SOCIETÀ DI CAPITALI ESTINTA: NON CONFIGURABILE UNA RESPONSABILITÀ DIRETTA DELL'EX AMMINISTRATORE PER I DEBITI FISCALI NON PAGATI

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di accertamento, laddove manchi un atto motivato che accerta la responsabilità dell’ex amministratore di una società di capitali estinta sulla base degli specifici elementi indicati dall’articolo 36 D.P.R. 602/1973, è illegittimo l’avviso di accertamento che si limiti a contestarne la responsabilità diretta per il mancato pagamento delle imposte dovute da detta società, trattandosi di obbligazione propria ex lege, avente natura civilistica e non tributaria, che trova fondamento sulla violazione degli articoli 1176 e 1218 cod.civ.

È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 25530, depositata ieri 21 settembre.

Il caso sottoposto all’attenzione dei giudici di vertice trae origine dalla notifica di un avviso di accertamento ad una srl, ai suoi amministratori e al consulente fiscale della stessa, ritenuto l’amministratore di fatto. Con tale atto veniva rideterminato quanto dovuto per Ires, Irap ed IVA e dunque venivano recuperati a tassazione maggiori proventi relativi a costi ritenuti fittizi, iscritti in contabilità, con indebita detrazione degli acquisti.

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AI FINI DELL'IMPOSTA DI REGISTRO NON È CESSIONE D'AZIENDA IL TRASFERIMENTO DELLE QUOTE IN PIÙ ATTI NEGOZIALI

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di imposta di registro, è illegittimo l’avviso di liquidazione per imposta proporzionale di registro conseguente a riqualificazione giuridica ex articolo 20 D.P.R. 131/1986, in termini di cessione d’azienda, del trasferimento delle quote di una s.r.l. in più atti negoziali, separati fra loro ma collegati in un’unica operazione commerciale, anche se posti in essere prima del 1° gennaio 2018, trovando applicazione retroattiva, fermi i rapporti già esauriti o coperti dal giudicato, gli articoli 1, comma 87, lett. a), L. 205/2017 (cd. Legge di bilancio 2018) e 1, comma 1084, L. 145/2018 (Legge di bilancio 2019), i quali ne hanno limitato la riqualificazione al solo atto presentato alla registrazione, e non anche agli atti a questo esterno ed asseritamente collegati.

È questo l’interessante principio sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 25071, depositata ieri 16 settembre.

La fattispecie sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità trae origine dalla notifica di un avviso di liquidazione per imposta proporzionale di registro in seguito alla riqualificazione giuridica ai sensi dell’articolo 20 D.P.R. 131/1986, in termini di cessione di azienda, di un’operazione di trasferimento delle quote posta in essere da una s.r.l. in più atti negoziali, che, seppur separati tra di loro, venivano ritenuti dall’Amministrazione finanziaria collegati in un’unica operazione commerciale.

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NON ROTTAMABILE LA CAUSA CONTRO IL DINIEGO DI AUTOTUTELA

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

Il diniego di autotutela, in quanto provvedimento avente contenuto precettivo autonomo, sia pure di mera conferma del precedente avviso di accertamento, non rientra tra gli atti definibili ai sensi dell’articolo 6 D.L. 119/2018. È questo l’interessante principio reso dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 24652 depositata ieri 14 settembre.

Il caso sottoposto all’attenzione dei giudici di vertice trae origine dalla notifica all’amministratore unico di una s.r.l. di un avviso di accertamento in materia di Ires ed Irap a carico della società e della successiva cartella di pagamento per la riscossione delle maggiori imposte dovute. Il contribuente, ritenendo di non poter essere il destinatario della pretesa fiscale concernente la società, proponeva ricorso. Ricevuta un’intimazione di pagamento, questi procedeva a presentare altresì istanza di autotutela, la quale veniva respinta. Tale diniego veniva impugnato rilevando la mancata notifica dell’avviso di accertamento e la Commissione provinciale accoglieva il ricorso, affermando che l’atto rientrasse nel novero di quelli ricorribili ai sensi dell’articolo 19 D.Lgs. 546/92 e che l’unico limite all’esercizio del potere di autotutela fosse rappresentato dal giudicato sostanziale.

