina delle CFC white list gli “Stati appartenenti all’UE ovvero quelli aderenti allo SEE con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni”.
Dalle modifiche sopra elencate ne discendono alcune conseguenze di rilievo. Innanzitutto, l’individuazione dei regimi fiscali paradisiaci sarà affidata ad una verifica caso per caso del livello di tassazione estero. Verifica evidentemente più onerosa rispetto alla più agevole consultazione di una black list di emanazione ministeriale. Va, tuttavia, apprezzata la notevole semplificazione rappresentata dal confronto tra livelli nominali e non effettivi di tassazione, che dovrebbe inoltre agevolare i contribuenti italiani, soggetti, come noto, a livelli di tassazione effettiva ben superiori a quella nominale. Nel silenzio della norma, permane tuttavia su tale punto il dubbio circa la rilevanza ai fini dell’individuazione del livello di tassazione nominale domestico della sola IRES o anche all’IRAP.
Possibili criticità si pongono con riferimento all'individuazione dei regimi fiscali speciali che consentono un livello di tassazione nominale inferiore al 50% di quello applicato in Italia. Prima delle modifiche in commento, una elencazione non tassativa di tali regimi avrebbe dovuto essere fornita da un Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate (mai pubblicato). Si pone pertanto la questione di verificare il livello di tassazione nominale applicabile alle controllate estere, anche se residenti in giurisdizioni che prima facie sarebbero escluse in virtù di un livello di tassazione generale nominale superiore al 50% di quello italiano. A tale scopo potrebbe essere utile fare riferimento all'abrogato articolo 3 del D.M. 21.11.2011, il quale individuava le giurisdizioni black list limitatamente a determinate tipologie societarie e settori. In secondo luogo, viene meno la rilevanza, ai fini dell’individuazione delle giurisdizioni a regime fiscale privilegiato, della presenza di un adeguato scambio di informazioni con il paese estero. Ne discende che alcune giurisdizioni prima incluse nella black list in quanto non collaborative, saranno ora da escludere qualora la tassazione nominale sia superiore al 50% di quella italiana (e.g. isole Barbados). Vengono, inoltre, escluse ex lege, ai fini del regime CFC black list, le giurisdizioni della UE e quelle dello SEE con cui è in vigore un accordo per lo scambio di informazioni (ad oggi, Norvegia e Islanda).
Alcuni interrogativi si pongono, invece, con riguardo all'effettuazione del tax rate test per le controllate residenti in giurisdizioni non black list. Per effetto della specificazione apportata nel comma 8-bis dell’articolo 167 del TUIR saranno soggette a tale verifica anche le controllate residenti in Paesi comunitari. Come è stato osservato in dottrina, tale disposizione potrebbe essere passibile di censure in ambito comunitario qualora integri un ostacolo alla libertà di stabilimento (artt. 49-55 del TFUE). Peraltro, a causa della mancata emanazione del Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate che ai sensi del novellato comma 8-bis, lett. b) dell’art 167 del TUIR avrebbe dovuto individuare i criteri per determinare con modalità semplificate il calcolo del livello di tassazione effettivo, lo svolgimento del tax rate test continua a rappresentare un esercizio alquanto complesso.
Come osservato sopra, le modifiche introdotte dalla Legge di Stabilità 2016 esplicheranno i loro effetti a decorrere dall'esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015.
© Riproduzione riservata
NUOVE OPPORTUNITÀ DI DEFINIZIONE PREVENTIVA DELLE CONTROVERSIE TRIBUTARIE
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
La recente riforma della disciplina del diritto d’interpello promette di trasformare l’interpello nello strumento chiave per definire, in via anticipata, le cause di conflittualità con l’Amministrazione finanziaria, nonché di fornire maggiori garanzie e tutele ai contribuenti, inclusi coloro che decidono di non uniformarsi all'eventuale parere sfavorevole reso dalle autorità.
La riforma è stata attuata per mezzo del D.Lgs. 156/2015 che ha integralmente riscritto l’art. 11, Legge 212/2000. Con la circolare n. 9/E del 1° aprile 2016, l’Agenzia delle Entrate è intervenuta nel fornire una serie di indicazioni.
