AL VIA LA NOTIFICA A MEZZO PEC DELLE CARTELLE DI PAGAMENTO

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario

A decorrere dal 1° giugno 2016, l’Agente della Riscossione dovrà notificare le cartelle di pagamento mediante invio di posta elettronica certificata all'indirizzo risultante dall'indice nazionale INI-PEC. Infatti, il D.Lgs. 159/2015, recante “Misure per la semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione”, ha modificato l’art. 26 del D.P.R. n. 602 del 1973, prevedendo, espressamente, all'art. 14, l’obbligo di procedere alla notifica a mezzo PEC, qualora destinatari degli atti di riscossione siano professionisti ed imprese individuali o costituite in forma societaria.

Con apposito comunicato, Equitalia ha rimarcato l’obbligo per i professionisti di attivare un indirizzo PEC e di comunicarlo all'Ordine di appartenenza, il quale sarà, a sua volta, tenuto ad inviare ed aggiornare puntualmente l’elenco degli indirizzi all'indice nazionale INI-PEC, di cui il Concessionario si riserva la consultazione, nonché l’estrazione, anche in forma massiva. Nel documento citato si precisa altresì che, sia in caso di indirizzo PEC non valido o inattivo, sia in caso di casella email satura malgrado il secondo tentativo effettuato a distanza di 15 giorni dal primo, l’atto verrà inviato telematicamente alla Camera di Commercio competente per territorio e sarà sempre reperibile on line in un’apposita sezione del sito internet della medesima.

In ogni caso, il contribuente riceverà comunicazione dell’avvenuto deposito telematico a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento. Per i contribuenti persone fisiche, non ricompresi nelle suddette categorie giuridiche, l’utilizzo dello strumento telematico rimarrà, invece, facoltativo. In tali ipotesi, la notifica via PEC sarà, pertanto, consentita solo in seguito ad esplicita richiesta in tal senso da parte del privato cittadino e a condizione che l’indirizzo di posta elettronica certificata sia stato dichiarato al momento della sottoscrizione della richiesta stessa o comunicato successivamente all'Agente della Riscossione.

Sul punto, si rileva sinteticamente che, secondo la giurisprudenza di merito (cfr., CTP di Lecce, sentenza n. 611 del 26 febbraio 2016 e CTP di Napoli, sentenza n. 1817 del 12 maggio 2016), è nulla la notifica a mezzo PEC della cartella di pagamento, in quanto tale modalità di notifica non offrirebbe le stesse garanzie di una raccomandata tradizionale dal momento che ad essere trasmesso al contribuente non sarebbe l’originale della cartella di pagamento, ma solo una sua copia informatica, peraltro priva di qualsiasi attestazione di conformità apposta da un pubblico ufficiale.

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PUBBLICATO IL QUESTIONARIO DI AUTOVALUTAZIONE PER LA CERTIFICAZIONE AEO

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario

Il nuovo Codice Doganale UE, in vigore dal 1° maggio 2016, prevede che l’operatore economico interessato a richiedere l’autorizzazione AEO deve presentare, unitamente alla domanda, un questionario di autovalutazione.

Nelle more della pubblicazione, da parte della Commissione europea, della versione italiana del questionario di autovalutazione, l’Agenzia delle Dogane ha provveduto alla traduzione del documento, che consente una preventiva autovalutazione del richiedente per verificare il possesso dei requisiti necessari all'ottenimento dello status ed, allo stesso tempo, fornisce utili informazioni all'Ufficio doganale competente per l’espletamento dell’istruttoria relativa all'iter autorizzativo.