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NO ALLA DETRAZIONE DELL'IVA ASSOLTA SULL'ACCONTO RELATIVO AD UN PRELIMINARE SIMULATO

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di Iva, non sussiste il diritto alla detrazione dell’Iva di rivalsa assolta sull’acconto relativo ad un contratto preliminare di compravendita immobiliare, che non sia stato seguito dal definitivo per mancato avveramento della condizione sospensiva in esso prevista, laddove se ne accerti la natura simulata sulla base della sussistenza di plurime operazioni sottoposte ad analoga condizione sospensiva, mai verificatasi, nonché dell’elevato e anomalo, in relazione alla prassi corrente, importo versato a titolo di acconto, in relazione al corrispettivo pattuito.

Sono queste le conclusioni rassegnate dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 22092, depositata ieri 3 agosto.

La vicenda in esame trae origine dalla notifica di un avviso di accertamento con cui l’amministrazione finanziaria contestava l’indebita detrazione dell’Iva di rivalsa assolta sull’acconto relativo ad un contratto preliminare di compravendita immobiliare per mancato avveramento della condizione sospensiva avente ad oggetto la garanzia del rendimento minimo locativo, in ragione dell’inesistenza di tale operazione.

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CONTESTAZIONE DEL CREDITO IVA CHIESTO A RIMBORSO LEGITTIMA ANCHE CON IL DECORSO DEI TERMINI DI ACCERTAMENTO

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di rimborso dell’eccedenza detraibile di Iva, l’Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente in dichiarazione, che non derivi dalla sottostima dell’imposta dovuta, anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del potere di accertamento o di rettifica dell’imponibile e dell’imposta dovuta, senza che abbia adottato alcun provvedimento.

È questo il principio di diritto sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza, resa a Sezioni Unite, n. 21765, depositata ieri 29 luglio.

In seguito al fallimento di una società in accomandita semplice, una società per azioni acquisiva un credito Iva maturato antecedentemente alla dichiarazione di fallimento e richiesto a rimborso per cessazione dell’attività. L’Agenzia delle entrate negava il rimborso facendo leva sulla relazione del curatore, il quale aveva evidenziato operazioni sospette della società qualificate come «vere e proprie truffe», tali da connotare come illegittima l’intera attività sociale. La società per azioni veniva poi incorporata da un istituto di credito.

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EFFETTIVITÀ DELL'ACQUISTO ED INERENZA DEL BENE AI FINI DELLA DETRAIBILITÀ DELL'IVA

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di Iva, ai fini della detraibilità dell’imposta, occorre accertare l’effettiva inerenza del bene acquistato rispetto alle finalità imprenditoriali, senza che occorra il concreto svolgimento dell’attività d’impresa; è l’acquisto di beni o servizi da parte di un soggetto passivo che agisce come tale a determinare l’applicazione del sistema dell’Iva e, quindi, della detrazione, mentre, l’impiego dei beni o dei servizi, reale o anche previsto, determina solo l’entità della detrazione iniziale e quella delle eventuali rettifiche.

È questo quanto affermato dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 21439, depositata ieri 27 luglio.

La fattispecie disaminata dai giudici di vertice trae origine da un avviso di accertamento emesso nei confronti di una s.r.l., con il quale l’Agenzia delle Entrate contestava il diritto al rimborso Iva e l’illegittima deduzione dei costi sul presupposto che era stato acquistato un capannone al solo scopo di ottenere il pagamento dal Ministero delle Attività Produttive delle ulteriori rate del contributo concesso e il rimborso dell’Iva.

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AGEVOLAZIONE PRIMA CASA AL CONTRIBUENTE CHE ABBIA GIÀ UN IMMOBILE INIDONEO COME ABITAZIONE

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di agevolazioni “prima casa”l’acquirente di un nuovo immobile che sia al contempo proprietario di altro immobile, acquistato senza agevolazioni nel medesimo Comune e inidoneo, per le ridotte dimensioni, ad essere destinato a sua abitazione, ha diritto alle agevolazioni fiscali, poiché la casa di abitazione deve essere intesa quale alloggio concretamente idoneo, sia sotto il profilo materiale che giuridico, a soddisfare le esigenze abitative dell’interessato.

È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 20981, depositata ieri 22 luglio.

La fattispecie disaminata dai giudici di vertice trae origine da un avviso di liquidazione emesso nei confronti di un contribuente, con il quale l’Agenzia delle Entrate revocava l’agevolazione “prima casa” di cui questi aveva fruito per l’acquisto di un immobile, recuperando a tassazione l’IVA dovuta ed irrogando le relative sanzioni. Infatti, da un controllo emergeva che il contribuente vantasse altri diritti reali su immobili ubicati nello stesso Comune.