Le principali novità sono sintetizzabili come segue:
1) l’istanza di interpello può essere presentata anche da contribuenti non residenti, da sostituti di imposta e i responsabili di imposta;
2) viene abrogato «l’interpello obbligatorio», fatta eccezione per il c.d. interpello disapplicativo. Viene inoltre normativamente prevista la generale non impugnabilità delle risposte agli interpelli;
3) si applica la regola del silenzio-assenso per tutte le tipologie di interpelli;
4) le istanze devono essere presentate prima della scadenza dei termini presentazione della dichiarazione fiscale, ovvero, dell’assolvimento dell’obbligo tributario oggetto dell’interpello;
5) vengono individuate cinque tipologie di interpello, in specie:
i. L’interpello ordinario, con cui si chiede un parere all'Amministrazione finanziaria in presenza di obiettive condizioni di incertezza sull'interpretazione delle disposizioni tributarie, in relazione alla loro applicazione a casi concreti e personali;
ii. L’interpello qualificatorio, con cui si chiede un parere in ordine alla corretta qualificazione della fattispecie quando sussistono specifiche e obiettive condizioni di incertezza (ad esempio, valutazione della sussistenza di un’azienda o di una stabile organizzazione ai fini dell’esenzione degli utili e delle perdite delle stabili organizzazioni di imprese residenti di cui al nuovo art. 168 TUIR) e sempre che l’istanza sia finalizzata a ottenere chiarimenti sull'applicazione di disposizioni tributarie;
iii. L’interpello probatorio, con cui si chiede un parere sulla sussistenza delle condizioni o sulla idoneità degli elementi probatori offerti dal contribuente ai fini dell’adozione di un determinato regime fiscale. In questa categoria di interpello rientrano diverse tipologie di istanze già presenti nell'ordinamento, quali, ad esempio, le istanze di interpello per le società di comodo; le istanze per il riconoscimento del beneficio ACE.
v. L’interpello anti-abuso con cui si chiede all'Amministrazione se le operazioni che si intende realizzare costituiscano fattispecie di abuso del diritto;
v. l’interpello disapplicativo (unica categoria di interpello obbligatorio rimasta) che consente al contribuente di richiedere un parere in ordine alla sussistenza delle condizioni che legittimano la disapplicazione di norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive.
L’Amministrazione finanziaria deve rispondere entro 90 giorni per gli interpelli ordinari e qualificatori, 120 giorni per tutte le altre tipologie. In assenza di risposta, si applica il silenzio-assenso. Nel caso di richiesta da parte dell’Amministrazione di documentazione integrativa –possibile una sola volta nel corso dell’istruttoria– i termini si allungano, rispettivamente, di 60 giorni e di 90 giorni.
Le risposte agli interpelli (sia quelle espresse che quelle tacite) vincolano l’Amministrazione finanziaria. In tal senso, eventuali atti emanati in difformità dai pareri (favorevoli alla tesi del contribuente) sono nulli.
Al fine di garantire una maggiore uniformità nelle risposte agli interpelli la competenza è attribuita alle Direzioni regionali, salve le ipotesi espressamente attribuite alla competenza delle Direzioni centrali dal provvedimento. All'Amministrazione finanziaria resta la facoltà di modificare il proprio parere, ma la modifica deve essere motivata (ad esempio, modifica degli orientamenti della giurisprudenza). Tale modifica, inoltre, può avere effetto solo con riferimento agli atti futuri del contribuente.
In caso di interpello disapplicativo (di norme antielusive), ove l’Amministrazione finanziaria intenda modificare il proprio orientamento, essa deve preventivamente interpellare il contribuente per chiedere chiarimenti. Nel caso in cui l’Amministrazione ritenga tali chiarimenti non adeguati e/o insufficienti, l’eventuale atto di accertamento, deve contenere una specifica motivazione in merito alle risposte rese dal contribuente.
Il Legislatore ha introdotto un obbligo di segnalazione in dichiarazione, finalizzato a consentire la “disclosure” del contribuente che non abbia presentato istanza di interpello o che, pur avendola presentata, non si sia adeguato alla risposta negativa fornita dall'Amministrazione. La segnalazione riguarda:
- la semplice circostanza della avvenuta presentazione dell’istanza o meno;
- in altri casi, più puntuali indicazioni previste direttamente dalla norma;
- in altri ancora, oltre alla circostanza che sia stata o meno presentata l’istanza di interpello, una serie di ulteriori elementi informativi individuati dal provvedimento di approvazione del Modello UNICO 2016.
Il nuovo comma 7-ter dell’articolo 11 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, prevede che la mancata presentazione dell’istanza di interpello, ove obbligatoria, sia punita con una sanzione amministrativa da Euro 2.000 ad euro 21.000. Tale sanzione è raddoppiata, sempre in caso di omessa presentazione dell’istanza di interpello, nell'ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria disconosca la disapplicazione della norma elusiva autonomamente eseguita dal contribuente.
