TRUST AUTODICHIARATO CON IMPOSTA DI DONAZIONE SOLO ALL'ATTO DEL TRASFERIMENTO FINALE
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
Il trust autodichiarato in cui siano conferiti immobili e partecipazioni sconta, in sede di costituzione, le sole imposte ipotecaria e catastale fisse, atteso che esso non determina alcun trasferimento. Le imposte sul trasferimento saranno dovute solo quando quest'ultimo sarà effettivamente realizzato, ovvero quando i beni saranno trasferiti dal trustee ai beneficiari designati. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione, con sentenza del 26 ottobre 2016, n. 21614, contrariamente a quanto dalla stessa sancito in alcune ordinanze del 2015 e del 2016.
Nella pronuncia in commento, la Suprema Corte, dopo aver inquadrato il trust autodichiarato tra le liberalità indirette, afferma che, per mezzo di tale istituto, il disponente intende beneficiare i soggetti prescelti in modo indiretto, ovvero servendosi del trustee, che ha il compito di eseguire il programma del trust definito dal disponente. Pertanto, il trust autodichiarato ha effetti meramente segregativi, atteso che il trustee non ne diventa proprietario ma solo amministratore e che i beni in trust non potranno che essere attribuiti ai beneficiari scelti dal disponente.
Secondo i Supremi Giudici, questa ricostruzione consente di rifiutare l'impostazione dell'Agenzia delle Entrate, che riteneva esistente un "trasferimento" nel trust autodichiarato e di superare anche quanto sancito nelle precedenti ordinanze della Cassazione, che, basandosi su elementi esclusivamente letterali, affermano che l'imposta sui vincoli di destinazione di cui all'art. 2, comma 47 del D.L. 262/2006 prescinde dal presupposto impositivo dell'imposta di donazione.
Infatti, osserva la Corte di Cassazione, il D.L. 262/2006, che ha reistituito l'imposta sulle donazioni, vi ha, sì, incluso anche i "vincoli di destinazione", ma non per escluderli dal presupposto impositivo dell'imposta di donazione, bensì proprio per assoggettarli ad essa. In altri termini, l'intento del legislatore del 2006 non era quello di assoggettare ad imposta di donazione vincoli di destinazione privi di trasferimento, bensì quello di evitare che i trasferimenti di ricchezza realizzati mediante vincoli di destinazione potessero sfuggire all'imposta di donazione a causa della "vecchia" definizione dell'oggetto del tributo.
Alla luce di tale ragionamento, i Giudici di Piazza Cavour concludono che il trust autodichiarato, in assenza di ogni trasferimento di beni o ricchezza, non soddisfa il presupposto impositivo né dell’imposta sulle donazioni, né, ove concerna immobili, delle imposte ipotecaria e catastale. Le imposte sul trasferimento saranno applicate pertanto solo quando l'effettivo trasferimento di beni e l'arricchimento dei beneficiari si realizzerà.
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È NULLO L'ACCERTAMENTO FONDATO SULLE DIFFERENZE INVENTARIALI SE NON TIENE CONTO DI CALI NATURALI E SFRIDI
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
L'accertamento fondato sulle differenze inventariali è nullo se l'Amministrazione finanziaria non tiene conto dei cali naturali e degli sfridi derivanti dallo scarto delle merci avariate, nonché dai rabbocchi delle confezioni. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione, con sentenza del 14 settembre 2016, n. 18073.
Nel caso di specie, l'Amministrazione finanziaria rilevava una discrepanza tra le giacenze di magazzino e le quantità di merci vendute, da cui presumeva la cessione di merci "in nero", ai sensi di quanto previsto dal D.P.R. 441/1997. Il contribuente impugnava il predetto avviso di accertamento, che veniva annullato sia dalla competente Commissione Tributaria Regionale che dalla Suprema Corte.
In particolare, i Giudici di Piazza Cavour hanno stabilito che l'omessa contabilizzazione dei ricavi, essendo stata individuata attraverso la ricostruzione algebrica delle giacenze e non con l'individuazione di specifiche cessioni non fatturate, si fonda su una presunzione che, da sola, non può legittimare l'accertamento.