Il questionario si compone di sei sezioni, deve essere compilato seguendo le istruzioni contenute nella nota esplicativa, di ausilio al richiedente per la formulazione delle risposte, e deve essere presentato unitamente alla domanda AEO presso l’Ufficio delle dogane competente. In particolare, le sei sezioni di cui si compone sono le seguenti:
1) Informazioni sull'azienda;
2) Osservanza degli obblighi doganali e fiscali;
3) Sistema contabile e logistico;
4) Solvibilità finanziaria;
5) Standard pratici di competenza o qualifiche professionali;
6) Requisiti di sicurezza.
Inoltre, il questionario di autovalutazione AEO prevede due allegati:
Allegato 1 - Consenso a divulgare i dettagli AEO sul sito web TAXUD.
Consenso allo scambio di informazioni nell'autorizzazione AEO, al fine di assicurare l’attuazione degli accordi internazionali con i paesi terzi in materia di mutuo riconoscimento dello status AEO e misure relative alla sicurezza.
Sottoscrivendo l’allegato 1 il richiedente AEO fornisce il proprio consenso sia alla divulgazione dei propri dati sul sito web TAXUD sia allo scambio di dati con i paesi partner ai fini del mutuo riconoscimento degli accordi relativi agli operatori economici autorizzati (cd. MRA). Tale allegato può essere compilato anche successivamente alla presentazione dell’istanza ed il consenso può essere revocato in qualsiasi momento.
Allegato 2 - Tavola dei criteri applicabili ai diversi attori della catena di approvvigionamento internazionale
La tavola elenca i criteri AEO applicabili in funzione del ruolo dei vari attori della catena di approvvigionamento internazionale e a seconda del tipo di autorizzazione.
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NULLITÀ SELETTIVA PER IL CONTRATTO BANCARIO FIRMATO SOLO DAL CLIENTE

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario

La nullità del contratto bancario non comporta necessariamente la nullità dell’intero rapporto, potendo il cliente avere piuttosto interesse a formulare un’eccezione di nullità "selettiva", mirata cioè a salvaguardare alcuni effetti prodotti dall'esecuzione del contratto dichiarato nullo e a far caducare altri che si sono rivelati svantaggiosi. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 8395 del 27 aprile 2016.

La nullità del contratto stabilita dall'art. 23 TUF (così come dagli artt. 117 e 127 TUB) per mancanza di forma scritta ad substantiam è configurabile come nullità di protezione ed è rilevabile esclusivamente dal cliente, quale contraente "debole", o d’ufficio, quando la nullità può operare ad esclusivo vantaggio del primo.

La particolare natura e funzione di questo tipo di nullità comporta quindi, a giudizio della Suprema Corte, che l’eccezione possa essere prospettata dalla parte, coerentemente con il principio della domanda e l'interesse sostanziale dedotto in giudizio (artt. 99 e 100 c.p.c.), selezionando il rilievo della nullità e rivolgendolo agli acquisti (o, meglio, ai contratti attuativi del contratto quadro) di prodotti finanziari dai quali si è ritenuto illegittimamente pregiudicato, essendo gli altri estranei al giudizio.

Quindi, la pronuncia in commento si rivela particolarmente interessante per un duplice motivo:
- da un lato, la Suprema Corte ribadisce il nuovo indirizzo espresso dalla precedente "rivoluzionaria" sentenza n. 5919 del 24 marzo 2016, secondo cui il contratto firmato solo dal cliente è nullo e non può essere sanato né dalla presenza della dichiarazione del cliente del tipo "Prendiamo atto che una copia del presente contratto ci viene rilasciata debitamente sottoscritta da soggetti abilitati a rappresentarvi", né dalla produzione in giudizio da parte della banca del medesimo documento ovvero da comportamenti concludenti posti in essere dalla stessa banca ad esecuzione del rapporto e documentati per iscritto (contabili, estratti conto, attestati di seguito ecc.);
- dall'altro, la medesima pronuncia chiarisce che il cliente può ben decidere di limitare ad alcuni investimenti "selezionati" gli effetti della invocata invalidità del contratto quadro, senza, per ciò, incorrere in un abuso del diritto.

