L'IPOTECA VA CANCELLATA IN MANCANZA DI CONTRADDITTORIO PREVENTIVO

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners – Studio Legale Tributario

In tema di riscossione coattiva delle imposte, l'Amministrazione finanziaria, prima di iscrivere l'ipoteca su beni immobili ai sensi dell'art. 77 del D.P.R. 602/1973, deve comunicare al contribuente che procederà alla suddetta iscrizione, concedendo al medesimo un termine - che può essere determinato, in coerenza con analoghe previsioni normative, in trenta giorni - per presentare osservazioni od effettuare il pagamento, dovendosi ritenere che l'omessa attivazione di tale contraddittorio endoprocedimentale comporti la nullità dell'iscrizione ipotecaria per violazione del diritto alla partecipazione al procedimento, garantito anche dagli artt. 41, 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali della Unione europea, fermo restando che, attesa la natura reale dell'ipoteca l'iscrizione mantiene la sua efficacia fino alla sua declaratoria giudiziale d'illegittimità.

È questo il principio affermato dalla Suprema Corte, con ordinanza del 26 febbraio 2016, n. 3783, la quale evidenzia come, in virtù delle novità introdotte dalla Legge 106/2011, a decorrere dal 13.7.2011, l'Agente della riscossione sia tenuto a notificare al proprietario dell'immobile una comunicazione preventiva contenente l'avviso che, in mancanza di pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sarà iscritta ipoteca ex art. 77, c. 2-bis, D.P.R. 602/1973 e tale comunicazione non può che costituire atto impugnabile dinanzi alle commissioni tributarie.

Sul punto, si rileva che le Sezioni Unite hanno ripetutamente affermato che l’ipoteca prevista dall'art. 77 del D.P.R. 602/1973, pur non essendo atto di esecuzione, è tuttavia strettamente preordinata e strumentale all'espropriazione immobiliare e, pertanto, soggetta agli stessi limiti (tra cui l’obbligo di preventiva comunicazione) stabiliti per quest’ultima dagli artt. 50 e 76 del D.P.R. 602/1973 (Cass., Sez. Un., 2053/2006; 22.2.2010, n. 4077; 12.4.2012, n. 5771) e, conseguentemente, in caso di difetto o di omessa comunicazione, è possibile eccepire la nullità dell'iscrizione di ipoteca.

Più in generale, la pronuncia si innesta nel solco tracciato dalle Sezioni Unite con sentenza del 18 settembre 2014, n. 19667, secondo cui la pretesa tributaria trova legittimità nella formazione procedimentalizzata di una "decisione partecipata" mediante la promozione del contraddittorio (che sostanzia il principio di leale collaborazione) tra amministrazione e contribuente (anche) nella fase precontenziosa o endoprocedimentale, al cui ordinato ed efficace sviluppo è funzionale il rispetto dell'obbligo di comunicazione degli atti imponibili. Il diritto al contraddittorio, ossia il diritto del destinatario del provvedimento ad essere sentito prima dell'emanazione di questo, realizza l'inalienabile diritto di difesa del cittadino, presidiato dall'articolo 24 Cost., e il buon andamento dell'amministrazione, presidiato dall'articolo 97 Cost.

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I COMUNI DEVONO RIMBORSARE L'IMU RELATIVA AGLI ANNI 2012 E 2013

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners – Studio Legale Tributario

I Comuni devono rimborsare l'IMU versata per gli anni 2012 e 2013 relativamente ai c.d. immobili merce. È questo il principio affermato dalla Commissione Tributaria Provinciale di Pescara, con sentenza n. 901/2015.

La vicenda trae origine dall'applicazione dell'IMU ai c.d. immobili merce delle imprese, ovvero agli immobili alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa. In altri termini, si tratta degli immobili delle imprese che svolgono l'attività di compravendita immobiliare o delle imprese di costruzione o di ristrutturazione che poi li vendono.

Nel caso di specie, il ricorrente evidenziava come nessun'altra impresa subisse l'imposizione delle proprie rimanenze di magazzino a parte le imprese di costruzione e lamentava pertanto la violazione del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. e del principio di capacità contributiva di cui all'art. 53 Cost.