Peraltro, quest'ultimo risulta infondato sulla base della considerazione per la quale i verificatori non hanno tenuto conto, in sede di ricostruzione matematica delle giacenze, oltre che dei cali naturali, anche degli sfridi per lo scarto della merce avariata e dei rabbocchi delle confezioni, sfridi che, in verità, il contribuente ha anche documentato con fotografie.
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I REGIMI SPECIALI IN BASE AL NUOVO CODICE DOGANALE DELL'UNIONE
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
Con nota Prot. 84724 del 10 ottobre 2016, l'Agenzia delle Dogane ha fornito chiarimenti in merito ai regimi speciali, a seguito della riforma che ha interessato il Codice Doganale dell'Unione (CDU).
Trasformazione sotto controllo doganale
A partire dal 1° maggio 2016, le operazioni compiute nell'ambito di autorizzazioni alla trasformazione sotto controllo doganale, in essere alla predetta data, devono essere gestite come operazioni di perfezionamento attivo. Conseguentemente, la riscossione dell'IVA gravante sulle operazioni in questione è effettuata con la modalità prevista per il perfezionamento attivo, ossia:
- sospensione del dazio e dell'IVA all'atto del vincolo della merce al regime;
- successiva riscossione dei diritti doganali all'atto dell'importazione definitiva della stessa.
L'assolvimento dell'Iva all'atto dell'importazione può avvenire anche attraverso la presentazione della dichiarazione d'intento per l'utilizzo del plafond.
Per quanto concerne il dazio, la Commissione europea ha precisato che non è più consentito, agli operatori economici che fanno uso di tale procedura, di beneficiare dell'esenzione o riduzione daziaria. Pertanto, dal 1° maggio 2016 viene applicata l'aliquota daziaria prevista dalla tariffa doganale, senza la possibilità di avvalersi del certificato di origine preferenziale presentato all'atto del vincolo della merce.
La determinazione del valore nel perfezionamento attivo
In ipotesi di importazione definitiva dei prodotti ottenuti dalle lavorazioni in regime di perfezionamento attivo, il valore delle merci deve essere determinato sulla base delle regole generali previste dagli artt. 70 e 74 del Codice Doganale dell'Unione.
Qualora nella lavorazione siano utilizzate anche merci unionali (oltre a merci terze), se l'operatore opta per la modalità di tassazione di cui all'art. 85 del CDU, le merci unionali vanno incluse nel valore da dichiarare all'importazione. Al contrario, se l'operatore sceglie il metodo di tassazione di cui all'art. 86 del CDU, il valore finale può essere determinato senza considerare il valore delle merci unionali.
Prodotti trasformati in regime di perfezionamento passivo
Il nuovo metodo di calcolo dei dazi all'importazione sui prodotti trasformati in regime di perfezionamento passivo di cui all'art. 75 del RD è applicabile nelle sole ipotesi in cui sul prodotto trasformato sia previsto un dazio specifico. Invece, qualora siano applicabili i c.d. dazi ad valorem, è utilizzabile il criterio del dazio generale di cui all'art. 86 del CDU.
Va inoltre rilevato che non è più previsto l'obbligo di rilascio dell'autorizzazione di perfezionamento passivo al soggetto che fa effettuare le lavorazioni all'estero. Conseguentemente, il titolare dell'autorizzazione di perfezionamento passivo non deve necessariamente essere colui che organizza le lavorazioni che vengono svolte al di fuori del territorio dell'Unione.
Uso finale
Il trattamento favorevole previsto per le merci immesse in libera pratica con "destinazione particolare" è inquadrato dal Codice Doganale dell'Unione tra i regimi speciali, con conseguente applicazione delle disposizioni generali del titolo VII, capo I, oltre che di talune norme specifiche.