© Riproduzione riservata
LA SPV PUÒ DEDURRE GLI INTERESSI PASSIVI SOSTENUTI PER ACQUISIRE LA SOCIETÀ TARGET
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
Con la circolare n. 6/E del 30 marzo 2016, l’Agenzia delle Entrate ha confermato la deducibilità degli interessi passivi relativi ai debiti contratti dall’SPV nelle operazioni di merger levereged buy-out, c.d. MLBO, ossia nelle operazioni mediante le quali l'acquisizione di un’azienda o di una partecipazione in una società c.d. target avviene tramite un’apposita società veicolo, c.d. Special Purpose Vehicle - SPV, che viene finanziata in parte mediante capitale proprio ed in parte mediante prestiti onerosi. La deduzione degli interessi passivi si trasferisce dal reddito imponibile della SPV a quello della società risultante dalla fusione (MergerCo).
Nelle operazioni di levereged buy-out, c.d. LBO, non avviene invece la fusione tra SPV e target; in tal caso, gli oneri finanziari connessi all'indebitamento sono compensati tra SPV e target mediante l’esercizio dell’opzione per il consolidato fiscale (ex artt. 117 e 129 TUIR). La SPV effettua il pagamento degli interessi e rimborsa le quote del prestito grazie alla distribuzione di dividendi da parte della target.
In passato, la deducibilità degli interessi passivi sostenuti dall’SPV (in caso di LBO) o dalla MergerCo (in caso di MLBO) è stata oggetto di contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria, sulla base del principio di inerenza (ex art. 109, comma 5, TUIR): infatti, l’Amministrazione finanziaria riteneva che gli interessi passivi e gli altri oneri accessori al finanziamento della SPV non fossero deducibili dal reddito imponibile dell’SPV, in quanto sostenuti a vantaggio esclusivo del socio della stessa.
Con la circolare in oggetto, l’Agenzia delle entrate afferma invece che gli interessi passivi relativi a prestiti contratti dalla SPV per l’acquisto di partecipazioni sono, in linea di principio, funzionali all'acquisizione della target, sia nell'ipotesi di fusione (MLBO), sia nell'ipotesi in cui gli interessi vengano compensati mediante l’opzione per il consolidato fiscale (LBO).
Conseguentemente, gli interessi passivi derivanti da operazioni di LBO o di MLBO devono essere considerati inerenti e quindi deducibili (pur nei limiti di quanto previsto dall'art. 96 del TUIR e dalle regole relative al transfer pricing, ove applicabili).
© Riproduzione riservata
LA SPV PUÒ DEDURRE GLI INTERESSI PASSIVI SOSTENUTI PER ACQUISIRE LA SOCIETÀ TARGET
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
Con la circolare n. 6/E del 30 marzo 2016, l’Agenzia delle Entrate ha confermato la deducibilità degli interessi passivi relativi ai debiti contratti dall’SPV nelle operazioni di merger levereged buy-out, c.d. MLBO, ossia nelle operazioni mediante le quali l'acquisizione di un’azienda o di una partecipazione in una società c.d. target avviene tramite un’apposita società veicolo, c.d. Special Purpose Vehicle - SPV, che viene finanziata in parte mediante capitale proprio ed in parte mediante prestiti onerosi. La deduzione degli interessi passivi si trasferisce dal reddito imponibile della SPV a quello della società risultante dalla fusione (MergerCo).
Nelle operazioni di levereged buy-out, c.d. LBO, non avviene invece la fusione tra SPV e target; in tal caso, gli oneri finanziari connessi all'indebitamento sono compensati tra SPV e target mediante l’esercizio dell’opzione per il consolidato fiscale (ex artt. 117 e 129 TUIR). La SPV effettua il pagamento degli interessi e rimborsa le quote del prestito grazie alla distribuzione di dividendi da parte della target.
In passato, la deducibilità degli interessi passivi sostenuti dall’SPV (in caso di LBO) o dalla MergerCo (in caso di MLBO) è stata oggetto di contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria, sulla base del principio di inerenza (ex art. 109, comma 5, TUIR): infatti, l’Amministrazione finanziaria riteneva che gli interessi passivi e gli altri oneri accessori al finanziamento della SPV non fossero deducibili dal reddito imponibile dell’SPV, in quanto sostenuti a vantaggio esclusivo del socio della stessa.
Con la circolare in oggetto, l’Agenzia delle entrate afferma invece che gli interessi passivi relativi a prestiti contratti dalla SPV per l’acquisto di partecipazioni sono, in linea di principio, funzionali all'acquisizione della target, sia nell'ipotesi di fusione (MLBO), sia nell'ipotesi in cui gli interessi vengano compensati mediante l’opzione per il consolidato fiscale (LBO).
Conseguentemente, gli interessi passivi derivanti da operazioni di LBO o di MLBO devono essere considerati inerenti e quindi deducibili (pur nei limiti di quanto previsto dall'art. 96 del TUIR e dalle regole relative al transfer pricing, ove applicabili).
© Riproduzione riservata