Sul punto, occorre ricordare che, a decorrere dal 1° gennaio 2014, la norma è stata modificata e i c.d. immobili merce sono esenti dall'IMU fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati. Sulla base di ciò, la CTP di Pescara afferma che il Legislatore, con la predetta modifica recata dal D.L. 102/2013, avrebbe abrogato tacitamente la norma previgente, avendo assoggettato i medesimi beni ad una forma di esenzione totale dall'imposta.

In definitiva, dunque, i Giudici pescaresi affermano che il rimborso è dovuto, poiché solo interpretando la norma successiva come abrogativa della precedente non si incorre nel denunziato vizio di violazione del principio di uguaglianza e di ragionevolezza.

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CESSIONE DI CALCIATORE: PLUSVALENZE ASSOGGETTABILI AD IRAP

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners – Studio Legale Tributario

Le plusvalenze derivanti dalla cessione di calciatori sono assoggettabili ad IRAP. È questo il principio sancito dalla Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia-Giulia, con sentenza del 28 gennaio 2016, n. 30.

La vicenda trae origine dalla presentazione all'Agenzia delle Entrate di Udine di un'istanza di rimborso delle somme versate a titolo di IRAP in relazione alle plusvalenze nette conseguite in sede di cessione di contratti di prestazioni sportive di alcuni calciatori. Formatosi il silenzio rifiuto, la Società proponeva ricorso alla competente Commissione Tributaria Provinciale di Udine, assumendo che le cessioni in parola avrebbero avuto quale oggetto non la cessione di un contratto di lavoro, ma il diritto di ottenere dalla società cedente la risoluzione anticipata del precedente contratto, diritto integrante la condizione necessaria per permettere la stipula di un nuovo contratto con il giocatore. Ne conseguiva che il provento realizzato non costituirebbe plusvalenza da cessione di beni immateriali strumentali e come tali non assoggettabili ad IRAP.

Il Collegio, nel ritenere infondata la tesi della contribuente e, dunque, della società calcistica ricorrente, cita la recentissima sentenza n. 24588/2015 della Corte di Cassazione, la quale ha affermato l'imponibilità ai fini IRAP delle plusvalenze derivanti dalla cessione di calciatori e di diritti di compartecipazione da parte delle società sportive professionistiche. Ciò, sulla base della considerazione per la quale, attraverso la cessione del contratto, viene trasferito il diritto all'utilizzo esclusivo della prestazione dell'atleta che rappresenta un bene immateriale strumentale, appartenente alla gestione ordinaria dell'impresa e, come tale, rilevante ai fini IRAP.

Infine, i Giudici friulani condividono quanto rilevato anche dal Consiglio di Stato con parere n. 5285/2012, e cioè che, con la cessione del contratto, viene trasferito il diritto all'utilizzo esclusivo della prestazione dell'atleta verso corrispettivo, diritto integrante un bene immateriale strumentale all'esercizio dell' impresa, sia sul piano tributario, poiché ammortizzabile, sia su quello civilistico, in quanto necessario per il conseguimento dell'oggetto sociale.

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IL FIDEIUSSORE INCONSAPEVOLE È TUTELATO DALLA BANCA CREDITRICE

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners – Studio Legale Tributario

La Suprema Corte, con sentenza del 3 febbraio 2016, n. 2132, ha affermato tout court che, qualora, nell'ambito di un rapporto di apertura di credito in conto corrente, si manifesti un significativo peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore tale da metterne a repentaglio la solvibilità, la banca creditrice, la quale disponga di strumenti di autotutela che le consentano di porre termine al rapporto impedendo ulteriori atti di utilizzazione del credito che aggraverebbero l’esposizione debitoria, è tenuta ad avvalersi di quegli strumenti anche a tutela dell’interesse del fideiussore inconsapevole, alla stregua del principio cui si ispira l’art. 1956 c.c., se non vuole perdere il beneficio della garanzia, in conformità ai doveri di correttezza e buona fede ed in attuazione del dovere di salvaguardia dell’altro contraente, a meno che il fideiussore manifesti la propria volontà di mantenere ugualmente ferma la propria obbligazione di garanzia.