Con riferimento alla fase dell'appuramento dell'uso finale, si rileva che l'uscita delle merci dal territorio doganale dell'Unione, nell'ipotesi di cui all'art. 254, par.4, lett. b), del CDU, non va considerata alla stregua del vincolo al regime di esportazione, dato che le merci permangono nell'alveo dell'uso finale fino alla loro uscita dal territorio doganale della UE, che sarà attestata mediante il compimento delle ordinarie formalità doganali concernenti la dichiarazione per l'esportazione e l'assoggettamento delle merci alle disposizioni che sarebbero state applicabili in caso di vincolo delle stesse al regime di esportazione.
Dunque, solo con il corretto assolvimento delle procedure appena indicate è comprovata l'uscita delle merci dal territorio doganale dell'Unione ed estinta l'obbligazione doganale.
Qualora il regime di uso finale si concluda con la distruzione delle merci, eventuali cascami e avanzi derivanti da tale operazione acquistano lo status di merci non unionali e vengono considerati vincolati al regime di deposito doganale, al quale si potrà dare poi esito con qualsiasi regime.
Contenuto della dichiarazione doganale
Nel caso di rilascio di autorizzazioni al perfezionamento attivo, passivo, ammissione temporanea e uso finale su dichiarazione doganale, la predetta dichiarazione deve contenere (anche in allegato) i dati previsti dall'art. 55, par. 1), 8 RDT, riguardanti una serie di informazioni concernenti l'operazione svolta (il tipo di trasformazione o utilizzo, la descrizione delle merci, il termine di appuramento ecc.).
Competenza rilascio autorizzazioni doganali
L'Ufficio doganale competente al rilascio delle autorizzazioni di perfezionamento attivo, passivo e uso finale è quello competente sul luogo in cui è tenuta ovvero è accessibile la contabilità del richiedente ai fini doganali, nonché dove vengono svolte almeno parte delle lavorazioni. Qualora non sia possibile determinare l'autorità doganale competente, l'autorizzazione è rilasciata dall'Ufficio nel cui ambito territoriale il richiedente tiene le scritture contabili ai fini doganali.
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I REGIMI SPECIALI IN BASE AL NUOVO CODICE DOGANALE DELL'UNIONE
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
Con nota Prot. 84724 del 10 ottobre 2016, l'Agenzia delle Dogane ha fornito chiarimenti in merito ai regimi speciali, a seguito della riforma che ha interessato il Codice Doganale dell'Unione (CDU).
Trasformazione sotto controllo doganale
A partire dal 1° maggio 2016, le operazioni compiute nell'ambito di autorizzazioni alla trasformazione sotto controllo doganale, in essere alla predetta data, devono essere gestite come operazioni di perfezionamento attivo. Conseguentemente, la riscossione dell'IVA gravante sulle operazioni in questione è effettuata con la modalità prevista per il perfezionamento attivo, ossia:
- sospensione del dazio e dell'IVA all'atto del vincolo della merce al regime;
- successiva riscossione dei diritti doganali all'atto dell'importazione definitiva della stessa.
L'assolvimento dell'Iva all'atto dell'importazione può avvenire anche attraverso la presentazione della dichiarazione d'intento per l'utilizzo del plafond.
Per quanto concerne il dazio, la Commissione europea ha precisato che non è più consentito, agli operatori economici che fanno uso di tale procedura, di beneficiare dell'esenzione o riduzione daziaria. Pertanto, dal 1° maggio 2016 viene applicata l'aliquota daziaria prevista dalla tariffa doganale, senza la possibilità di avvalersi del certificato di origine preferenziale presentato all'atto del vincolo della merce.
La determinazione del valore nel perfezionamento attivo
In ipotesi di importazione definitiva dei prodotti ottenuti dalle lavorazioni in regime di perfezionamento attivo, il valore delle merci deve essere determinato sulla base delle regole generali previste dagli artt. 70 e 74 del Codice Doganale dell'Unione.
Qualora nella lavorazione siano utilizzate anche merci unionali (oltre a merci terze), se l'operatore opta per la modalità di tassazione di cui all'art. 85 del CDU, le merci unionali vanno incluse nel valore da dichiarare all'importazione. Al contrario, se l'operatore sceglie il metodo di tassazione di cui all'art. 86 del CDU, il valore finale può essere determinato senza considerare il valore delle merci unionali.