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ACCERTAMENTI IMMOBILIARI: STESSO VALORE PER LE PERIZIE DEL CONTRIBUENTE E DEL TERRITORIO

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario

La relazione di stima di un immobile, redatta dall'Ufficio tecnico erariale, costituisce una relazione tecnica di parte e non una perizia d'ufficio. Ad essa, pertanto, deve essere attribuito il valore di atto pubblico soltanto per quel concerne la sua provenienza, non anche per quel che riguarda il suo contenuto estimativo. È questo il principio affermato dalla Suprema Corte con sentenza n. 10222 del 18 maggio 2016.

Con la pronuncia in commento, i Giudici di Piazza Cavour, sottolineando che dinanzi al giudice tributario l'Amministrazione finanziaria si pone sullo stesso piano del contribuente, affermano quindi che, in caso di giudizio avverso l'avviso di rettifica e liquidazione per imposta di registro, ipotecaria e catastale sulla compravendita di un terreno edificabile, la perizia di parte prodotta dal contribuente ha lo stesso valore di quella del territorio.

Ovviamente, ciò non comporta che la relazione redatta dall'Ufficio tecnico erariale sia del tutto priva di efficacia probatoria, ben potendo essa costituire fonte di convincimento del giudice, che può elevarla a fondamento anche esclusivo della sua decisione; tuttavia, occorre che il giudice spieghi le ragioni per le quali ritenga tale relazione di parte corretta e convincente.

Inoltre, prosegue la Suprema Corte, laddove vi siano elementi di incertezza, il giudice può determinare il valore venale dell'immobile sulla base di criteri diversi da quelli utilizzati in sede di accertamento, avendo la possibilità di fare ricorso ad una CTU anche d'ufficio. Ma non solo. La mancata formulazione di istanza di CTU non può ripercuotersi quale regola di giudizio atta a fondare il convincimento decisorio in danno della parte, che non è nemmeno gravata dall'onere probatorio.

In definitiva, la carenza di elementi istruttori deve portare piuttosto a disattendere la rettifica di valore rispetto al prezzo di vendita dichiarato operata dall'Ufficio, per il mancato assolvimento di un onere probatorio che è a carico dell'Amministrazione finanziaria, ex art. 2697 del codice civile.

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LA MOTIVAZIONE DELL'ATTO IMPOSITIVO SEGNA I CONFINI DEL PROCESSO TRIBUTARIO

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario

Nel corso del processo tributario, non è possibile modificare, cambiare od integrare la motivazione dell’atto impositivo oggetto di impugnazione. È questo il principio sancito dalla Suprema Corte con sentenza n. 6103 del 30 marzo 2016, conformemente al consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi in materia.

Ciò, sulla base della considerazione per la quale deve ritenersi, alla luce di quanto disposto dagli artt. 42 del D.P.R. 600/1973, 56 del D.P.R. 633/1972, 7 della L. 212/2000 e 7 del D.Lgs. 546/1992, che la motivazione dell'atto tributario assolve alla fondamentale funzione di segnare i confini della materia da contendere, individuando per definizione i presupposti di fatto e di diritto alla base dell’imposizione tributaria, la conoscenza dei quali è necessaria al contribuente per poter strutturare la sua difesa durante il processo tributario.

Con la pronuncia in commento, dunque, la Corte di Cassazione ha sottolineato l’importanza del divieto di “mutuato libelli”. Con tale espressione si vuole indicare il divieto, in capo all'Amministrazione Finanziaria, di avanzare una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, nel corso del processo tributario e, quindi, di cambiare le motivazioni poste a fondamento della propria domanda, contenuta nell'atto impositivo oggetto di impugnazione.

Concludendo, quindi, deve ritenersi, alla luce dell'insegnamento della Suprema Corte, che le motivazioni poste alla base dell’atto impositivo segnano i confini del giudizio tributario, e quindi non risultano essere suscettibili di alcuna modifica o integrazione durante il processo.

