PRESUNZIONE IMPONIBILITÀ CAPITALI ESTERI: RIBADITA L'IRRETROATTIVITÀ
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
La pretesa natura procedimentale della norma contenuta nell'articolo 12, comma 2, D.L. 78/2009 che pone, in favore dell’Amministrazione finanziaria, una più favorevole presunzione legale relativa rispetto al quadro normativo previgente, oltre a porsi in contrasto con il tradizionale criterio della sedes materiae, che vede abitualmente le norme in tema di presunzioni collocate nel codice civile e dunque di diritto sostanziale e non già nel codice di rito, porrebbe il contribuente, che sulla base del quadro normativo previgente non avrebbe avuto interesse alla conservazione di un certo tipo di documentazione, in condizione di sfavore, pregiudicandone l’effettivo espletamento del diritto di difesa, in contrasto con i principi di cui agli articoli 3 e 24 Cost.. È questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione, con sentenza 2 febbraio 2018, n. 2662, conformemente al recente orientamento della giurisprudenza di legittimità.
Per comprendere meglio la portata della decisione dei giudici di legittimità e le argomentazioni da essi addotte, si rammenta che, ai sensi dell’articolo 12 D.L. 78/2009, gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenuti in Paradisi fiscali, in violazione della legislazione sul monitoraggio fiscale ...
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NO AL RADDOPPIO DEL CONTRIBUTO UNIFICATO NEL PROCESSO TRIBUTARIO
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
La Corte Costituzionale, con la recentissima sentenza n. 18 del 02.02.2018, è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’articolo 13, comma 1-quater, D.P.R. 115/2002 in riferimento all'articolo 111, comma 2, Costituzione, laddove esso venisse applicato nel processo tributario.
L’articolo citato, al fine di scoraggiare impugnazioni pretestuose o dilatorie, prevede, a titolo sanzionatorio, che, “quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis”.
Secondo i Giudici rimettenti, tale disposizione è lesiva del principio della parità delle parti di cui all'articolo 111, comma 2, Cost., in quanto essa dovrebbe poter colpire indistintamente sia la parte privata che quella pubblica, mentre il processo tributario è caratterizzato dalla presenza di un’amministrazione dello Stato che è esonerata dal pagamento del contributo unificato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, e quindi non assoggettata all'obbligo del versamento dell’ulteriore importo a detto titolo.
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NO AL RADDOPPIO DEL CONTRIBUTO UNIFICATO NEL PROCESSO TRIBUTARIO
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
La Corte Costituzionale, con la recentissima sentenza n. 18 del 02.02.2018, è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’articolo 13, comma 1-quater, D.P.R. 115/2002 in riferimento all'articolo 111, comma 2, Costituzione, laddove esso venisse applicato nel processo tributario.
L’articolo citato, al fine di scoraggiare impugnazioni pretestuose o dilatorie, prevede, a titolo sanzionatorio, che, “quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis”.
Secondo i Giudici rimettenti, tale disposizione è lesiva del principio della parità delle parti di cui all'articolo 111, comma 2, Cost., in quanto essa dovrebbe poter colpire indistintamente sia la parte privata che quella pubblica, mentre il processo tributario è caratterizzato dalla presenza di un’amministrazione dello Stato che è esonerata dal pagamento del contributo unificato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, e quindi non assoggettata all'obbligo del versamento dell’ulteriore importo a detto titolo.
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LA PROVA DELL'AVVENUTA NOTIFICA A MEZZO PEC DI UN ATTO ESATTIVO
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
La Commissione tributaria provinciale di Roma, con sentenza 30 novembre 2017, n. 25911, ha ribadito un recente orientamento della giurisprudenza di merito circa i requisiti necessari a provare in giudizio l’avvenuta notifica a mezzo Pec di un atto di riscossione.
La questione affrontata dai giudici di prime cure riguarda segnatamente l’ipotesi in cui il contribuente impugni “al buio” una cartella di pagamento, ovvero contestandone l’omessa rituale notificazione, stante l’intervenuta conoscenza della stessa solamente a seguito di richiesta degli estratti di ruolo relativi alla propria situazione debitoria.