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ACCERTAMENTO NULLO IN MANCANZA DI DELEGA DI FIRMA

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners – Studio Legale Tributario

Se, in caso di contestazione, l'Amministrazione finanziaria non dimostra il corretto esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell’ufficio, l’avviso di accertamento è nullo ai sensi dell'art. 42 del D.P.R. 600/1973. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione, con sentenza del 17 marzo 2016, n. 5360, conformemente al prevalente orientamento della giurisprudenza tributaria di legittimità (cfr., ex multis Cass. sentenze nn. 24492/2015, 18758/2014, 17400/2012).

Ciò, in considerazione del fatto che - sostiene la Suprema Corte -, fermi i casi di sostituzione e reggenza di cui al D.P.R 8 maggio 1987, n. 266, art. 20 comma 1, lett. a) e b), è espressamente richiesta la delega a sottoscrivere e che il solo possesso della qualifica non abilita il direttore tributario alla sottoscrizione, dovendo il potere di organizzazione essere in concreto riferibile al capo dell'ufficio. I principi richiamati sono due: il principio di leale collaborazione che grava sulle parti processuali (e segnatamente sulla parte pubblica) e il principio della vicinanza della prova, in quanto si discute di circostanze che coinvolgono direttamente l’Amministrazione, che detiene la relativa documentazione, di difficile accesso per il contribuente.

Ribadendo quanto recentemente affermato in altre pronunce, i Giudici di Piazza Cavour ricordano come l’avviso di accertamento è nullo ai sensi dell'art. 42 del D.P.R. 600/1973 se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. Se la sottoscrizione non è quella del capo dell’ufficio titolare ma di un funzionario, quale il direttore tributario, di nona qualifica funzionale, incombe sull'Amministrazione l'onere di dimostrare, in caso di contestazione, il corretto esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell’ufficio, poiché il solo possesso della qualifica non abilita il direttore tributario alla sottoscrizione, dovendo il potere di organizzazione essere in concreto riferibile al capo dell’ufficio.

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NO ALL'AUMENTO DI TRIBUTI LOCALI E ADDIZIONALI NEL 2016

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners – Studio Legale Tributario

L’efficacia delle leggi regionali e delle deliberazioni degli enti locali, nella parte in cui determinano un aumento dei tributi e delle addizionali, è sospesa per tutto l’anno 2016, al fine di contenere il livello complessivo della pressione tributaria.

Tuttavia, la sospensione non si applica alla Tari. Inoltre, è fatta salva la possibilità per i Comuni di mantenere anche per quest’anno la maggiorazione della Tasi nella stessa misura applicata nel 2015, limitatamente però agli immobili non esentati.

Sono questi i temi principali oggetto della Risoluzione del Ministero delle finanze n. 2/DF del 22 marzo 2016.

Dunque, salve le eccezioni previste dall'art. 1 della Legge 208/2015, in tutte le altre ipotesi in cui le deliberazioni degli enti locali comportino un aumento dei tributi si determina per tutto l’anno 2016 la sospensione dell’efficacia delle parti delle deliberazioni stesse.

In particolare, la sospensione si applica quando nel 2016:
- viene introdotto un nuovo tributo rispetto al 2015, come ad esempio l’imposta di soggiorno;
- viene aumentata l’aliquota di tributi già esistenti nel 2015;
- vengono introdotte manovre che producono l’effetto di restringere l’ambito applicativo di norme di favore, come ad esempio nel caso di eliminazione di agevolazione, nonché in quello di variazione dell’ambito oggettivo di applicazione dell’addizionale comunale all'Irpef attraverso la riduzione o l’eliminazione della soglia di esenzione.

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NUOVO CODICE DOGANALE DA MAGGIO 2016

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners – Studio Legale Tributario

Da maggio 2016 entrerà in vigore il nuovo Codice Doganale dell’Unione Europea, che introduce novità destinate ad avere un significativo impatto nell'operatività delle aziende che frequentemente realizzano operazioni di import ed export. Vediamo quali sono.