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IL GIUDICATO FAVOREVOLE DEL COOBBLIGATO NON SUPERA QUELLO SFAVOREVOLE

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario

Il giudicato favorevole del coobbligato non può essere esteso agli altri coobbligati nei confronti dei quali si sia formato un giudicato diretto ostativo. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 9598 dell'11 maggio 2016, che, conformemente al proprio consolidato orientamento, interviene sulla nota questione relativa alla possibilità di estendere il giudicato favorevole.

Nel caso di specie, due di tre soggetti coobbligati solidali d'imposta derivante da un atto di compravendita immobiliare, dopo aver impugnato l'avviso di rettifica dell'imposta di registro con esito negativo, lasciavano decorrere i termini di impugnazione della sentenza di primo grado, che assumeva quindi carattere di definitività, a differenza del terzo soggetto, il quale impugnava la sentenza di rigetto con esito positivo.

Gli altri due contribuenti, che non avevano impugnato la sentenza sfavorevole di primo grado, avevano ritenuto di avvalersi di quella favorevole, ottenuta dal terzo soggetto in sede di appello, non impugnata dalla parte erariale e, quindi, divenuta giudicato, in fase di successiva riscossione degli importi scaturenti dal loro giudicato sfavorevole.

Sul punto, tuttavia, la Suprema Corte ha affermato tout court che la mancata impugnazione da parte dei due contribuenti della sentenza di primo grado sfavorevole ha determinato nei loro confronti la formazione di un giudicato diretto ostativo all'estensione del giudicato favorevole da loro invocato.

In effetti, si ricorda che, secondo l'opinione dominante, il coobbligato può far valere un giudicato favorevole ad un altro coobbligato:
- se il giudicato favorevole al secondo non sia dipeso da propri specifici motivi e sia relativo all'intero rapporto obbligatorio;
- per opporsi ad atti di riscossione ma non per chiedere somme in restituzione;
- se non abbia subito un proprio giudicato sfavorevole.

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NUOVE DISPOSIZIONI FISCALI RELATIVE ALLE PROCEDURE DI CRISI - seconda parte

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario

Come evidenziato in un precedente contributo, il D.L. 14 febbraio 2016 n. 18 contiene disposizioni concernenti la riforma del settore bancario cooperativo, la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze (Gacs), il regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio. Con particolare riferimento al regime fiscale relativo alle procedure di crisi, si evidenza che rilevanti benefici fiscali sono previsti dagli articoli 14, 15 e 16 del citato decreto.

Orbene, l'art. 15 del citato decreto legge disciplina gli effetti fiscali della cessione di diritti, attività e passività di un ente sottoposto a risoluzione a favore di un ente-ponte, prevista e disciplinata dall'art. 43, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 180/2015, nell'ambito della nuova procedura di risoluzione delle crisi bancarie.

In particolare, il comma 1 dell’articolo 15 stabilisce che “la cessione di diritti, attività e passività di un ente sottoposto a risoluzione a un ente ponte, di cui all'articolo 43, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, non costituisce realizzo di plusvalenze o minusvalenze ai fini dell'imposta sul reddito delle società e dell'imposta regionale sulle attività produttive. I beni ricevuti dall'ente ponte sono valutati fiscalmente in base agli ultimi valori fiscali riconosciuti in capo all'ente cedente”. Ne consegue che:
- per l’ente sottoposto a risoluzione, la cessione non costituisce realizzo di plusvalenze o minusvalenze ai fini Ires e Irap;
- per l’ente-ponte, invece, i beni ricevuti sono valutati fiscalmente in base agli ultimi valori fiscali riconosciuti in capo all'ente cedente.

A norma del successivo comma 2, per effetto della cessione, l’ente-ponte subentra nella posizione dell’ente sottoposto a risoluzione in ordine a diritti, attività o passività oggetto di cessione. Il subentro riguarda altresì:
- la deduzione o la tassazione dei componenti di reddito dell’ente sottoposto a risoluzione già imputati a conto economico e non ancora dedotti o tassati dallo stesso alla data della cessione;
- le deduzioni derivanti da opzioni di riallineamento dell’avviamento e di altre attività immateriali esercitate dall'ente sottoposto a risoluzione.