Al fine di comprendere quale sia la documentazione ex lege atta a comprovare l’avvenuto perfezionamento del procedimento di notificazione, occorre fare riferimento alla normativa in materia, esplicata nel:
- D.P.R. 445/2000 (c.d. Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa);
- D.P.R. 68/2005 (c.d. Regolamento recante disposizioni per l’utilizzo della posta elettronica certificata);
- D.Lgs. 82/2005 (c.d. Codice dell’Amministrazione digitale);
- D.M. 2 novembre 2005 (recante le Regole tecniche per la formazione, la trasmissione e la validazione, anche temporale, della posta elettronica certificata).
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OMESSO DEPOSITO DELLA RICEVUTA DI SPEDIZIONE DEL RICORSO: GLI EFFETTI
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
Nel processo tributario, non costituisce motivo d’inammissibilità del ricorso che sia stato notificato direttamente a mezzo del servizio postale universale, il fatto che il ricorrente, al momento della costituzione in giudizio, depositi l’avviso di ricevimento del plico e non la ricevuta di spedizione, purché nell'avviso di ricevimento medesimo la data di spedizione sia asseverata dall'ufficio postale con stampigliatura meccanografica ovvero con proprio timbro datario. È questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione, con ordinanza 12 febbraio 2018, n. 3386, conformemente al recentissimo orientamento inaugurato proprio dalle Sezioni Unite.
La questione affrontata dalla Suprema Corte è stata sollevata dall'Agenzia delle Entrate a seguito del rigetto del ricorso in appello dalla stessa proposto dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, che ne aveva dichiarato l’inammissibilità per omesso deposito da parte dell’appellante della ricevuta postale di spedizione dell’atto di appello medesimo, ai sensi degli articoli 53, comma 2, e 22 D.Lgs. 546/1992.
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LE NOVITÀ IVA INTRODOTTE DALLA LEGGE EUROPEA 2017
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
A partire dallo scorso 18 dicembre 2107 sono entrate in vigore, tra le altre, le novità previste in materia di Iva dagli articoli 7, 8 e 9 L. 167/2017 (c.d. Legge Europea), per l’adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell’Italia all'Unione Europea.
Innanzitutto, l’articolo 7 L. 167/2017 dispone che, al fine di chiudere una procedura di infrazione comunitaria, ai soggetti che richiedono un rimborso Iva di importo superiore ad euro 30.000 mediante presentazione della garanzia compete, a titolo di ristoro forfetario dei costi sostenuti per il rilascio della garanzia stessa, una somma pari alla 0,15 per cento dell’importo garantito per ogni anno di durata della garanzia.
Tale somma viene versata alla scadenza del termine per l’emissione dell’avviso di rettifica o di accertamento ovvero, in caso di emissione di tale avviso, quando sia stato definitivamente accertato che al contribuente spettava il rimborso dell’imposta.
Tali previsioni si applicano a partire dalle richieste di rimborso fatte con la dichiarazione annuale dell‘Iva relativa all'anno 2017 e dalle istanze di rimborso infrannuali (modelli TR) relative al primo trimestre dell‘anno 2018.
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SÌ AL RILASCIO DEL DURC IN CASO DI ACCESSO ALLA ROTTAMAZIONE-BIS
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
Con Messaggio 23 gennaio 2018 n. 322 l’Inps ha fornito interessanti chiarimenti in merito all'alveo applicativo dell’articolo 1 D.L. 148/2017, soprattutto per quanto concerne gli effetti della definizione agevolata dei crediti contributivi ai fini del rilascio del DURC.
In particolare, è stato chiarito che la presentazione dell’istanza di accesso alla definizione agevolata dei debiti contributivi consente il rilascio del DURC: quindi, il contribuente, semplicemente presentando entro il 15 maggio 2018 l’istanza di adesione avente ad oggetto i debiti contributivi affidati all'Agente della Riscossione prima del 30 settembre 2017, otterrà l’esito di regolarità contributiva (DURC).