Prodotti trasformati in regime di perfezionamento passivo
Il nuovo metodo di calcolo dei dazi all'importazione sui prodotti trasformati in regime di perfezionamento passivo di cui all'art. 75 del RD è applicabile nelle sole ipotesi in cui sul prodotto trasformato sia previsto un dazio specifico. Invece, qualora siano applicabili i c.d. dazi ad valorem, è utilizzabile il criterio del dazio generale di cui all'art. 86 del CDU.
Va inoltre rilevato che non è più previsto l'obbligo di rilascio dell'autorizzazione di perfezionamento passivo al soggetto che fa effettuare le lavorazioni all'estero. Conseguentemente, il titolare dell'autorizzazione di perfezionamento passivo non deve necessariamente essere colui che organizza le lavorazioni che vengono svolte al di fuori del territorio dell'Unione.
Uso finale
Il trattamento favorevole previsto per le merci immesse in libera pratica con "destinazione particolare" è inquadrato dal Codice Doganale dell'Unione tra i regimi speciali, con conseguente applicazione delle disposizioni generali del titolo VII, capo I, oltre che di talune norme specifiche.
Con riferimento alla fase dell'appuramento dell'uso finale, si rileva che l'uscita delle merci dal territorio doganale dell'Unione, nell'ipotesi di cui all'art. 254, par.4, lett. b), del CDU, non va considerata alla stregua del vincolo al regime di esportazione, dato che le merci permangono nell'alveo dell'uso finale fino alla loro uscita dal territorio doganale della UE, che sarà attestata mediante il compimento delle ordinarie formalità doganali concernenti la dichiarazione per l'esportazione e l'assoggettamento delle merci alle disposizioni che sarebbero state applicabili in caso di vincolo delle stesse al regime di esportazione.
Dunque, solo con il corretto assolvimento delle procedure appena indicate è comprovata l'uscita delle merci dal territorio doganale dell'Unione ed estinta l'obbligazione doganale.
Qualora il regime di uso finale si concluda con la distruzione delle merci, eventuali cascami e avanzi derivanti da tale operazione acquistano lo status di merci non unionali e vengono considerati vincolati al regime di deposito doganale, al quale si potrà dare poi esito con qualsiasi regime.
Contenuto della dichiarazione doganale
Nel caso di rilascio di autorizzazioni al perfezionamento attivo, passivo, ammissione temporanea e uso finale su dichiarazione doganale, la predetta dichiarazione deve contenere (anche in allegato) i dati previsti dall'art. 55, par. 1), 8 RDT, riguardanti una serie di informazioni concernenti l'operazione svolta (il tipo di trasformazione o utilizzo, la descrizione delle merci, il termine di appuramento ecc.).
Competenza rilascio autorizzazioni doganali
L'Ufficio doganale competente al rilascio delle autorizzazioni di perfezionamento attivo, passivo e uso finale è quello competente sul luogo in cui è tenuta ovvero è accessibile la contabilità del richiedente ai fini doganali, nonché dove vengono svolte almeno parte delle lavorazioni. Qualora non sia possibile determinare l'autorità doganale competente, l'autorizzazione è rilasciata dall'Ufficio nel cui ambito territoriale il richiedente tiene le scritture contabili ai fini doganali.
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NIENTE IRAP SE I BENI STRUMENTALI SONO INDISPENSABILI ALLO SVOLGIMENTO DELL'ATTIVITÀ
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
La disponibilità da parte di un professionista di beni strumentali anche di un certo rilievo economico non è idonea a configurare il presupposto dell'autonoma organizzazione, se detti beni, anche se consistenti, sono indispensabili per lo svolgimento della propria attività. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 20610 del 12 ottobre 2016.
La pronuncia consolida il più recente orientamento giurisprudenziale pro contribuente secondo cui la "normalità" della struttura tecnica di cui si avvale il professionista deve essere valutata alla luce del proprio settore di attività, con la conseguenza che, quando i beni costituiscono la dotazione necessaria per lo svolgimento dell'attività, il loro valore non assume alcun rilievo ai fini IRAP.