Infine, si stabilisce che “le perdite di cui all'articolo 84 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 dell'ente sottoposto a risoluzione sono portate in diminuzione del reddito dell'ente ponte”. Si ricordi che la disciplina del riporto delle perdite è dettata dall'art. 84 del Tuir, il cui primo periodo stabilisce, in termini generali, che “la perdita di un periodo d'imposta, determinata con le stesse norme valevoli per la determinazione del reddito, può essere computata in diminuzione del reddito dei periodi d'imposta successivi in misura non superiore all'ottanta per cento del reddito imponibile di ciascuno di essi e per l'intero importo che trova capienza in tale ammontare”.

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NON VI È RICONOSCIMENTO DEL DEBITO TRIBUTARIO SE IL CONTRIBUENTE PRESENTA ISTANZA DI RATEIZZAZIONE

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario

La sottoscrizione dell'istanza di rateazione del pagamento di un'imposta non determina la cessazione dell'interesse alla decisione del ricorso già proposto avverso l'atto impositivo o di riscossione, in quanto, salva espressa dichiarazione in contrario, la sottoscrizione stessa non configura un riconoscimento del debito tributario, ma solo l'impegno di pagare l'imposta secondo la rateizzazione stabilita. È questo il principio sancito dalla Commissione Tributaria Regionale di Palermo con sentenza n. 652 del 17 febbraio 2016.

La vicenda trae origine dall'impugnazione di una cartella di pagamento mai notificata e dalla successiva presentazione di un'istanza di rateazione della stessa al fine di evitare il fermo amministrativo su un bene mobile. Sulla base di ciò, la Commissione Tributaria Provinciale aveva ritenuto che il contribuente era sicuramente venuto a conoscenza della cartella nei confronti della quale aveva fatto acquiescenza, non avendola impugnata.

I Giudici di secondo grado, invece, hanno affermato tout court che la presentazione da parte del ricorrente di istanza di rateizzazione dell'importo indicato nella cartella non dimostra in alcun modo la conoscenza da parte sua della cartella in data precedente alla proposizione del ricorso, per la semplice e decisiva ragione che l'istanza di rateizzazione è stata avanzata solo in un momento successivo alla presentazione del ricorso.

Ma non solo. Quanto all'acquiescenza, la CTR di Palermo ritiene che la sottoscrizione dell'istanza di rateazione del pagamento di un'imposta non determini la cessazione dell'interesse alla decisione del ricorso già proposto avverso l'atto impositivo o di riscossione, in quanto, salva espressa dichiarazione in senso contrario, la sottoscrizione stessa non configura un riconoscimento del debito tributario, ma solo l'impegno di pagare l'imposta secondo la rateizzazione stabilita (cfr., Cass. sentenza 5 novembre 1981, n.5822).

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NUOVE DISPOSIZIONI FISCALI RELATIVE ALLE PROCEDURE DI CRISI - prima parte

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario

Il D.L. 14 febbraio 2016 n. 18 contiene disposizioni concernenti la riforma del settore bancario cooperativo, la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze (Gacs), il regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio. Con particolare riferimento al regime fiscale relativo alle procedure di crisi, si evidenza che rilevanti benefici fiscali sono previsti dagli articoli 14, 15 e 16 del citato decreto.

In particolare, il comma 1 dell’articolo 14 modifica l’articolo 88 del Tuir, inserendovi il nuovo comma 3-bis, che prevede l’esclusione dalla tassazione dei contributi percepiti “a titolo di liberalità” da soggetti per i quali risultino attivate procedure concorsuali ovvero procedure di crisi. In tal modo, quindi, si stabilisce l’irrilevanza fiscale dei predetti contributi, che vengono espressamente esclusi dalla categoria delle sopravvenienze attive.