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AGEVOLAZIONE PER L'ABITAZIONE PRINCIPALE ANCHE SENZA RESIDENZA ANAGRAFICA

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

In tema di detrazione per l’abitazione principale, in base all’articolo 8, comma 2, D.Lgs. 504/1992il beneficio prescinde dal dato formale della residenza anagrafica e attiene, invece, al dato fattuale dell’effettiva dimora del contribuente, il quale può dimostrare tale circostanza con qualsiasi mezzo all’uopo idoneo, secondo le regole generali, non essendovi limitazioni circa la prova dell’utilizzo del bene, e potendo anche essere utilizzate ricevute di pagamento, assemblee condominiali e fatture relative alle utenze domestiche.

È questo l’interessante principio desumibile dalle argomentazioni espresse dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 20686, depositata ieri 20 luglio.

Il caso sottoposto all’attenzione dei giudici di vertice trae origine dalla notifica ad un contribuente di un avviso di accertamento ICI afferente gli anni dal 2007 al 2009. Con tale atto era stata applicata una maggiore imposta per il mancato riconoscimento dell’aliquota agevolata con riguardo all’immobile di sua proprietà, presso il quale questi dimorava abitualmente, ma in cui non aveva trasferito la residenza anagrafica.

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LA PERIZIA STRAGIUDIZIALE INFICIA LA LEGITTIMITÀ DELL'ACCERTAMENTO BANCARIO

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

La presunzione semplice di cui agli articoli 32, comma 1, n. 2, D.P.R. 600/73 e 51, comma 2, n. 2, D.P.R. 633/72, circa l’omessa sottrazione di ricavi conseguiti, correlata agli accertati prelevamenti e versamenti operati sul conto corrente bancario di un imprenditore, deve ritenersi superata qualora tali voci siano state regolarmente contabilizzate e lo stesso contribuente, attraverso una perizia giurata, fornisca giustificazioni in ordine al transito e al conteggio in contabilità dei dati in questione.

È questo l’interessante principio di diritto reso dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 20132 depositata ieri 15 luglio.

Il caso sottoposto all’attenzione dei giudici di vertice trae origine dalla notifica ad un imprenditore di due avvisi di accertamento in materia di imposte dirette ed Iva e di una cartella di pagamento per la riscossione frazionata delle maggiori imposte dovute. L’Amministrazione finanziaria aveva basato tali accertamenti sulle movimentazioni bancarie del contribuente, ritenendo che non fossero giustificate fiscalmente. Tali atti venivano impugnati dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale, la quale accoglieva i ricorsi e procedeva alla riduzione degli importi su cui si basava la pretesa fiscale relativa agli avvisi di accertamento e alla riduzione di quanto dovuto in relazione alla pretesa contenuta nella cartella provvisoria di pagamento.

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LEGITTIMO IL SEQUESTRO DELLE SOMME FRUTTO DEL REIMPIEGO DI UN PATRIMONIO AZIENDALE CONTAMINATO

di Angelo Ginex, Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto Tributario, Studio Legale Tributario Ginex & Partners

Il sequestro preventivo nei confronti di una società può avere ad oggetto anche le somme depositate su un conto corrente che, a prescindere dall’eventuale origine formalmente lecita dovuta alla gestione dei beni aziendali, sono composte in gran parte da importi esistenti ancor prima della dichiarazione di fallimento della società, su un altro conto alla stessa intestato e successivamente trasferiti sul conto in argomento: tali somme diventano anch’esse illecite dato che il conto viene alimentato dall’impiego di beni dell’impresa inquinata in radice dai vantaggi illeciti basati su una pregressa attività delittuosa. È questo il principio di diritto reso dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 26755 depositata ieri 13 luglio.

La fattispecie disaminata dai giudici di vertice trae origine dal provvedimento con il quale il Tribunale di Trapani disponeva il sequestro, ai fini della confisca, dell’intero capitale sociale e di tutti i beni del relativo compendio aziendale di una s.r.l. dichiarata fallita nel 2014.

La curatela procedeva a chiedere il dissequestro e la restituzione delle somme depositate sul conto corrente, ma la Corte di appello di Palermo confermava la misura cautelare, ritenendo che il denaro presente su tale conto (poiché derivante da contratti di affitto dell’azienda che la curatela aveva stipulato con un’altra società) doveva considerarsi il frutto del reimpiego dei beni della società che, realizzata con i proventi di reati fiscali, era qualificabile come impresa illecita.

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