La certificazione AEO
Il nuovo Codice attribuisce un ruolo chiave ai soggetti AEO, Infatti, questi ultimi divengono destinatari delle principali semplificazioni previste dal medesimo.
Viene introdotto un ulteriore requisito per ottenere la certificazione AEO-C relativa alle semplificazioni doganali. In particolare, il soggetto richiedente tale certificazione deve dimostrare di possedere particolari standard di competenza o specifiche qualifiche professionali, quali, ad esempio, una comprovata esperienza di almeno tre anni in materia doganale o l’aver preso parte a corsi di formazione, riguardanti la materia doganale, organizzati dagli uffici delle dogane o da soggetti riconosciuti dalle medesime come qualificati a fornire corsi di formazione in materia.
Infine, è previsto che il soggetto richiedente, nel corso degli ultimi tre anni, non abbia commesso violazioni gravi e ripetute non solo della normativa doganale, ma, più in generale, della normativa fiscale, estendendo, in tal modo, l’ambito di indagine a settori impositivi prima esclusi.

Le Informazioni Tariffarie Vincolanti
Il nuovo Codice prevede che le Informazioni Tariffarie Vincolanti (ITV) abbiano una validità di tre anni (e non più sei) e siano vincolanti non solo per l’autorità doganale che le ha emesse, ma anche per il soggetto richiedente. Ne consegue che il richiedente la ITV sarà sempre obbligato a conformarsi al contenuto della decisione dichiarando la classificazione doganale individuata dall'autorità cui l’istanza è stata presentata.

I regimi doganali
Il nuovo Codice semplifica e raggruppa i regimi doganali in tre macro categorie:
1) immissione in libera pratica;
2) esportazione;
3) regimi speciali.
All'interno dei regimi speciali è, poi, possibile trovare la seguente distinzione:
• il transito (che comprende sia il transito interno che quello esterno);
• il deposito (che comprende il deposito doganale e le zone franche);
• l’uso particolare (che comprende l’ammissione temporanea e l’uso finale);
• il perfezionamento (che comprende il perfezionamento attivo e passivo).
Si rileva altresì che il nuovo Codice non contempla più il regime del perfezionamento attivo col sistema del rimborso e la procedura di trasformazione sotto controllo doganale.

Il valore in dogana
La novità più significativa è rappresentata dall'abolizione della regola del “first sale price”. Infatti, il nuovo Codice prevede chiaramente che il valore di transazione delle merci vendute per l’esportazione verso il territorio doganale dell’Unione è fissato sulla base della vendita avvenuta immediatamente prima l’introduzione delle merci in tale territorio.
Conseguentemente, non sarà più possibile utilizzare, ai fini doganali, il valore di una transazione anteriore a quella in base alla quale le merci sono state importate nell'Unione Europea.
Tuttavia, per mitigare gli effetti del venir meno della regola del “first sale price”, è stata introdotta una norma transitoria in virtù della quale, fino a dicembre 2017, il valore di transazione delle merci, ai fini doganali, potrà essere ancora determinato sulla base di una vendita antecedente se la persona per conto della quale è presentata la dichiarazione in dogana è vincolata da un contratto concluso prima del 18 gennaio 2016.

Lo sdoganamento centralizzato
Si tratta di una novità di assoluto rilievo. In particolare, i soggetti titolari di un certificato AEO-C relativo alle semplificazioni doganali potranno essere autorizzati a presentare, presso l’ufficio doganale competente in base al luogo in cui sono stabiliti, dichiarazioni doganali relative a merci presentate presso altri uffici doganali.
Ciò consentirà all'operatore economico di presentare le proprie dichiarazioni presso un unico ufficio delle dogane (quello di propria competenza), il quale procederà a controllare le dichiarazioni ed a riscuotere i diritti se dovuti, sebbene le merci siano materialmente introdotte nell'Unione Europea o esportate attraverso dogane diverse da quella competente per le formalità doganali.

Prescrizioni e decadenze
Il nuovo Codice prevede chiaramente che quando l’obbligazione sorge in seguito a un atto che nel momento in cui è stato commesso era perseguibile penalmente, il termine di tre anni (ovvero, quello ordinario di prescrizione) è esteso a minimo cinque anni e massimo dieci anni conformemente al diritto nazionale. Inoltre, il nuovo Codice prevede che le sanzioni applicabili in caso di violazioni della normativa doganale devono essere effettive, proporzionate e dissuasive.