Con particolare riguardo al settore bancario, invece, i contributi rilevanti ai fini dell’applicazione del regime dell’irrilevanza fiscale sono quelli percepiti da:
- enti creditizi sottoposti alle procedure di crisi, di cui all'articolo 20 D.Lgs. 180/2015, attivabili qualora risultino accertati i presupposti indicati dall'articolo 17 del medesimo D.Lgs. (dissesto o rischio di dissesto bancario);
- enti creditizi sottoposti alla procedura di amministrazione straordinaria, di cui all'articolo 70 e seguenti del D.Lgs. 385/1993 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia).

In tali casi, pertanto, l’irrilevanza fiscale delle liberalità interessa specificamente il settore del credito. L’ambito soggettivo di applicazione del nuovo comma 3-bis dell’articolo 88 Tuir, quindi, è alquanto esteso, involgendo tutte le imprese eventualmente sottoposte a una delle procedure indicate dalla norma.

Sotto il profilo oggettivo, tuttavia, la medesima disposizione esclude dal proprio ambito di applicazione i contributi che l’impresa in crisi riceve a titolo di liberalità da “società controllate” ovvero da società “controllate dalla stessa società che controlla l’impresa”. Questi ultimi, pertanto, qualora percepiti, costituiranno sopravvenienze attive e, come tali, saranno assoggettate al relativo regime di tassazione.

Il comma 2 dell’articolo 14 fissa la decorrenza delle nuove disposizioni, stabilendo che il regime dell’irrilevanza fiscale risulta applicabile “ai contributi percepiti a partire dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge”, pertanto dal periodo d’imposta 2016.

Tuttavia, limitatamente ai contributi percepiti nel 2016, la medesima disposizione stabilisce che l’irrilevanza non opera immediatamente nell'esercizio in cui sono percepiti, ossia il 2016 (in cui, pertanto, gli stessi saranno assoggettati a piena e integrale tassazione), bensì “mediante una deduzione dal reddito ripartita in cinque quote costanti da effettuare nelle dichiarazioni dei redditi relative ai cinque periodi d'imposta successivi, sempre che tali proventi concorrano integralmente a formare il reddito nell'esercizio in cui sono stati incassati”.

Il successivo comma 3 dell’articolo 14 chiarisce che la determinazione dell’acconto dovuto per i periodi d’imposta per i quali è operata la deduzione è effettuata considerando, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata in assenza delle nuove disposizioni.

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NIENTE IRAP PER IL PROFESSIONISTA CON UN SOLO COLLABORATORE STABILE

Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario

La presenza di una segretaria o di un unico collaboratore con funzioni meramente esecutive non fa scattare l’IRAP per il professionista. È questo il principio sancito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 9451 del 10 maggio 2016.

La vicenda trae origine dalla presentazione di un ricorso per Cassazione, da parte dell'Agenzia delle Entrate, avverso una decisione della Commissione Tributaria Regionale della Campania, che aveva riconosciuto ad un avvocato il diritto al rimborso dell’IRAP pagata tra il 2000 ed il 2004. Intravedendo un contrasto interpretativo, nel gennaio 2015 la sezione tributaria della Suprema Corte aveva rimesso il fascicolo alle Sezioni Unite.

Con la pronuncia in commento, gli Ermellini, dopo aver ripercorso l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità e costituzionale dal 2007 ad oggi, hanno tracciato i confini applicativi degli articoli 2 e 3 del D.Lgs. 446/1997, evidenziando come non sia idonea a configurare un'attività autonomamente organizzata la circostanza di "avvalersi in modo non occasionale di lavoro altrui quando questo si concreti nell'espletamento di mansioni di segreteria o generiche o meramente esecutive, che rechino all'attività svolta dal contribuente un apporto del tutto mediato o generico". Ciò, a condizione che sia utilizzato un unico collaboratore.

Conseguentemente, deve ritenersi che il requisito dell'autonoma organizzazione ricorre quando il contribuente, nel contempo:
- sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;
- impieghi beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione oppure si avvalga, in modo non occasionale, di lavoro altrui che superi la soglia dell'impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria o meramente esecutive.

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