Infatti, l’articolo 54, comma 1, D.L. 50/2017 ha previsto che, nel caso di accesso alla definizione agevolata di debiti contributivi ex articolo 6 D.L. 193/2016, il contribuente ha la possibilità di ottenere, rispetto ai carichi contenuti in cartelle di pagamento/avvisi di addebito oggetto di adesione, un esito di regolarità contributiva nel periodo intercorrente tra la data di presentazione dell’istanza di accesso e quella di scadenza della prima o unica rata, ferma restando la sussistenza di tutti gli altri requisiti previsti dall'articolo 3 D.M. 30 gennaio 2015.
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OGNI ACCESSO IN CONTRADDITTORIO
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
Il diritto al contraddittorio è previsto per qualsiasi atto di accertamento a tavolino che abbia richiesto un accesso istantaneo presso la sede sociale, dovendosi procedere, anche in questo caso, alla redazione di un processo verbale di chiusura delle operazioni, con conseguente possibilità per il contribuente di comunicare osservazioni e richieste entro i termini di legge. È questo il dirompente principio sancito dalla Corte di Cassazione, con ordinanza 8 febbraio 2018, n. 3060.
La vicenda trae origine dalla impugnazione di alcuni avvisi di accertamento relativi ad Irap, Ires e Iva dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale, la quale rigettava il ricorso. La società contribuente proponeva ricorso in appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Sardegna, che, in accoglimento del gravame, statuiva l'illegittimità degli atti impugnati, in quanto, anche se esitati in seguito ad accesso presso la sede sociale, non erano stati preceduti dal rilascio del processo verbale di chiusura delle operazioni, come previsto dall'art. 12, comma 7, L. 212/2000 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente).
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OGNI ACCESSO IN CONTRADDITTORIO
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Il diritto al contraddittorio è previsto per qualsiasi atto di accertamento a tavolino che abbia richiesto un accesso istantaneo presso la sede sociale, dovendosi procedere, anche in questo caso, alla redazione di un processo verbale di chiusura delle operazioni, con conseguente possibilità per il contribuente di comunicare osservazioni e richieste entro i termini di legge. È questo il dirompente principio sancito dalla Corte di Cassazione, con ordinanza 8 febbraio 2018, n. 3060.
La vicenda trae origine dalla impugnazione di alcuni avvisi di accertamento relativi ad Irap, Ires e Iva dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale, la quale rigettava il ricorso. La società contribuente proponeva ricorso in appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Sardegna, che, in accoglimento del gravame, statuiva l'illegittimità degli atti impugnati, in quanto, anche se esitati in seguito ad accesso presso la sede sociale, non erano stati preceduti dal rilascio del processo verbale di chiusura delle operazioni, come previsto dall'art. 12, comma 7, L. 212/2000 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente).
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NEGATO L'ACCOLLO DEL DEBITO D'IMPOSTA IN COMPENSAZIONE
Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
Con risoluzione AdE 140/E/2017, l’Agenzia delle Entrate ha fornito una interpretazione alquanto “bizzarra” in tema di accollo del debito d’imposta in compensazione, di cui all'articolo 8, comma 2, L. 212/2000 (c.d. Statuto dei diritti dei contribuenti) secondo cui “… è ammesso l’accollo del debito d’imposta altrui senza liberazione del contribuente originario”.
Nel citato documento di prassi, infatti, viene negata la possibilità dell’utilizzo, in ambito tributario, dell’accollo del debito d’imposta in compensazione, sostenendo che l’istituto dell’accollo, ancorché praticabile in ambito tributario, non sia esperibile attraverso l’istituto della compensazione di cui all'articolo 17 D.Lgs. 241/1997.
In altri termini, secondo l’Amministrazione finanziaria, il contribuente che vanti un credito d’imposta verso l’Erario, nell'ipotesi in cui volesse accollarsi un debito tributario altrui, potrebbe farlo unicamente immettendo nel circuito erariale moneta contante, essendogli inibita l’utilizzazione del suo credito in compensazione.
Ciò, sulla base della considerazione per la quale, secondo l’Amministrazione finanziaria, salvo alcuni casi espressamente previsti dalla legge, la compensazione troverebbe applicazione solo per i debiti (ed i relativi crediti) in essere tra i medesimi soggetti e mai tra soggetti diversi.
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