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IL CONTENZIOSO TRIBUTARIO TRASLOCA

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners – Studio Legale Tributario

È incostituzionale la disposizione normativa contenuta nell'art. 4, comma 1 del D.Lgs. 546/1992 nella parte in cui prevede che per le controversie proposte nei confronti dei concessionari del servizio della riscossione è competente la Commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione i concessionari stessi hanno sede, anziché quella nella cui circoscrizione ha sede l’ente locale concedente. E' questo il principio sancito dalla Corte Costituzionale, con sentenza del 3 marzo 2016, n. 44, che ha dichiarato incostituzionale anche la disposizione introdotta dal decreto attuativo della delega fiscale per la riforma del contenzioso tributario nell'art. 4, comma 1 del D.Lgs. 546/1992.

La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Cremona, con due ordinanze dello stesso tenore emesse il 10 novembre 2014, per violazione degli artt. 24 e 97 della Costituzionale, nella previsione recata nell'art. 4, comma 1 del D.Lgs. 546/1992, la quale prevede che le Commissioni tributarie provinciali sono competenti per le controversie proposte nei confronti dei concessionari della riscossione che hanno sede nella loro circoscrizione anche nel caso in cui la sede appartenga ad una circoscrizione diversa da quella degli enti locali concedenti.

Con la pronuncia in commento, la Corte Costituzionale ha ravvisato la violazione - da parte dell’art. 4, comma 1 del D.Lgs. 546/1992 - dell’art. 24 Cost., avendo il legislatore individuato un criterio attributivo della competenza che finisce per impedire l’esercizio del diritto di difesa, posto che il contribuente sarebbe costretto ad un gravoso spostamento verso il luogo nel quale instaurare la propria azione giudiziaria.

A tal proposito, lo stesso legislatore, all'art. 52 del D.Lgs. 446/1997 ha precisato che l’individuazione, da parte dell’ente locale, del concessionario del servizio di accertamento e riscossione dei tributi non deve comportare oneri aggiuntivi per il contribuente. Ebbene, il fatto che il contribuente debba farsi carico di uno spostamento geografico anche significativo per esercitare il proprio diritto di difesa integra un considerevole onere a suo carico. Questo onere diviene tanto più rilevante in relazione ai valori fiscali normalmente in gioco, che potrebbero essere di modesta entità, e quindi tali da rendere non conveniente un’azione da esercitarsi in una sede lontana.

Infine, la Corte ha rilevato che l’incostituzionalità della norma in commento si riviene anche nella versione della stessa modificata dal decreto legislativo recante la riforma del contenzioso tributario (D.Lgs. 158/2015), nella parte in cui prevede che per le controversie proposte nei confronti di soggetti iscritti nell'albo di cui all'art. 53 del D.Lgs. 446/1997 (concessionari privati) è competente la Commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione i medesimi soggetti hanno sede, anziché quella nella cui circoscrizione ha sede l’ente locale impositore.

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È SEMPRE NULLO L'ACCERTAMENTO ANTICIPATO

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners – Studio Legale Tributario

L'avviso di accertamento emesso prima dei 60 giorni dal rilascio del processo verbale di constatazione (c.d. PVC) è nullo, anche se l'emissione anticipata è stata determinata dall'imminente spirare del termine decadenziale per l'esercizio dell'attività accertatrice. E' questo il principio sancito dalla Suprema Corte, con sentenza del 16 marzo 2016, n. 5137, conformemente al granitico orientamento della giurisprudenza di legittimità.