Per quanto concerne il pagamento di consulenze esterne, la Suprema Corte afferma che per integrare il presupposto oggettivo dell'IRAP non è sufficiente il pagamento, da parte del contribuente, di compensi a terzi non inseriti nella struttura organizzativa del professionista e le cui prestazioni non abbiano carattere continuativo.
Infine, i Giudici di Piazza Cavour precisano che l'inidoneità dei compensi corrisposti a configurare un'attività autonomamente organizzata sussiste laddove le consulenze siano "specifiche e saltuarie" e i compensi abbiano carattere "occasionale" e, dunque, non continuativo.
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CESSIONE DI RAMO D'AZIENDA: OPERA IL MECCANISMO DI SUCCESSIONE AUTOMATICA NEI CONTRATTI
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
Il meccanismo di successione automatica nei contratti, previsto dall'art. 2558 c.c. in caso di cessione d'azienda, si applica anche in ipotesi di cessione di ramo d'azienda, determinando l'automatico subentro del cessionario. È questo il principio enunciato dalla Corte di Cassazione, con sentenza dell'11 ottobre 2016, n. 20417.
Secondo i Giudici di Piazza Cavour, il principio della sorte comune dei beni unitariamente organizzati per l’esercizio dell’impresa, sancito dall'art. 2558 c.c., non soffre alcuna eccezione in ipotesi di cessione di ramo d'azienda, con la conseguenza che i rapporti riferibili a detto ramo devono ritenersi inevitabilmente destinati a seguire le sorti del complesso organizzato cui accedono, a meno che si tratti di beni personali o le parti abbiano proceduto alla determinazione dei singoli beni o dei rapporti non destinati alla successione.
Pertanto, se le parti non hanno escluso alcuni beni o rapporti contrattuali propri dell'azienda del cedente, ove tali beni o rapporti non fossero oggettivamente e riconoscibilmente estranei al ramo di attività ceduto o pertinenti al settore imprenditoriale rimasto in capo al cedente, questi devono necessariamente ritenersi ceduti al cessionario del ramo d'azienda corrispondente.
In definitiva, anche in ipotesi di cessione di ramo d'azienda, i rapporti riferibili al ramo ceduto devono ritenersi inevitabilmente destinati a seguire le sorti del complesso organizzato cui accedono, salvo si tratti di beni personali o rapporti esclusi dalle parti. E ciò vale anche per il contratto di leasing che attiene al ramo d'azienda ceduto.
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CESSIONE DI RAMO D'AZIENDA: OPERA IL MECCANISMO DI SUCCESSIONE AUTOMATICA NEI CONTRATTI
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
Il meccanismo di successione automatica nei contratti, previsto dall'art. 2558 c.c. in caso di cessione d'azienda, si applica anche in ipotesi di cessione di ramo d'azienda, determinando l'automatico subentro del cessionario. È questo il principio enunciato dalla Corte di Cassazione, con sentenza dell'11 ottobre 2016, n. 20417.
Secondo i Giudici di Piazza Cavour, il principio della sorte comune dei beni unitariamente organizzati per l’esercizio dell’impresa, sancito dall'art. 2558 c.c., non soffre alcuna eccezione in ipotesi di cessione di ramo d'azienda, con la conseguenza che i rapporti riferibili a detto ramo devono ritenersi inevitabilmente destinati a seguire le sorti del complesso organizzato cui accedono, a meno che si tratti di beni personali o le parti abbiano proceduto alla determinazione dei singoli beni o dei rapporti non destinati alla successione.
Pertanto, se le parti non hanno escluso alcuni beni o rapporti contrattuali propri dell'azienda del cedente, ove tali beni o rapporti non fossero oggettivamente e riconoscibilmente estranei al ramo di attività ceduto o pertinenti al settore imprenditoriale rimasto in capo al cedente, questi devono necessariamente ritenersi ceduti al cessionario del ramo d'azienda corrispondente.
In definitiva, anche in ipotesi di cessione di ramo d'azienda, i rapporti riferibili al ramo ceduto devono ritenersi inevitabilmente destinati a seguire le sorti del complesso organizzato cui accedono, salvo si tratti di beni personali o rapporti esclusi dalle parti. E ciò vale anche per il contratto di leasing che attiene al ramo d'azienda ceduto.
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SPETTA AL FISCO PROVARE LA DISTRIBUZIONE DI UTILI OCCULTI
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
La presunzione di origine giurisprudenziale relativa alla imputazione ai soci degli utili extra-contabili accertati a seguito di accertamento effettuato nei confronti di società di capitali a ristretta base societaria non esclude che sia onere dell'Ufficio fornire la prova della effettiva distribuzione dei dividendi ai sensi dell'articolo 2697 c.c.. È questo il principio sancito dalla CTP di Sondrio con sentenza del 3 maggio 2016, n. 89.
Nella pronuncia in commento, i giudici lombardi hanno affermato che non esiste alcuna norma che preveda la diretta ed automatica imputazione dell'utile delle società di capitali (salvo il caso di opzione per il regime di trasparenza) ai soci, come invece previsto per le società di persone dall'art. 5 del TUIR; né esiste alcuna norma che preveda che il reddito delle società di capitali possa o debba presumersi distribuito ai soci, con la conseguenza che l'onere della prova circa il maggior reddito percepito incombe sull'Ufficio.
Infatti, è ipotizzabile, con uguale grado di probabilità e ragionevolezza, anche una diversa conclusione, come, ad esempio, la creazione di riserve occulte, la destinazione delle disponibilità ad altri usi, la possibilità di appropriazione degli utili da parte di chi amministra la società, la destinazione degli utili alla creazione di fondi neri da utilizzare per il pagamento di costi non contabilizzati.
Pertanto, deve ritenersi che è onere dell'Amministrazione finanziaria dimostrare che il reddito derivante dalla presunta distribuzione dei maggiori utili accertati è stato effettivamente percepito dal socio. L'onere della prova contraria della presunzione di distribuzione degli utili non può gravare sul contribuente, non vedendosi in qual modo concreto il socio possa fornire una tale prova che si concretizza nella prova di un fatto negativo.
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ARMI DA SPARO: COME ESPORTARLE FUORI DAL TERRITORIO DOGANALE UE
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
Il D.M. 14 settembre 2016 del Ministero dell'Economia e delle Finanze individua le modalità per assicurare l'effettiva uscita dal territorio dello Stato, mediante uscita dal territorio doganale UE, delle armi, nonché per disciplinare l'esportazione o il trasferimento temporaneo di armi comuni da sparo, per uso sportivo o di caccia e per finalità commerciali.
Il decreto stabilisce che l'esportazione definitiva delle armi comuni da sparo deve essere effettuata dalle ditte autorizzate ad esercitare attività industriali o commerciali in materia di armi o munizioni o anche dalle persone, residenti o domiciliate nello Stato, in occasione del trasferimento della propria residenza o domicilio all'estero.
Quanto all'esportazione definitiva dei materiali commissionati o direttamente acquistati in Italia da cittadini italiani o stranieri residenti all'estero, può essere effettuata anche dal privato cedente che, in tal caso, dovrà richiedere a nome proprio la licenza di Polizia e curare tutte le formalità relative alle operazioni di esportazione.
Dopo la presentazione della licenza di Polizia, la dichiarazione doganale per l'esportazione definitiva o temporanea è così trasmessa telematicamente all'Ufficio doganale preposto alla vigilanza nel luogo in cui l'esportatore è stabilito ovvero dove ha sede il Banco nazionale di prova delle armi da fuoco portatili o dove sono costituiti reparti distaccati del medesimo Banco, o all'Ufficio doganale di uscita situato nel territorio dello Stato.
Quanto al controllo, l'Autorità deve constatare l'effettiva uscita dei materiali dal territorio doganale dell'Unione europea attraverso la consultazione del sistema informativo nazionale delle dogane AIDA (Automazione Integrata Dogane Accise), utilizzando il codice MRN comunicato dagli Uffici dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli.