La vicenda trae origine da una verifica fiscale eseguita nei confronti di una srl e terminata con il rilascio del PVC, cui seguiva, appena 18 giorni dopo, la notifica da parte dell'Agenzia delle Entrate di un avviso di accertamento, stante il decorso a fine anno dei termini decadenziali previsti. Quindi, la questione controversa concerne la possibilità di poter considerare l'imminente spirare del termine decadenziale per l'esercizio dell'attività accertatrice quale idoneo motivo di urgenza che, derogando all'obbligo di contraddittorio in caso di verifica fiscale presso la sede del contribuente, consenta al Fisco di emettere l'atto prima del decorso del termine di 60 giorni dalla notifica del PVC, durante il quale detto contraddittorio dovrebbe realizzarsi.

Orbene, come noto, le Sezioni Unite, intervenute sul tema con sentenze nn. 18184/2013 e 19667/2014, avevano già affermato che l'atto impositivo emesso prima del decorso del termine di 60 giorni dalla notifica del PVC è nullo, in quanto la finalità di detto termine è quella di consentire il contraddittorio endoprocedimentale, che costituisce evidentemente espressione dei principi di derivazione costituzionale di collaborazione e buona fede, purché non sussistano ragioni di motivata urgenza che giustifichino l'emissione anticipata dell'atto impositivo.

Con la pronuncia in commento, gli Ermellini hanno precisato che le ragioni di particolare e motivata urgenza non sono identificabili tout court nell'imminente spirare del termine di decadenza dell'attività accertatrice, atteso che ciò comporterebbe l'inammissibile effetto di una generalizzata convalida di tutti gli atti in scadenza, quando è invece dovere del Fisco attivarsi per consentire il concreto dispiegarsi del contraddittorio. Quindi, spetta all'Agenzia delle Entrate fornire la prova che l'imminente decorso del termine decadenziale sia dipeso da fatti o condotte ad essa non imputabili a titolo di incuria, negligenza o inefficienza.

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È SEMPRE NULLO L'ACCERTAMENTO ANTICIPATO

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners – Studio Legale Tributario

L'avviso di accertamento emesso prima dei 60 giorni dal rilascio del processo verbale di constatazione (c.d. PVC) è nullo, anche se l'emissione anticipata è stata determinata dall'imminente spirare del termine decadenziale per l'esercizio dell'attività accertatrice. E' questo il principio sancito dalla Suprema Corte, con sentenza del 16 marzo 2016, n. 5137, conformemente al granitico orientamento della giurisprudenza di legittimità.

La vicenda trae origine da una verifica fiscale eseguita nei confronti di una srl e terminata con il rilascio del PVC, cui seguiva, appena 18 giorni dopo, la notifica da parte dell'Agenzia delle Entrate di un avviso di accertamento, stante il decorso a fine anno dei termini decadenziali previsti. Quindi, la questione controversa concerne la possibilità di poter considerare l'imminente spirare del termine decadenziale per l'esercizio dell'attività accertatrice quale idoneo motivo di urgenza che, derogando all'obbligo di contraddittorio in caso di verifica fiscale presso la sede del contribuente, consenta al Fisco di emettere l'atto prima del decorso del termine di 60 giorni dalla notifica del PVC, durante il quale detto contraddittorio dovrebbe realizzarsi.

Orbene, come noto, le Sezioni Unite, intervenute sul tema con sentenze nn. 18184/2013 e 19667/2014, avevano già affermato che l'atto impositivo emesso prima del decorso del termine di 60 giorni dalla notifica del PVC è nullo, in quanto la finalità di detto termine è quella di consentire il contraddittorio endoprocedimentale, che costituisce evidentemente espressione dei principi di derivazione costituzionale di collaborazione e buona fede, purché non sussistano ragioni di motivata urgenza che giustifichino l'emissione anticipata dell'atto impositivo.

Con la pronuncia in commento, gli Ermellini hanno precisato che le ragioni di particolare e motivata urgenza non sono identificabili tout court nell'imminente spirare del termine di decadenza dell'attività accertatrice, atteso che ciò comporterebbe l'inammissibile effetto di una generalizzata convalida di tutti gli atti in scadenza, quando è invece dovere del Fisco attivarsi per consentire il concreto dispiegarsi del contraddittorio. Quindi, spetta all'Agenzia delle Entrate fornire la prova che l'imminente decorso del termine decadenziale sia dipeso da fatti o condotte ad essa non imputabili a titolo di incuria, negligenza o inefficienza.

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