Se invece si vuole esportare o trasferire in ambito intracomunitario, temporaneamente e al proprio seguito, armi da sparo per uso sportivo per un numero massimo di tre, occorre che vi sia la dichiarazione conforme, rilasciata dalla competente associazione sportiva di tiro riconosciuta o affiliata al Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) e comunicata al Ministero dell'interno dal Consiglio nazionale del CONI.
Le nuove disposizioni però non si applicano alle esportazioni dei materiali di armamento, nonché alle armi e ai materiali, quando i medesimi sono destinati a Enti governativi o Forze armate o di Polizia.
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IN SCADENZA LA COMUNICAZIONE DI BENI E FINANZIAMENTI RELATIVI AL PERIODO DI IMPOSTA 2015
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
Come noto, entro il trentesimo giorno successivo al termine di presentazione della dichiarazione dei redditi, deve essere presentata la comunicazione relativa:
- ai beni concessi in godimento dalla società ai soci;
- ai beni concessi in godimento dalla società ai familiari dei soci;
- ai beni concessi dalla società in godimento a soci o familiari di altra società appartenente al medesimo gruppo;
- ai beni utilizzati dai familiari dell’imprenditore.
Secondo quanto chiarito dalla circolare n. 24/E/2012, i familiari dell'imprenditore e dei soci vanno individuati, ai sensi dell'art. 5, comma 5, TUIR; pertanto, sono tali "il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado".
Poiché la maggior parte dei soggetti aveva quale scadenza di presentazione del modello Unico lo scorso 30 settembre, l’invio della comunicazione riguardante i finanziamenti e l’utilizzo dei beni dovrà avvenire entro il prossimo 31 ottobre 2016 (il 30 cade di domenica).
Comunicazione dei beni
I contribuenti – società / soci ovvero familiari / impresa – devono comunicare i beni posseduti da società o imprese e che sono dati in utilizzo a soci o familiari senza pagare un congruo corrispettivo. La comunicazione riguarda i beni che sono utilizzati per il 2015 (anche solo per una parte dell'anno), anche se la concessione aveva avuto inizio in precedenti anni. Se invece viene pattuito un congruo corrispettivo, la comunicazione non è dovuta.
È confermato che non sussiste l'obbligo di comunicazione quando i beni concessi in godimento privato soddisfano congiuntamente 2 requisiti:
1. hanno un valore non superiore a 3.000 euro, al netto dell’Iva (da notare che il riferimento è al valore del bene, non al valore annuo dell’utilizzo);
2. sono compresi nella categoria residuale "altro" prevista dal decreto (ovvero devono essere beni diversi da autovetture, unità da diporto, aeromobili, immobili).
Sono inoltre previste alcune esclusioni oggettive: ad esempio, i beni concessi in godimento agli amministratori, al socio dipendente o lavoratore autonomo, qualora detti beni costituiscano fringe benefit, e all'imprenditore individuale.
Comunicazione dei finanziamenti
Si dovranno segnalare anche eventuali finanziamenti e/o capitalizzazioni che gli stessi soggetti (o loro familiari) hanno effettuato a favore della società o dell'impresa. La comunicazione riguarda solo i finanziamenti avvenuti nel corso del periodo d’imposta oggetto di osservazione, a nulla rilevando eventuali finanziamenti avvenuti precedentemente (anche se ancora in corso).
La comunicazione deve essere effettuata solo da parte della società e, diversamente da quanto previsto in tema di concessione gratuita dei beni, non è possibile l'invio da parte del singolo socio. Non è previsto l'obbligo di comunicazione ove il valore dei finanziamenti e delle capitalizzazioni, autonomamente considerati, non superino il valore di 3.600 euro.
Nel caso in cui un soggetto abbia effettuato un finanziamento in anni precedenti al 2015 e, durante tale annualità, abbia rinunciato alla restituzione, si ritiene non si debba fare alcuna comunicazione, nonostante contabilmente si produca una patrimonializzazione della società. Infatti, non vi è stato alcun esborso finanziario da parte del soggetto.
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